di Francesca Pacini
“Gentile Signora, se avessi più tempo le scriverei
una lettera più breve”
(Voltaire)
Buoni lettori, buoni scrittori (da Lezioni di letteratura, Nabokov, Garzanti)
«Come essere un buon lettore» oppure «Gentilezza verso gli autori» – qualcosa del genere potrebbe fungere da sottotitolo a queste riflessioni su vari autori, dato che mi propongo di occuparmi con amore, indugiando amorevolmente sui particolari, di alcuni capolavori della letteratura europea. Cento anni fa, in una lettera all'amante, Flaubert scriveva: Comme l'on serait savant si l'on connaissait bien seulement cinq ou sìx livres («Come saremmo colti se conoscessimo bene soltanto cinque o sei libri»).
Quando si legge, bisogna cogliere e accarezzare i particolari. Non c'è niente di male nel chiarore lunare della generalizzazione, se viene dopo che si sono amorevolmente colte le solari inezie del libro. Se si parte invece da una generalizzazione preconfezionata, si comincia dalla parte sbagliata e ci si allontana dal libro prima ancora di aver cominciato a capirlo. Non c'è niente di più noioso e di più ingiusto verso l'autore che mettersi a leggere, per esempio, Madame Bovary, con l'idea preconcetta che sia una denuncia della borghesia. Non dimentichiamo che l'opera d'arte è sempre la creazione di un mondo nuovo; per prima cosa, dovremmo quindi studiare questo mondo nuovo il più meticolosamente possibile, come se fosse qualcosa che avviciniamo per la prima volta e che non ha alcun rapporto immediato con i mondi che già conosciamo. Una volta studiato attentamente questo mondo nuovo, allora soltanto possiamo analizzarne i legami con altri mondi, con altri settori della conoscenza.
È lecito aspettarsi, da un romanzo, informazioni su determinali luoghi e epoche? Si può essere così ingenui da credere di imparare qualcosa sul passato da quei voluminosi best-sellers che i vari club del libro spacciano per romanzi storici? E che dire poi dei capolavori? Possiamo fidarci dell'Inghilterra dei proprietari terrieri raffigurata da Jane Austen con i suoi baronetti e le sue architetture di giardini, quando la sola cosa che lei conosceva era il salottino di un ecclesiastico? E Casa desolata, questa storia fantastica in una Londra fantastica, possiamo definirla uno studio della Londra di cento anni fa? No di certo. E lo stesso vale per gli altri romanzi di cui ci occuperemo. La verità è che i grandi romanzi sono grandi fiabe – e i romanzi di questo corso sono fiabe eccelse.
Il tempo e lo spazio, i colori delle stagioni, il movimento dei muscoli e delle menti, sono per gli scrittori di genio (per quanto possiamo intuire, e io confido che la nostra intuizione sia giusta) non concetti tradizionali che si possono prendere a prestito dalla biblioteca circolante delle verità correnti, bensì un susseguirsi di sorprese uniche che i massimi artisti hanno imparato a esprimere nella loro unica maniera. Il compito di adornare il luogo comune è lasciato agli autori minori: essi non si preoccupano di reinventare il mondo; si limitano a tirar fuori il meglio da un determinato ordine delle cose, secondo i modelli tradizionali della narrativa. Le varie combinazioni che questi autori minori riescono a creare entro questi limiti prestabiliti possono avere una loro effimera attrattiva, perché i lettori «minori» amano riconoscere le proprie idee gradevolmente camuffate. Ma lo scrittore vero, quello che fa ruotare i pianeti e plasma un uomo dormiente e armeggia impaziente con la sua costola, lo scrittore di questo tipo non ha valori prestabiliti a disposizione: deve crearli lui. L'arte dello scrivere è un'attività assai futile se non comporta anzitutto l'arte di vedere il mondo come potenzialità narrativa. La sostanza di questo mondo può essere abbastanza reale, ma non esiste affatto nella sua totalità: è caos, e a questo caos l'autore dice «Via!» permettendo al mondo di guizzare e di fondersi. Viene allora ricombinato nei suoi stessi atomi, e non solo nelle sue parti visibili e superficiali. Lo scrittore è il primo che ne traccia la mappa e che dà un nome agli oggetti naturali che esso contiene. Quelle bacche sono commestibili. Quella creatura screziata che ha attraversato di corsa il mio cammino può essere domata. Questo lago tra questi alberi lo chiameremo Lago Opale o, più artisticamente, Lago Rigovernatura di piatti. Quella caligine è una montagna… e quella montagna deve essere conquistata. Su un ripido sentiero impervio s'arrampica il grande artista; e in cima, sulla cresta ventosa, chi credete che incontri? L'ansante e felice lettore, e lì i due spontaneamente s'abbracciano e restano uniti per sempre se il libro dura per sempre.
Una sera, in un remoto college di provincia, dov'ero capitato in occasione di un giro di conferenze che si era prolungato oltre il previsto, proposi un piccolo quiz; su dieci definizioni del lettore, invitai gli studenti a scegliere quattro risposte che, messe assieme, indicassero i requisiti del buon lettore. Ho smarrito quell'elenco, ma, per quanto ricordo, le definizioni erano più o meno queste. Un buon lettore dovrebbe:
1. appartenere a un club del libro;
2. identificarsi con l'eroe o con l'eroina;
3. concentrarsi sull'aspetto socioeconomico;
4. preferire una storia con azioni e dialoghi a una che non ne ha;
5. aver visto il film tratto dal libro;
6. essere un autore in erba;
7. avere immaginazione;
8. avere memoria;
9. avere un dizionario;
10. avere un certo senso artistico.
Gli studenti si mostrarono in massima parte favorevoli all'identificazione emotiva, all'azione e all'aspetto socioeconomico o storico. Ma, naturalmente, come voi avete intuito, il buon lettore è chi ha immaginazione, memoria, un dizionario e un certo senso artistico, quel senso che mi propongo di sviluppare in me e negli altri ogni volta che mi si presenta l'occasione.
Tra parentesi, io uso il termine lettore in un'accezione molto libera. Strano a dirsi, non è possibile leggere un libro, si può soltanto rileggerlo. Un buon lettore, un grande lettore, un lettore attivo e creativo è un «rilettore». E vi dirò perché. Quando leggiamo un libro per la prima volta, il processo stesso di spostare faticosamente gli occhi da sinistra a destra, riga dopo riga, pagina dopo pagina, questo complicato lavoro fisico sul libro, il processo stesso di imparare in termini di spazio e di tempo di che cosa si tratti, si frappone tra noi e la valutazione artistica. Quando guardiamo un quadro, non dobbiamo spostare gli occhi in una maniera particolare, anche se il quadro, come un libro, contiene elementi da approfondire e sviluppare. L'elemento tempo non ha molto peso in un primo contatto con un quadro. Nel leggere un libro, dobbiamo invece avere il tempo di farne la conoscenza. Non abbiamo un organo fisico (come è l'occhio per il quadro) che recepisca il tutto e possa poi goderne i particolari. Ma a una seconda o a una terza o a una quarta lettura, ci comportiamo, in un certo senso, di fronte a un libro come di fronte a un quadro. Non confondiamo però l'occhio fisico, quel capolavoro mostruoso dell'evoluzione, con la mente, un prodotto ancor più mostruoso. Un libro, qualunque esso sia – un'opera d'invenzione o un'opera di scienza (il confine tra le due non è netto come generalmente si crede) – un libro di narrativa fa anzitutto appello alla mente. La mente, il cervello, il sommo della vibratile spina dorsale è, o dovrebbe essere, il solo strumento da usare su un libro.
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