Buoni lettori e buoni scrittori


Estratto da: Vladimir Nabokov, Lezioni di Letteratura, Garzanti 1992.

 

buoni lettori«Come essere un buon lettore» oppure «Gentilezza verso gli autori» – qualcosa del genere potrebbe fungere da sottotitolo a queste riflessioni su vari autori, dato che mi propongo di occuparmi con amore, indugiando amorevolmente sui particolari, di alcuni capolavori della letteratura europea. Cento anni fa, in una lettera all'amante, Flaubert scriveva: Comme l'on serait savant si l'on connaissait bien seulement cinq ou sìx livres («Come saremmo colti se conoscessimo bene soltanto cinque o sei libri»).
Quando si legge, bisogna cogliere e accarezzare i particolari. Non c'è niente di male nel chiarore lunare della generalizzazione, se viene dopo che si sono amorevolmente colte le solari inezie del libro. Se si parte invece da una generalizzazione preconfezionata, si comincia dalla parte sbagliata e ci si allontana dal libro prima ancora di aver cominciato a capirlo. Non c'è niente di più noioso e di più ingiusto verso l'autore che mettersi a leggere, per esempio, Madame Bovary, con l'idea preconcetta che sia una denuncia della borghesia. Non dimentichiamo che l'opera d'arte è sempre la creazione di un mondo nuovo; per prima cosa, dovremmo quindi studiare questo mondo nuovo il più meticolosamente possibile, come se fosse qualcosa che avviciniamo per la prima volta e che non ha alcun rapporto immediato con i mondi che già conosciamo. Una volta studiato attentamente questo mondo nuovo, allora soltanto possiamo analizzarne i legami con altri mondi, con altri settori della conoscenza.
È lecito aspettarsi, da un romanzo, informazioni su determinali luoghi e epoche? Si può essere così ingenui da credere di imparare qualcosa sul passato da quei voluminosi best-sellers che i vari club del libro spacciano per romanzi storici? E che dire poi dei capolavori? Possiamo fidarci dell'Inghilterra dei proprietari terrieri raffigurata da Jane Austen con i suoi baronetti e le sue architetture di giardini, quando la sola cosa che lei conosceva era il salottino di un ecclesiastico? E Casa desolata, questa storia fantastica in una Londra fantastica, possiamo definirla uno studio della Londra di cento anni fa? No di certo. E lo stesso vale per gli altri romanzi di cui ci occuperemo. La verità è che i grandi romanzi sono grandi fiabe – e i romanzi di questo corso sono fiabe eccelse.
Il tempo e lo spazio, i colori delle stagioni, il movimento dei muscoli e delle menti, sono per gli scrittori di genio (per quanto possiamo intuire, e io confido che la nostra intuizione sia giusta) non concetti tradizionali che si possono prendere a prestito dalla biblioteca circolante delle verità correnti, bensì un susseguirsi di sorprese uniche che i massimi artisti hanno imparato a esprimere nella loro unica maniera. Il compito di adornare il luogo comune è lasciato agli autori minori: essi non si preoccupano di reinventare il mondo; si limitano a tirar fuori il meglio da un determinato ordine delle cose, secondo i modelli tradizionali della narrativa. Le varie combinazioni che questi autori minori riescono a creare entro questi limiti prestabiliti possono avere una loro effimera attrattiva, perché i lettori «minori» amano riconoscere le proprie idee gradevolmente camuffate. Ma lo scrittore vero, quello che fa ruotare i pianeti e plasma un uomo dormiente e armeggia impaziente con la sua costola, lo scrittore di questo tipo non ha valori prestabiliti a disposizione: deve crearli lui. L'arte dello scrivere è un'attività assai futile se non comporta anzitutto l'arte di vedere il mondo come potenzialità narrativa. La sostanza di questo mondo può essere abbastanza reale, ma non esiste affatto nella sua totalità: è caos, e a questo caos l'autore dice «Via!» permettendo al mondo di guizzare e di fondersi. Viene allora ricombinato nei suoi stessi atomi, e non solo nelle sue parti visibili e superficiali. Lo scrittore è il primo che ne traccia la mappa e che dà un nome agli oggetti naturali che esso contiene. Quelle bacche sono commestibili. Quella creatura screziata che ha attraversato di corsa il mio cammino può essere domata. Questo lago tra questi alberi lo chiameremo Lago Opale o, più artisticamente, Lago Rigovernatura di piatti. Quella caligine è una montagna… e quella montagna deve essere conquistata. Su un ripido sentiero impervio s'arrampica il grande artista; e in cima, sulla cresta ventosa, chi credete che incontri? L'ansante e felice lettore, e lì i due spontaneamente s'abbracciano e restano uniti per sempre se il libro dura per sempre.
Una sera, in un remoto college di provincia, dov'ero capitato in occasione di un giro di conferenze che si era prolungato oltre il previsto, proposi un piccolo quiz; su dieci definizioni del lettore, invitai gli studenti a scegliere quattro risposte che, messe assieme, indicassero i requisiti del buon lettore. Ho smarrito quell'elenco, ma, per quanto ricordo, le definizioni erano più o meno queste. Un buon lettore dovrebbe:
1. appartenere a un club del libro;
2. identificarsi con l'eroe o con l'eroina;
3. concentrarsi sull'aspetto socioeconomico;
4. preferire una storia con azioni e dialoghi a una che non ne ha;
5. aver visto il film tratto dal libro;
6. essere un autore in erba;
7. avere immaginazione;
8. avere memoria;
9. avere un dizionario;
10. avere un certo senso artistico.


Gli studenti si mostrarono in massima parte favorevoli all'identificazione emotiva, all'azione e all'aspetto socioeconomico o storico. Ma, naturalmente, come voi avete intuito, il buon lettore è chi ha immaginazione, memoria, un dizionario e un certo senso artistico, quel senso che mi propongo di sviluppare in me e negli altri ogni volta che mi si presenta l'occasione.
Tra parentesi, io uso il termine lettore in un'accezione molto libera. Strano a dirsi, non è possibile leggere un libro, si può soltanto rileggerlo. Un buon lettore, un grande lettore, un lettore attivo e creativo è un «rilettore». E vi dirò perché. Quando leggiamo un libro per la prima volta, il processo stesso di spostare faticosamente gli occhi da sinistra a destra, riga dopo riga, pagina dopo pagina, questo complicato lavoro fisico sul libro, il processo stesso di imparare in termini di spazio e di tempo di che cosa si tratti, si frappone tra noi e la valutazione artistica. Quando guardiamo un quadro, non dobbiamo spostare gli occhi in una maniera particolare, anche se il quadro, come un libro, contiene elementi da approfondire e sviluppare. L'elemento tempo non ha molto peso in un primo contatto con un quadro. Nel leggere un libro, dobbiamo invece avere il tempo di farne la conoscenza. Non abbiamo un organo fisico (come è l'occhio per il quadro) che recepisca il tutto e possa poi goderne i particolari. Ma a una seconda o a una terza o a una quarta lettura, ci comportiamo, in un certo senso, di fronte a un libro come di fronte a un quadro. Non confondiamo però l'occhio fisico, quel capolavoro mostruoso dell'evoluzione, con la mente, un prodotto ancor più mostruoso. Un libro, qualunque esso sia – un'opera d'invenzione o un'opera di scienza (il confine tra le due non è netto come generalmente si crede) – un libro di narrativa fa anzitutto appello alla mente. La mente, il cervello, il sommo della vibratile spina dorsale è, o dovrebbe essere, il solo strumento da usare su un libro.
Stando così le cose, vediamo ora come lavora la mente quando l'accigliato lettore ha di fronte il libro solare. Prima di tutto, la tetraggine si dissolve e, bene o male, il lettore entra nello spirito del gioco. Lo sforzo di cominciare un libro, specie se esaltato da persone che il giovane lettore considera in cuor suo troppo parruccone o troppo serie, è spesso difficile da compiere; ma una volta che lo si è compiuto, le ricompense sono numerose e abbondanti. Poiché il grande artista si è servito dell'immaginazione per creare il libro, è giusto e naturale che anche l'utente del libro debba servirsi della propria.
Nel caso del lettore ci sono, tuttavia, almeno due specie di immaginazione. Vediamo dunque quale delle due è corretto usare nel leggere un libro. C'è anzitutto quella di tipo relativamente basso che cerca sostegno nelle semplici emozioni e ha carattere decisamente personale. (Ci sono diverse sottospecie, in questa prima sezione della lettura emotiva.) Sentiamo intensamente una situazione presentata in un libro perché ci ricorda qualcosa che è accaduto a noi o a una persona che conosciamo o che abbiamo conosciuto. Oppure un lettore ha caro un libro soprattutto perché evoca una terra, un paesaggio, un modo di vivere che egli nostalgicamente ricorda come parte del proprio passato. O anche, ed è la cosa peggiore che un lettore possa fare, si identifica con un personaggio del libro. Non è questo il tipo d'immaginazione che vorrei veder usare dai lettori.
Qual è allora lo strumento autentico di cui il lettore deve servirsi? È l'immaginazione impersonale e il piacere artistico. Si dovrebbe tendere, penso, a un equilibrio armonioso tra la mente del lettore e quella dell'autore. Dovremmo rimanere un po' distaccati e trarre piacere da questo distacco, e contemporaneamente godere a fondo – godere appassionatamente, godere con lacrime e brividi – il tessuto interiore di un determinato capolavoro. In questi casi essere del tutto obiettivi è ovviamente impossibile. Tutto ciò che è degno di nota è in certo senso soggettivo. Per esempio, il fatto che voi siate seduti lì può essere soltanto un mio sogno, e io il vostro incubo. Ma il lettore deve sapere quando e dove frenare la propria immaginazione, per cercare di aver chiaro il mondo specifico che lo scrittore mette a sua disposizione. Dobbiamo vedere cose e udire cose, dobbiamo vedere le stanze e gli abiti e le abitudini di coloro che le popolano. Il colore degli occhi di Fanny Price in Mansfield Park e l'arredamento della sua fredda cameretta sono importanti.
Noi tutti abbiamo temperamenti differenti e io posso dirvi sin d'ora che il migliore che possa avere, o sviluppare, un lettore è una combinazione tra il temperamento artistico e quello scientifico. L'artista entusiasta rischia di essere troppo soggettivo nel proprio atteggiamento di fronte a un libro; nello stesso modo, la freddezza scientifica del giudizio attenua il calore dell'intuizione. Se però un aspirante lettore è del tutto privo di passione e di pazienza – della passione di un artista e della pazienza di uno scienziato – è difficile che possa godere della grande letteratura.
La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzo, gridando al lupo al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un gran lupo grigio alle calcagna: è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò gridando al lupo al lupo, e non c'erano lupi dietro di lui. Non ha molta importanza che il poverino, per aver mentito troppo spesso, sia stato alla fine divorato da un lupo. L'importante è che tra il lupo del grande prato e il lupo della grande frottola c'è un magico intermediario: questo intermediario, questo prisma, è l'arte della letteratura.
La letteratura è invenzione. La finzione è finzione. Definire una storia una storia vera è un insulto all'arte e alla verità. Ogni grande scrittore è un grande imbroglione, ma lo è anche quella superimbrogliona che è la Natura. La Natura imbroglia sempre. Dal semplice imbroglio della propagazione all'illusione prodigiosamente raffinata della colorazione protettiva delle farfalle e degli uccelli, c'è nella natura un meraviglioso sistema di magie e di trucchi. Lo scrittore di storie inventate non fa che seguire la guida della Natura.
Tornando un attimo al nostro ragazzino dei boschi che gridava al lupo, possiamo metterla in questo modo: la magia dell'arte era nell'ombra del lupo da lui deliberatamente inventato, nel suo sogno del lupo. Quando poi è morto, la storia che si raccontava su di lui acquistò un valore didascalico nel buio intorno al fuoco. Ma era lui il piccolo mago. Era lui l'inventore.
Sono tre i punti di vista dai quali si può considerare uno scrittore: lo si può considerare un affabulatore, un insegnante o un incantatore. Un grande scrittore associa in sé queste tre qualità: affabulatore, insegnante e incantatore; ma è l’incantatore che predomina in lui e ne fa un grande scrittore.
All’affabulatore ci rivolgiamo per trarne divertimento, eccitazione intellettuale del tipo più semplice, partecipazione emotiva o il piacere di viaggiare in qualche remota regione dello spazio
o del tempo. Una mentalità leggermente differente cerca nello scrittore l'insegnante. Propagandista, moralista, profeta, tale è la sequenza ascendente. Possiamo rivolgerci all'insegnante non soltanto per riceverne un ammaestramento morale, ma anche per avere una conoscenza diretta, per ottenere semplici dati di fatto. Ho purtroppo conosciuto persone il cui scopo nel leggere i romanzieri francesi o russi era d'imparare qualcosa sulla vita nell'allegra Parigi o nella triste Russia. Infine, e soprattutto, un grande scrittore è sempre un grande incantatore, ed è qui che arriviamo alla parte veramente stimolante, quando cerchiamo di cogliere la particolare magia del suo genio e di studiare lo stile, le immagini, la struttura dei suoi romanzi o delle sue poesie.
I tre aspetti del grande scrittore – magia, narrazione, lezione – tendono a fondersi in un'unica fulgida immagine, perché la magia dell'arte può essere presente nell'ossatura stessa della storia narrata, nel midollo stesso del pensiero. Ci sono capolavori caratterizzati da un pensiero asciutto e limpido, che provocano in noi un fremito artistico né più né meno che un romanzo come Mansfield Park o qualunque dovizioso flusso di sensuali immagini dickensiane. Una buona formula per misurare la qualità di un romanzo sia, alla lunga, una fusione tra la precisione della poesia e l'intuizione della scienza. Per godere di quella magia un lettore accorto legge il libro di un genio non con il cuore, e neanche tanto con il cervello, ma con la spina dorsale, È lì che si manifesta quel formicolio rivelatore, anche se leggendo dobbiamo rimanere un po' distanti, un po' distaccati. Allora, con un piacere insieme sensuale e intellettuale, guarderemo l'artista costruire il suo castello di carte e il castello di carte diventare un bel castello d'acciaio e di vetro.

Francesca Pacini - giornalista, art director.

Francesca Pacini è giornalista, art director, docente. Sempre in moto, vive e lavora tra Roma e le Marche, dividendosi fra più contesti, tutti però legati alla parola e all'immagine che a volte la accompagna. Non trova mai pace: il suo motto è "lavori in corso".

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