Anna Karenina, o la felicità sotto un treno in corsa


Anna Karenina

Una donna che sceglie consapevolmente di assomigliare a se stessa, tra conoscenza di sé e istinto, per tratteggiare uno dei personaggi più discussi e amati della storia letteraria.

 


Un’adultera, una società spietata, un amore morto che resuscita, un suicidio e un lieto fine. A raccontarlo sembrerebbe un romanzo imbalsamato d’altri tempi. Ma c’è un ma. Anna Karenina vale la pena di essere riletto anche nel 2015. 
In primis l’autore, Tolstoj, è un sensitivo delle parole, che ipnotizza con la sua macroscopica, microscopica analisi degli atteggiamenti umani e con il suo stile poetico, bollente. Aprendo il libro a caso ci si imbatte in frasi come queste:

“Ci sono delle persone che, incontrando un loro antagonista fortunato, sono pronte a distogliere lo sguardo da tutto quel che c’è di buono in lui, e a vedere in lui la sola parte cattiva; ci sono delle persone, al contrario, che desiderano soprattutto di trovare in questo antagonista fortunato quelle qualità con cui egli le ha vinte, e cercano in lui, con un dolore pungente al cuore, la sola parte buona. Levin apparteneva a così fatte persone”.

Il comportamento descritto da Tolstoj risuona universale, facilmente individuabile tra i percorsi dell’esistenza; un atteggiamento mentale comune ma tortuoso, sintetizzato con sapienza. 
È questo solo uno dei tanti passaggi del libro, in cui l’anima del protagonista viene sminuzzata, donata al lettore. E ancora:

“Si adirava contro tutti per la loro intrusione appunto perché sentiva nell'anima che loro, tutti quelli, avevano ragione”.

“E bastaron queste parole perché quei vicendevoli rapporti non ostili, ma freddi, che Levin voleva tanto evitare, si stabilissero di nuovo tra i fratelli”.

“Bisognava restare lì, in una compagnia estranea e così opposta al suo stato d’animo; ma ella aveva un vestito che, lo sapeva, le stava bene; non era sola: intorno c’era quell’abituale solenne ambiente di ozio, ed ella si sentiva meglio che a casa; non doveva escogitare quel che dovesse fare. Tutto si faceva di per sé”.

“Era una di quelle bestie che sembrava non parlino solo perché la disposizione meccanica della loro bocca non glielo permette. A Vronskij, almeno, sembrò che essa avesse capito tutto quello che sentiva adesso, guardandola”.

Lo sguardo di Tolstoj, capace di descrivere con uguale sensibilità sia il mondo visibile, che quello invisibile dei sentimenti, rende questo romanzo mobile, con una velocità regolabile dal lettore - libero quest’ultimo di soffermarsi su uno o più dei tanti aspetti della realtà ivi narrati.
I personaggi sono scomposti e vivisezionati nella loro immagine esteriore e nella loro interiorità, più o meno vera della maschera indossata in pubblico. Si tifa per l’uno o per l’altro, per Anna Karenina o per Kitty, per Vronskij o per il marito di Anna, poiché le descrizioni sono vive, colorate, un canto irresistibile. Eccone alcune, che con una manciata di parole costruiscono l’ingranaggio letterario:

“Stepàn Arkàdjevic’ era un uomo sincero nei suoi propri riguardi. Non poteva ingannare se stesso e persuadersi che si pentiva della sua azione. Non poteva pentirsi di non essere - lui, bell’uomo di trentaquattro anni, facile all’amore - innamorato della moglie, madre di cinque bambini vivi e due morti, ch’era d’un anno soltanto più giovane di lui. Si pentiva solo di non averlo saputo nascondere alla moglie”.

“Questo scintillio riluceva nei suoi occhi deliziosi, realmente indefinibili. Lo sguardo stanco e insieme appassionato di quegli occhi circondati da un cerchio nero, stupiva per la sua completa sincerità”.

“Dalla camera si udiva la voce di Anna, che diceva qualcosa. La sua voce era allegra, animata, con intonazioni straordinariamente precise (...) Ella era distesa, col viso rivolto verso di lui. Le guance erano rosse, gli occhi scintillavano, le piccole mani bianche, spuntando dai polsi della camiciola, giocavano con un angolo della coperta, attorcigliandolo. Sembrava che ella fosse non solo sana e fresca, ma nella migliore disposizione di spirito”.

Anna Karenina, affascinante donna di mondo sposata a un importante funzionario, si innamora dell’ufficiale Vronskij e rinnega la famiglia per vivere con lui e la figlia nata dall’unione. La vicenda è descritta, nonostante la gravità della situazione, come una festa, un carnevale amoroso.

“Questo giocar con le parole, questo nascondere il segreto, aveva per Anna, come del resto per tutte le donne, un grande fascino. E non la necessità di nascondere, non lo scopo per cui si nascondeva, ma lo stesso processo del nascondere la trascinava”.

“(...) l’attesa dell’incontro, tutto si univa nella generale impressione di un gioioso sentimento di vita. Questo sentimento era così forte, che egli involontariamente sorrideva. Anche prima aveva provato la gioiosa coscienza del proprio corpo, ma non aveva mai voluto tanto bene a se medesimo, al proprio corpo, come adesso. (...) Quella stessa chiara e fredda giornata d’agosto, che aveva agito così disperatamente su Anna, gli sembrava eccitante e vivificatrice, e rinfrescava il suo volto e il collo che s’erano infocati per la doccia. (...) Non ho bisogno di nulla, di nulla oltre a questa felicità”.

“Egli sentiva tutto il tormento della sua situazione e di quella di lei, tutta la difficoltà in cui si trovavano, esposti com’erano agli occhi di tutta la società, di nascondere il proprio amore, mentire e  ingannare, e mentire, ingannare, usare astuzia e pensar continuamente agli altri allorquando la loro passione era tanto forte, che tutt’e due dimenticavano il resto, eccetto il proprio amore”.

La drammatica gioia dell’amore esplode come un petardo la notte di Capodanno, sorta di miraggio letterario, a cui fa da contraltare la seria e contorta vicenda di Kitty: giovane figlia di aristocratici innamorata di Vronskij e poi respinta, che a sua volta respinge il filosofico possidente terriero Levin, per poi sposarlo dopo qualche anno. 
Se all’inizio la dualità delle due storie non affiora, verso metà romanzo si intravede l’intento dell’autore di descrivere due opposti tipi di amore, e di donne; da una parte c’è la passione gelosa che rinnega tutto (Anna Karenina rinuncerà al figlio avuto dal marito per seguire Vronskij), dall’altra la calma comprensione e l’affetto razionale che lega Levin e Kitty. 
In modo sotterraneo, Anna è leggermente giudicata, lo si intravede dietro le parole che elogiano la sua vivacità, la sapienza nel dirigere le conversazioni mondane, la sua intelligenza e gusto nel vestire. Lo stesso Levin, che prima di conoscerla la condannava, dopo resta attratto dalla sua fisicità morbida, la dolcezza sofferta e il modo di far sentire importante ogni ospite. Come ebbe a dire un gentiluomo durante il corso della storia, Anna dà l’impressione di non annoiarsi mai. Bella, colta, appassionata di teatro, amante dell’arte: ma, dietro gli elogi, si celano la sua passionalità e l’egoismo, che sfoceranno nel suicidio. Anna Karenina è quindi un profumo che inebria, ma al contempo una dannata, vittima e artefice della sua tragedia privata. 

Il romanzo tratta temi decisamente progressisti e scottanti. Il classico stridio tra la razionalità e l’impulso, che tanto piace ai romanzieri dell’Ottocento (vedi Ragione e sentimento di Jane Austen, o Tess dei D’Ubervilles di Hardy Thomas) qui è onnipresente ma assente, se ne sente il peso leggerissimo, ma senza cipria o parrucche voluminose. Il melodramma tende una trappola, ma non riesce a catturare Tolstoj. 
Si parla esplicitamente di divorzio, abbandono del tetto coniugale e, anche se in modo non esplicito, in un dialogo fra Anna Karenina e una parente, si parla di contraccezione, concetto per l’epoca più che azzardato. Se, da un lato, c’è l’ultimo avamposto di una società che concepisce il delitto d’onore e chiude ogni porta alle donne scandalose come Anna Karenina, dall’altra si percepisce aria di rivoluzione, cambiamento radicale dei costumi.

La grazia realistica del narrare di Tolstoj è una rarità, un relitto in fondo all’oceano. Il suo stile è ridondante ma lampante, e non serve solo a costruire un semplice romanzo d’amore, ma una serie di tipi umani, come una mostra psicologica in parole. L’ormai celebre incipit è un inizio fulminante, e che rende l’idea dello stile di Tolstoj:

“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”, così come: “Non so forse che le stelle non camminano?” egli si domandò, guardando un vivace pianeta che aveva già mutato la sua posizione nel ramo superiore d’una betulla. “Ma io, guardando il movimento delle stelle, non posso immaginarmi la rotazione della terra, e ho ragione dicendo che le stelle camminano”.

Levin è l’unico carattere veramente positivo della storia, scontroso nell’alta società, dove si sente congelato, a suo agio solo in campagna, dove lavora duramente a contatto coi braccianti. La sua rassegnazione, la timida ma rabbiosa ritirata nel mondo rurale, in cui scopre di amare la sua donna ancora di più, lo rendono un ideale di uomo puro, giustamente in contrapposizione con la scaltrezza, la superficialità di Vronskij. Levin raggiunge la felicità senza chiederla, mentre la Karenina fa a lotta con il mondo per avere la felicità totale, che le viene rinnegata piano piano, mangiandosela lei stessa. 

Le emozioni vive, la bellezza della prosa - che sovente si sofferma sul paesaggio, l’anima e il popolo russo - rendono questo romanzo, un decantato omaggio alla ricerca dell’armonia interiore. E, per essere venuto alla luce sul mercato editoriale nel 1877, Anna Karenina ha pochissime rughe. 

Non solo in Russia, ma anche in Francia si cerca l’armonia interiore attraverso le pagine di un romanzo. Il rosso e il nero di Stendhal, pubblicato nel 1830, è un’opera che segue le orme del protagonista, Julien Sorel, ossessionato dal costruirsi un suo “posto al sole”. 
La Karenina è un personaggio che cerca la felicità, facendo indirettamente del male agli altri e direttamente anche a se stessa; Sorel fa del male agli altri direttamente, e indirettamente a se stesso. 
L’eroe maledetto de Il rosso e il nero nasce in una famiglia modesta, e vuole emanciparsi della sua umile condizione. Mosso da un fanatismo per Napoleone, dotato di una memoria eccezionale e un’ambizione fuori dal comune, egli diventa precettore dei figli del sindaco della cittadina in cui vive, iniziando così la sua scalata sociale. In quel lasso di tempo seduce la padrona di casa, donna devota e tenera, che a sua volta si innamora perdutamente di lui. Poco prima di uno scandalo pubblico, Sorel riesca a scappare e ad entrare in seminario, per trovarsi poi a contatto con una ricca famiglia parigina, dove fa perdere la testa alla giovane Mathilde. 
In procinto di sposarsi, egli riceve una lettera di minaccia dalla prima amante e, in un momento di pazzia, la raggiunge, cercando di ucciderla con un'arma da fuoco, durante la funzione religiosa. 
Condannato a morte, le sue speranze di gloria e felicità periscono con l’esecuzione, generando una scia di ulteriori lutti. 
Se in Anna Karenina due personaggi si mettono in salvo (Levin e Kitty) e raggiungono la desiderata armonia, ne Il rosso e il nero la ricerca della felicità annega nel sangue. 

Ognuno di questi due capolavori costruisce lentamente, come il tempo fa con una conchiglia, un marchingegno architettonico e logico che nasconde segreti, come il segreto dell’eco in una conchiglia. Se fuori il guscio è geometrico e perfettamente simmetrico, un gioiello della natura, dentro c’è il mistero del mondo, come dentro ai libri di Tolstoj e Stendhal c’è il mistero degli esseri umani, schiavi dei loro corpi e delle loro pulsioni. 

L’amore e la sfortuna, in questa parte di mondo letterario, invadono e distruggono tutto. Ma alcuni dei loro protagonisti riscattano una felicità finita sotto un treno in corsa, e danno speranza anche a noi ignari lettori del 2015.

 

Un’adultera, una società spietata, un amore morto che resuscita, un suicidio e un lieto fine. A raccontarlo sembrerebbe un romanzo imbalsamato d’altri tempi. Ma c’è un ma. Anna Karenina vale la pena di essere riletto anche nel 2015.
In primis l’autore, Tolstoj, è un sensitivo delle parole, che ipnotizza con la sua macroscopica, microscopica analisi degli atteggiamenti umani e con il suo stile poetico, bollente. Aprendo il libro a caso ci si imbatte in frasi come queste:

“Ci sono delle persone che, incontrando un loro antagonista fortunato, sono pronte a distogliere lo sguardo da tutto quel che c’è di buono in lui, e a vedere in lui la sola parte cattiva; ci sono delle persone, al contrario, che desiderano soprattutto di trovare in questo antagonista fortunato quelle qualità con cui egli le ha vinte, e cercano in lui, con un dolore pungente al cuore, la sola parte buona. Levin apparteneva a così fatte persone”.

Il comportamento descritto da Tolstoj risuona universale, facilmente individuabile tra i percorsi dell’esistenza; un atteggiamento mentale comune ma tortuoso, sintetizzato con sapienza.
È questo solo uno dei tanti passaggi del libro, in cui l’anima del protagonista viene sminuzzata, donata al lettore. E ancora:

“Si adirava contro tutti per la loro intrusione appunto perché sentiva nell'anima che loro, tutti quelli, avevano ragione”.

“E bastaron queste parole perché quei vicendevoli rapporti non ostili, ma freddi, che Levin voleva tanto evitare, si stabilissero di nuovo tra i fratelli”.

“Bisognava restare lì, in una compagnia estranea e così opposta al suo stato d’animo; ma ella aveva un vestito che, lo sapeva, le stava bene; non era sola: intorno c’era quell’abituale solenne ambiente di ozio, ed ella si sentiva meglio che a casa; non doveva escogitare quel che dovesse fare. Tutto si faceva di per sé”.

“Era una di quelle bestie che sembrava non parlino solo perché la disposizione meccanica della loro bocca non glielo permette. A Vronskij, almeno, sembrò che essa avesse capito tutto quello che sentiva adesso, guardandola”.

Lo sguardo di Tolstoj, capace di descrivere con uguale sensibilità sia il mondo visibile, che quello invisibile dei sentimenti, rende questo romanzo mobile, con una velocità regolabile dal lettore - libero quest’ultimo di soffermarsi su uno o più dei tanti aspetti della realtà ivi narrati.
I personaggi sono scomposti e vivisezionati nella loro immagine esteriore e nella loro interiorità, più o meno vera della maschera indossata in pubblico. Si tifa per l’uno o per l’altro, per Anna Karenina o per Kitty, per Vronskij o per il marito di Anna, poiché le descrizioni sono vive, colorate, un canto irresistibile. Eccone alcune, che con una manciata di parole costruiscono l’ingranaggio letterario:

“Stepàn Arkàdjevic’ era un uomo sincero nei suoi propri riguardi. Non poteva ingannare se stesso e persuadersi che si pentiva della sua azione. Non poteva pentirsi di non essere - lui, bell’uomo di trentaquattro anni, facile all’amore - innamorato della moglie, madre di cinque bambini vivi e due morti, ch’era d’un anno soltanto più giovane di lui. Si pentiva solo di non averlo saputo nascondere alla moglie”.

“Questo scintillio riluceva nei suoi occhi deliziosi, realmente indefinibili. Lo sguardo stanco e insieme appassionato di quegli occhi circondati da un cerchio nero, stupiva per la sua completa sincerità”.

“Dalla camera si udiva la voce di Anna, che diceva qualcosa. La sua voce era allegra, animata, con intonazioni straordinariamente precise (...) Ella era distesa, col viso rivolto verso di lui. Le guance erano rosse, gli occhi scintillavano, le piccole mani bianche, spuntando dai polsi della camiciola, giocavano con un angolo della coperta, attorcigliandolo. Sembrava che ella fosse non solo sana e fresca, ma nella migliore disposizione di spirito”.

Anna Karenina, affascinante donna di mondo sposata a un importante funzionario, si innamora dell’ufficiale Vronskij e rinnega la famiglia per vivere con lui e la figlia nata dall’unione. La vicenda è descritta, nonostante la gravità della situazione, come una festa, un carnevale amoroso.

“Questo giocar con le parole, questo nascondere il segreto, aveva per Anna, come del resto per tutte le donne, un grande fascino. E non la necessità di nascondere, non lo scopo per cui si nascondeva, ma lo stesso processo del nascondere la trascinava”.

“(...) l’attesa dell’incontro, tutto si univa nella generale impressione di un gioioso sentimento di vita. Questo sentimento era così forte, che egli involontariamente sorrideva. Anche prima aveva provato la gioiosa coscienza del proprio corpo, ma non aveva mai voluto tanto bene a se medesimo, al proprio corpo, come adesso. (...) Quella stessa chiara e fredda giornata d’agosto, che aveva agito così disperatamente su Anna, gli sembrava eccitante e vivificatrice, e rinfrescava il suo volto e il collo che s’erano infocati per la doccia. (...) Non ho bisogno di nulla, di nulla oltre a questa felicità”.

“Egli sentiva tutto il tormento della sua situazione e di quella di lei, tutta la difficoltà in cui si trovavano, esposti com’erano agli occhi di tutta la società, di nascondere il proprio amore, mentire e  ingannare, e mentire, ingannare, usare astuzia e pensar continuamente agli altri allorquando la loro passione era tanto forte, che tutt’e due dimenticavano il resto, eccetto il proprio amore”.

La drammatica gioia dell’amore esplode come un petardo la notte di Capodanno, sorta di miraggio letterario, a cui fa da contraltare la seria e contorta vicenda di Kitty: giovane figlia di aristocratici innamorata di Vronskij e poi respinta, che a sua volta respinge il filosofico possidente terriero Levin, per poi sposarlo dopo qualche anno.
Se all’inizio la dualità delle due storie non affiora, verso metà romanzo si intravede l’intento dell’autore di descrivere due opposti tipi di amore, e di donne; da una parte c’è la passione gelosa che rinnega tutto (Anna Karenina rinuncerà al figlio avuto dal marito per seguire Vronskij), dall’altra la calma comprensione e l’affetto razionale che lega Levin e Kitty.
In modo sotterraneo, Anna è leggermente giudicata, lo si intravede dietro le parole che elogiano la sua vivacità, la sapienza nel dirigere le conversazioni mondane, la sua intelligenza e gusto nel vestire. Lo stesso Levin, che prima di conoscerla la condannava, dopo resta attratto dalla sua fisicità morbida, la dolcezza sofferta e il modo di far sentire importante ogni ospite. Come ebbe a dire un gentiluomo durante il corso della storia, Anna dà l’impressione di non annoiarsi mai. Bella, colta, appassionata di teatro, amante dell’arte: ma, dietro gli elogi, si celano la sua passionalità e l’egoismo, che sfoceranno nel suicidio. Anna Karenina è quindi un profumo che inebria, ma al contempo una dannata, vittima e artefice della sua tragedia privata.

Il romanzo tratta temi decisamente progressisti e scottanti. Il classico stridio tra la razionalità e l’impulso, che tanto piace ai romanzieri dell’Ottocento (vedi Ragione e sentimento di Jane Austen, o Tess dei D’Ubervilles di Hardy Thomas) qui è onnipresente ma assente, se ne sente il peso leggerissimo, ma senza cipria o parrucche voluminose. Il melodramma tende una trappola, ma non riesce a catturare Tolstoj.
Si parla esplicitamente di divorzio, abbandono del tetto coniugale e, anche se in modo non esplicito, in un dialogo fra Anna Karenina e una parente, si parla di contraccezione, concetto per l’epoca più che azzardato. Se, da un lato, c’è l’ultimo avamposto di una società che concepisce il delitto d’onore e chiude ogni porta alle donne scandalose come Anna Karenina, dall’altra si percepisce aria di rivoluzione, cambiamento radicale dei costumi.

La grazia realistica del narrare di Tolstoj è una rarità, un relitto in fondo all’oceano. Il suo stile è ridondante ma lampante, e non serve solo a costruire un semplice romanzo d’amore, ma una serie di tipi umani, come una mostra psicologica in parole. L’ormai celebre incipit è un inizio fulminante, e che rende l’idea dello stile di Tolstoj:

“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”, così come: “Non so forse che le stelle non camminano?” egli si domandò, guardando un vivace pianeta che aveva già mutato la sua posizione nel ramo superiore d’una betulla. “Ma io, guardando il movimento delle stelle, non posso immaginarmi la rotazione della terra, e ho ragione dicendo che le stelle camminano”.

Levin è l’unico carattere veramente positivo della storia, scontroso nell’alta società, dove si sente congelato, a suo agio solo in campagna, dove lavora duramente a contatto coi braccianti. La sua rassegnazione, la timida ma rabbiosa ritirata nel mondo rurale, in cui scopre di amare la sua donna ancora di più, lo rendono un ideale di uomo puro, giustamente in contrapposizione con la scaltrezza, la superficialità di Vronskij. Levin raggiunge la felicità senza chiederla, mentre la Karenina fa a lotta con il mondo per avere la felicità totale, che le viene rinnegata piano piano, mangiandosela lei stessa.

Le emozioni vive, la bellezza della prosa - che sovente si sofferma sul paesaggio, l’anima e il popolo russo - rendono questo romanzo, un decantato omaggio alla ricerca dell’armonia interiore. E, per essere venuto alla luce sul mercato editoriale nel 1877, Anna Karenina ha pochissime rughe.

Non solo in Russia, ma anche in Francia si cerca l’armonia interiore attraverso le pagine di un romanzo. Il rosso e il nero di Stendhal, pubblicato nel 1830, è un’opera che segue le orme del protagonista, Julien Sorel, ossessionato dal costruirsi un suo “posto al sole”.
La Karenina è un personaggio che cerca la felicità, facendo indirettamente del male agli altri e direttamente anche a se stessa; Sorel fa del male agli altri direttamente, e indirettamente a se stesso.
L’eroe maledetto de Il rosso e il nero nasce in una famiglia modesta, e vuole emanciparsi della sua umile condizione. Mosso da un fanatismo per Napoleone, dotato di una memoria eccezionale e un’ambizione fuori dal comune, egli diventa precettore dei figli del sindaco della cittadina in cui vive, iniziando così la sua scalata sociale. In quel lasso di tempo seduce la padrona di casa, donna devota e tenera, che a sua volta si innamora perdutamente di lui. Poco prima di uno scandalo pubblico, Sorel riesca a scappare e ad entrare in seminario, per trovarsi poi a contatto con una ricca famiglia parigina, dove fa perdere la testa alla giovane Mathilde.
In procinto di sposarsi, egli riceve una lettera di minaccia dalla prima amante e, in un momento di pazzia, la raggiunge, cercando di ucciderla con un'arma da fuoco, durante la funzione religiosa.
Condannato a morte, le sue speranze di gloria e felicità periscono con l’esecuzione, generando una scia di ulteriori lutti.
Se in Anna Karenina due personaggi si mettono in salvo (Levin e Kitty) e raggiungono la desiderata armonia, ne Il rosso e il nero la ricerca della felicità annega nel sangue.

Ognuno di questi due capolavori costruisce lentamente, come il tempo fa con una conchiglia, un marchingegno architettonico e logico che nasconde segreti, come il segreto dell’eco in una conchiglia. Se fuori il guscio è geometrico e perfettamente simmetrico, un gioiello della natura, dentro c’è il mistero del mondo, come dentro ai libri di Tolstoj e Stendhal c’è il mistero degli esseri umani, schiavi dei loro corpi e delle loro pulsioni.

L’amore e la sfortuna, in questa parte di mondo letterario, invadono e distruggono tutto. Ma alcuni dei loro protagonisti riscattano una felicità finita sotto un treno in corsa, e danno speranza anche a noi ignari lettori del 2015.

Tessa Granato -

Toscana, vive e lavora in provincia di Pistoia, dopo aver trascorso alcuni anni a Bologna e a Londra. Lo spettacolo è la sua piacevole possessione dal 2005. La sua vita invece potrebbe definirsi: una, nessuna, e centomila (per parafrasare uno dei suoi scrittori preferiti).

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