Le signore della notte di Scaraffia
di Fiammetta Mariani
Le Signore della Notte
Storie di prostitute, artisti e scrittori
(di Giuseppe Scaraffia)
Siete mai entrati in un postribolo? Ne avete mai respirato gli odori o colto gli arredi? Avete mai visto da vicino una prostituta?, scambiato una parola con lei, osservato le sue vesti o le rughe sul suo volto? Qualsiasi sia la vostra risposta, dovrete lasciarvi sedurre dal libro in questione: Le Signore della Notte di Giuseppe Scaraffia; più che un racconto di storie, un viaggio. Un viaggio meraviglioso. Storie di prostitute, artisti e scrittori (anche se più corretto sarebbe “storie di scrittori, artisti e prostitute” alla luce della narrazione) avverte l’autore, nonché docente di Letteratura Francese presso l’Università Sapienza di Roma da anni studioso ed esperto di figure femminili dei secoli Settecento e Ottocento, la cui prosa da tempo ci ha abituati alla bellezza di simili ritratti di donne. Una bellezza dimenticata, persasi nella storia quanto nelle vite di intellettuali ed artisti. Una bellezza straniera, una bellezza altra che solo le prostitute dei postriboli più lussureggianti sapevano abilmente maneggiare, di cui erano le depositarie; ma anche una bellezza greve eppur sublime delle puttane dei bassi fondi relegate in case luride, spesso squallide e che – come ci ricorda Mario Soldati – «si limitavano a prestazioni rozze e banali». Un viaggio nel mondo delle meretrici e dei loro clienti: da Parigi (capitale della prostituzione) a Marsiglia ricordata per la malfamata Rue Bouterie, dalle case d’appuntamento di Roma in via Laurina, via Fontanella e via Capo le Case al bordello filosofico nella famosa Calle d’Avinyò a Barcellona. Da Amburgo a Londra, passando per Anversa e approdando alle migliori case d’appuntamento di Cuba. Il lettore sarà travolto da una sequela d'immagini. Immagini di luoghi defunti, ormai scomparsi per sempre. Immagini di puttane d’altri tempi. Alcune delle quali considerate vere e proprie intellettuali «che facevano addirittura trasecolare, oltre che per la bellezza, per il garbo, per il magistero tecnico, la fantasia, l’intuito psicologico, la passione per il mestiere, perfino per la delicatezza d’animo», spiega ancora Soldati. È l’autore le cui citazioni Scaraffia sembra favorire; forse per la poetica trasudante dalle sue parole che rivelano quella vena nostalgica per i bei tempi andati. Quando agli uomini non era rinfacciato il piacere della ricerca di simili incontri. Sull’onda della nostalgia per ciò che rappresentarono le case chiuse nel Novecento, l’autore apre la narrazione col racconto della «selva di nastri neri oscillanti» sulle antenne delle auto: era il 2006, a Lione, per il sessantesimo anniversario della legge del 1946 che in Francia bandì le case di tolleranza, gettando in strada le prostitute. L’Italia arrivò seconda nel 1948 con la legge Merlin, la quale sanciva definitivamente la chiusura dei lupanari pubblici.
Nell’introduzione al testo, è già racchiuso tutto un mondo. Tutto il significato morale ed allegorico che i bordelli, o meglio le prostitute, rappresentarono e simboleggiarono e per la società borghese, e per i “nocivi sibariti” (come furono appellati i clienti all’epoca della rivoluzione francese, sottolinea Scaraffia). Una morale sacrificata sull’altare dei grandi ideali della Rivoluzione e del secolo XIX, che per favorire la produttività rinnegò le libertà sessuali. È sulla base di questo assunto che l’autore continua asserendo: «(…) le prostitute furono indispensabili come non mai. La loro stessa esistenza era però una contraddizione vivente delle virtù della borghesia che ovunque si stava impadronendo del potere. Per questo le case chiuse, con le loro persiane serrate e la loro discrezione forzata, erano lo spazio ideale, il buio non-luogo per confinare attività inconfessabili in un limbo di rimozione.» Già, perché il controllo sociale, il potere gerarchico del patriarcato incarnato dai “ministri della morale”, passa sempre per la cancellazione dei corpi; anzi no, del corpo per antonomasia. Il corpo della donna. A partire dalla negazione del piacere per l’uomo. La rimozione forzata di tutta una serie di bisogni intimi e personali (con questi s’intendono i bisogni sessuali, intellettuali, di interrelazione, di scambio fra i sessi, di educazione all’Altro e all’altrui corpo) all’interno della sfera pubblica e di cui la borghesia non si fece mai carico, venne realizzata; e simili bisogni ritenuti accessori ai fini dello sviluppo sociale. Uno sviluppo sociale teso al controllo di quei corpi, all’asservimento di quest’ultimi al lavoro – solo più tardi, nella seconda metà del Novecento, George Orwell parlerà dell’alienazione dei corpi. Il corpo era lo strumento dell’Uomo sociale per raggiungere emancipazione e potere: potere come dominio: dominio sulle passioni, sulle pulsioni, sull'essere. È il compimento della morale assoluta, quella kantiana del "dover essere". All’Animale-Uomo, invece, non veniva concesso spazio. Ai fini di questo progetto non era contemplato, né contemplabile il piacere sessuale. Tale piacere doveva categoricamente rimanere fuori dai circuiti sociali pubblici. Ed è in quel “fuori”, in quel “non-luogo”, come lo chiama Scaraffia, che si situano le meretrici. Nella zona franca del bisogno. L’altra faccia delle donne: le reiette, le indecenti. È lì che c’è spazio per l’educazione all’amore, all’erotismo e al sesso: che ha sempre un prezzo. Alla prostituta la delega di tutrice della sessualità, che di quelle arti né era la custode. Come un giardino custodisce le rose più belle, le specie più rare, i postriboli custodivano puttane che non erano solo puttane. Erano molto di più. Certo gli incontri non erano tutti idilliaci; le Signore della notte non erano tutte uguali. Ma si sa, per l’uomo necessità fa virtù.
Dei primi incontri, delle “iniziazioni” ci parla a lungo l’autore nella prima parte del libro. Da Flaubert a Zola, da Proust a Tolstoj, da D’Annunzio a Kafka la lista di nomi, più o meno celebri, è lunghissima: tutti uomini con le loro storie, le loro paturnie, le loro difficoltà con l’altra metà del cielo. Per loro le prostitute erano la soluzione. Ma le signore della notte erano molto più: erano «corpo e immaginazione» diceva Tolstoj, erano odore, calore umano, erano «l’appagamento del desiderio» scriveva Kafka, erano «la freschezza del rapporto mercenario» in cui l’amore diveniva qualcosa di «animalesco». Oltre alle puttane, Scaraffia ci racconta delle tenutarie. Del ruolo che svolgevano le maitresse in quel contesto: le sole capaci di «presentare il conto ai partigiani, abituati ad avere tutto in omaggio». Ricordate come protettive e rigorose, rassicuranti e severe, le maitresse venivano spesso identificate con la figura materna, specie da parte delle prostitute.
Della prima parte del testo – “donne di vita” - resta il racconto appassionato e la prosa scorrevole quanto piacevole capace di descrivere il vissuto di letterati e artisti grazie alle di cui citazioni, Scaraffia affresca la narrazione come una tela bianca. Sollazzato dalle esperienze di vita di uomini d’altri tempi, al lettore viene offerto l’ennesimo ritratto, l’ennesima metafora meravigliosa attraverso le parole di Walter Benjamin che descrive Parigi dicendo: «Parigi, è come una puttana. Da lontano sembra incantevole, non vedi l’ora di averla tra le braccia. E cinque minuti dopo ti senti vuoto, schifato di te stesso». Sull’onda dell’entusiasmo si fa spazio la seconda ed ultima parte del libro – “donne di carta”. Ma è presto fatto a rompersi quell’entusiasmo. Da qui il via ad una serie di racconti di donne, prostitute più o meno prezzolate e conosciute. Muse, modelle, attrici. Oppure semplicemente puttane bellissime, come Marie di cui «è difficile sostenere lo sguardo ardente dei grandi occhi. Il suo profilo ha la perfezione degli antichi cammei, soprattutto nelle narici incarnate», rammenta Flaubert. Donne qualunque costrette alla prostituzione; indotte diremmo oggi. Ne è l’esempio Marta, che beve per stordirsi, beve per dimenticare quell’odioso mestiere; detesta «la vita abominevole del bordello, una gabbia che non ammette ripugnanza o stanchezza». Storie di donne e inevitabilmente storie di drammi: è la storia di Elisa «figlia di una collerica levatrice sempre pronta a picchiarla, sedotta dal primo venuto, si è rifugiata in una casa chiusa» spiega Goncourt. Ma è anche la storia di Véronique, una rossa venticinquenne con già dieci anni di prostituzione alle spalle: «figlia di una prostituta e di padre ignoto, è stata violata a dieci anni. A quindici è stata venduta dalla madre e avviata al mestiere». L’autore sceglie la narrazione che passa per la suddivisione dei secoli – Settecento, Ottocento, Novecento. Perché passano i secoli, ma le storie rimango tali e quali. Donne schiave, violentante, abusate: come Paquette. Sedotta dal confessore, viene cacciata dal padrone – Voltaire, Candide 1759 – e costretta a prostituirsi appagando uomini rivoltanti. In sostanza, donne senza scelta.
Il racconto s’irrigidisce dentro una sequela di nomi di donne, i quali celano un passato spesso duro, durissimo e al quale non si sfugge se non con la morte. Racconti di donne, racconti di morte e di sofferenza. Eppur racconti. Scaraffia restituisce a modo suo, voce alle donne. Alle puttane e al loro mestiere spesso ignorato e volutamente dimenticato dalla società; da tutte le società, specie quelle moderne. Alla fine di questo “viaggio” però si può stare certi di non rimanere delusi: possiederete fra le mani un bignami della e sulla prostituzione, sul cui concetto e sulla cui missione si è alzato, nei secoli, un coro di voci illustri per tesserne elogi e biasimi, pregi e difetti. Ma più pregi che difetti.
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