Una stanza tutta per noi
di Francesca Pacini
Finalmente.
Finalmente il numero zero vede la luce. Non è stato facile. Quando si decide di fare una rivista gratuita, e si lavora (per fortuna) tanto, bisogna sacrificare i sabati e le domeniche, per non citare le sere, quando vorresti invece sprofondare sul divano e dimenticare tutto, dimenticarti perfino chi sei (o chi supponi di essere: il dubbio non dovrebbe mancare mai, nella vita).
Ma ne vale la pena. Ne vale la pena soprattutto quando, mesi prima, apri una pagina su Facebook dove cominci a immettere i primi “vagiti” di quella che diventerà poi la rivista. Crei una stanza virtuale in cui getti, timidi, i primi semini. Si tratta di idee, riflessioni, sensazioni. E subito, subito ricevi una risposta immediata, e la tua stanza diventa un luogo accogliente perché scopri che non sei sola, che là fuori ci sono tante altre persone che, come te, sono stanche di un Paese e di una realtà che hanno perso senso e direzione.
Incontri tante donne che non si riconoscono nelle veline e nei Bunga Bunga, ma che non vogliono neanche rimanere infilate nel femminismo più estremo, arido, esibito. E incroci, man mano, anche uomini che ti tendono la mano con la loro sensibilità, la loro voglia di impegnarsi, di dialogare. Incontri preziosi che hanno animato La Stanza prima ancora che diventasse rivista.
Piccole discussioni, dibattiti a volte più accesi, che dimostrano un’evidenza che diventa anche speranza: c’è ancora gente che pensa, che ha voglia di impegnarsi, di raccontare, di capire.
Si trova al di là del muro acefalo nel quale sbattiamo ogni giorno, quello che ci vuole figli dell’ignoranza, che ci vuole infilati nel gregge, chiusi nei nostri bei recinti a vivere la vita che altri hanno tracciato per noi, resi isterici dalla competizione e dall’ansia di apparire, ovunque, comunque.
Al di qua del muro, invece, esiste una “zona franca” in cui si incontra chi resiste, ogni giorno, alla violenza – a volte visibile, a volte meno- a cui siamo costretti.
Una Stanza. Una stanza tutta per noi. Per me. Per voi. Ho sempre amato Virginia Woolf, l’ho amata in modo totale, viscerale. Mi ha sempre ispirato, guidato. Nei suoi scritti ho trovato la passione, la partecipazione, il non volersi piegare alle regole imposte da altri. E, come lei, come molti di noi, fin da piccola ho avuto la mia Stanza. Poi, a un certo punto, ho deciso di condividerla con gli altri. Perché è bello avere una Stanza tutta per sé, ma è ancora più bello il contatto, la relazione che da una Stanza parte e a una Stanza torna, arricchita.
Di cosa si occupa La Stanza? Cerca di andare al di là del banale, di raccontare la cultura, la società, le cose che accadono e che stimolano riflessioni. C’è molta cultura, si parla e si scrive di letteratura, certo. Ma La Stanza si interessa anche delle persone, delle loro vite, dei fatti che possono fermarci a pensare.
Ovviamente, non posso fare La Stanza tutta da sola. Ho bisogno di voi, delle vostre Stanze, delle vostre scritture. Del vostro cuore e le vostro cervello. Perché oggi sono i grandi assenti.
Senza amore, senza partecipazione reale, sentita, non si va da nessuna parte, mai. Forse è per questo che assistiamo a un progressivo sfacelo. Ma non dobbiamo mai dare la colpa all’esterno se prima non siamo stati spietati, davvero spietati, con noi stessi.
Cosa possiamo fare, noi? Possiamo partire da noi. Possiamo cominciare da una semplice Stanza.
In appendice ripubblico un omaggio a Virginia Woolf, postato, qualche anno fa, nel mio blog:
Come una nuvola sulle onde
La vita, insomma, è molto solida o molto instabile?
Sono ossessionata da questa contraddizione. Dura da sempre, durerà sempre, affonda giù fino alle radici del mondo, quest'attimo in cui vivo. Ed è anche transitorio, fuggevole, diafano.
Passerò come una nuvola sulle onde.
(Virginia Woolf, Diario di una scrittrice)
Se l'esistenza di Virginia è passata come una nuvola sulle onde, le sue parole si sono invece fissate sulla carta per sempre.
Sono lì, a nostra disposizione. Meravigliose parole che raccontano storie (nelle quali lei rifletteva parti di sè, che avevano il suo nome, le sue paure, i suoi desideri), si fanno inchiostro per dare corpo a riflessioni mai stupide, mai banali.
Donna intelligente, Virginia. Troppo. E fragile, fragilissima. Quando la depressione la aggrediva sbatteva le sue ali di dolore tutto intorno, come una farfalla davanti alla luce della lampada.
Ma è proprio dalla consapevolezza di questa meravigliosa, terrifica precarietà che spuntò il faro (già, il faro) luminoso che guidava la sua scrittura nei sentieri tortuosi dell'anima.
Un'anima complessa, la sua, appoggiata su una fragilità estrema in cui però lei osava guardare l'abisso profondo di sè.
Ci entrava dentro fino a soffocare, talvolta. La sensibilità si tendeva fino agli estremi dell'universo mentre la pelle respirava dolore.
Ma non fuggiva.
Si attardava in quell'abisso in cui incontrava i mostri ma attingeva anche ai tesori.
Laggiù, dentro di sé, la vita perdeva consistenza e diventava quell'alone luminoso di cui più volte parlò.
E tuttavia senza consistenza non c'è più Terra, solidità. Volare o precipitare dipendono solo dalla forza di sopportare la visione di sè.
Virginia volò. E poi precipitò. Affogò. Scelse di affogare. E magari passò sulle teste degli uomini che invano la cercavano, quel giorno, nel fiume. Invisibile, finalmente libera, passò come una nuvola sulle onde.
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