Renzo Paris: leggere, scrivere

di Francesca Pacini


Paris

 

Uno scrittore affermato, che ha anni di esperienza alle spalle, sa bene che questo mestiere non si improvvisa. Anche se oggi, nell'era del web 2.0, molti giovani pubblicano contenuti di ogni tipo rischiando di livellare la qualità. Interrogarsi sul signifcato della letteratura ha senso, oggi più che mai...

 

Cosa significa essere scrittori oggi, nell'era del web 2.0?

Mi sono formato negli anni Sessanta. Lo scrittore allora era rispettato. Non si pubblicava tanto facilmente un esordiente. I direttori di collana però seguivano i giovani. Ricordo che scrissi un romanzo a sedici anni "Il signor Pietrobono", che era un lungo monologo joyciano di un vecchio ottantenne. Sergio Morando della Bompiani mi tenne all'erta per diversi mesi e poi mi raccontò che non mi pubblicavano perché ero troppo giovane. Oggi tutti sono scriventi, soprattutto i cantanti, i giornalisti, quelli che si vendono in tv. La letteratura è scomparsa.

 

Hai pubblicato diversi libri, dalla saggistica alla narrativa. Qual è il libro a cui sei più legato?

I libri sono come i figli e io ne ho pubblicati più di venti. Le prime emozioni però sono le più forti. Ricordo "Cani sciolti", uno dei primi romanzi generazionali, ebbe un discreto successo di pubblico e di critica. Recentemente è stata ristampata la quinta edizione. "Album di famiglia", le mie poesie, pubblicate da Guanda nel 1990. Per la saggistica  tengo molto a "La banda Apollinaire" uscito da Hacca un paio di anni fa, che è poi a suo modo un romanzo saggio come "La vita personale", sempre da Hacca.

 

Che autori contemporanei stimi, e ti senti di consigliare?

L'autofiction francese, da Duvert a Calaferte fino a Houellebeck. E poi certo i tre Roth, Murakami. Sono due decenni che pubblico ogni due mesi una rubrica su "Pulp" che si chiama "Il tempo ritrovato", dove racconto i classici mondiali. Anch'essi contemporanei no? L'ultimo: Alfred Jarry.

 

Si parla molto di crisi del libro. Ma la carenza di lettori non è certo nuova: l'Italia è un paese di aspiranti scrittori, più che di lettori...

Non ho le cifre per dire se gli italiani in questo momento leggono di più di prima. A me sembra che le librerie, sarà perché è Natale, sono piene. Il libro si regala perchè costa di meno. Che poi quasi tutti scrivano e pubblichino, magari a pagamento, e si farebbero tagliare una mano prima di comperare un libro, questo è certo. Ogni casamento ha metà degli inquilini che hanno pubblicato il loro bravo libro a mille, duemila o tremila euro.

 

Nabokov a proposito del buon lettore parla di "brivido alla spina dorsale". Quali sono, secondo te, i "sintomi" per capire se un libro ci ha davvero rapito?

Nabokov ha ragione. Senza brivido non c'è libro bello. I sintomi sono quelli. Quando l'emozione sale è meglio dell'oppio, dell'erba, di qualsiasi droga. Ma per decenni gli strutturalisti hanno negato tutto questo, dando retta ad autori noiosissimi.

 

I libri che stai terminando.

Attualmente sto finendo "Primavera finlandese". L'anno prossimo lo finirò, sono a buon punto. Intanto sempre l'anno prossimo, ad aprile, uscirà la terza ristampa di "Cattivi soggetti" per Iacobelli, un piccolo editore romano che ha una bella collana della memoria. Alla fine dell'estate per Castelvecchi usciranno le mie nuove poesie. Titolo: "Il fumo bianco", che è quello che ho visto nel terremoto dell'Aquila. Raccolgo, come feci con "Album", vent'anni di versi.

 

Che consiglio ti senti di dare a chi sogna di diventare uno scrittore?

A un giovane scrittore direi cose che forse sa da solo, che bisogna leggere moltissimo, che solo dalla lettura profonda può nascere il suo ritmo particolare e comunque, per favore, molti classici. Sempre che senta dentro la necessità di scrivere, altrimenti con il talento si possono fare tante altre cose: gli autori televisivi ad esempio, ed è pure più redditizio.

Francesca Pacini - giornalista, art director.

Francesca Pacini è giornalista, art director, docente. Sempre in moto, vive e lavora tra Roma e le Marche, dividendosi fra più contesti, tutti però legati alla parola e all'immagine che a volte la accompagna. Non trova mai pace: il suo motto è "lavori in corso".

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