Piccoli principi
Nat e il segreto di Eleonora
di Marina Bisogno
Fiabe, che passione. Cosa saremmo oggi se da piccoli non ci avessero letto “La sirenetta”, “Il libro della giungla”, “La piccola fiammiferaia”, “Le mille e una notte”, “Alice nel paese delle meraviglie”, “Cappuccetto rosso”, “Pinocchio”, e tutto il resto? Di certo, uomini e donne senza sogni, meno fantasiosi e meno liberi.
Quest’idea, forse un po’ romantica ma mai antiquata, ha ispirato anche Dominique Monfèry, regista di “Nat e il segreto di Eleonora”, film d’animazione francese per grandi e piccini.
Nat è un bambino di appena otto anni, che seppur appassionato di fiabe, non riesce a leggerle ad alta voce. È la zia Eleonora a farlo per lui, fino al giorno della morte. Un evento tragico, che costringe Nat a fare i conti con se stesso e con i segreti delle pagine che ama. La biblioteca della vecchina, infatti, vive. I libri, impilati sugli scaffali polverosi, sono le prime edizioni originali delle fiabe più famose del mondo, e i personaggi parlano e camminano. Un patrimonio inestimabile, che Eleonora ha protetto e curato negli anni. Solo la lettura, la condivisione, la narrazione orale, garantiranno la sopravvivenza di quelle storie e dei loro protagonisti. Nat, erede prescelto, dovrà superare più di un ostacolo, primo fra tutti, l’imbarazzo di leggere ad alta voce. In gioco ci sono la memoria, la coscienza e i sogni degli esseri umani. Ogni fiaba è l’equilibrio perfetto tra parole e illustrazioni, la cui sparizione cancellerebbe per sempre i non luoghi del cuore. Un rischio troppo grande per non abbandonare strane ritrosie e vincere i propri limiti. Le fiabe, dopotutto, sono la chiave di lettura alternativa a una realtà strampalata e scialba, persino per un bambino. Non capita tutti i giorni che Alice salti fuori da un andito della stanza invocando aiuto. E Nat, innamorato di quel mondo fantastico, ma in fondo verosimile, non si tira indietro, rendendo, inconsapevole, un favore all’umanità.
Già Vecchioni con “Il librario di Selinunte” ha ipotizzato un mondo senza parole, dove i libri hanno un valore marginale e i librai sono poco più che zimbelli. Questo film ha, in più, il vantaggio dell’immediatezza del video, esaltando la grandezza dei particolari e la semplicità delle piccole cose. La Monfèry tesse la trama esigua di una verità assoluta, spesso bistrattata, capace, però, di spalancare finestre.
I piccoli principi
di Francesca Bonucci
Da piccoli siamo stati tutti creativi. Sapevamo immaginare, intuire, far combaciare le cose con l'intuizione. Da adulti perdiamo un certo tipo di contatto con le cose che ci circondano, ingabbiati negli schemi della ragione che appiattiscono la poesia, il senso lirico presente nle mondo. Ci scordiamo lo stupore, la meraviglia. Questo è uno spazio dedicato ai bambini e a tutti quelli che, come ne Il Piccolo Principe, cercano ancora quell'"essenziale invisibile agli occhi" ma ben presente nel cuore.
I lavori della classe IV A, anno 2010/2011 della scuola A. Saffi di Roma:
Una serie di avventure a catena del copione Formicone
C’era una volta un uomo che aveva tutto ma era molto ansioso, faceva le cose sempre di fretta e per paura di sbagliare imitava gli altri.
Dato che la sua vita non gli piaceva, spesso faceva dispetti per non annoiarsi, infatti pestava le formiche e i formicai per sfogarsi.
Un giorno d’estate l’uomo camminava avanti e indietro per il suo giardino, vide una formica regina e, ridacchiando, le diede una schicchera.
Le formiche erano intorno alla loro regina e gli salirono su un piede. Una formica lo morse…in quel momento l’uomo si sentì strano e si ritrovò trasformato in formica, ma siccome qualcosa di lui era rimasto umano, in una formicona molto particolare.
Diventò una formica gigante, mostruosa, infatti era ricoperta di peli, il muso era a patata, grande e grosso.
Le zampe erano piccole come un capello, in più gli venne un’anomala coda gigantesca.
Poteva cambiare colore perché la formicona si mimetizzava, non aveva infatti un colore che le appartenesse, solo i colori degli altri per nascondersi o per apparire.
Aveva anche due antenne arricciate sulla testa e il collo tortuoso e rugoso era tutto annodato: qualche volta faceva fatica a sciogliere i nodi, sapete gli davano un po’ fastidio…
Il formicone continuava a passare il suo tempo imitando cose, altri animali, persone.
Un giorno si mimetizzò con la cravatta rosa a pallini bianchi di un uomo importante. Così si ritrovò in una riunione di tutti gli Stati del mondo e sentì tante persone discutere: subito volle imitarle. Dalla sua bocca perciò uscirono miscugli di suoni che dicevano pressappoco così: “Bla, bla, bla…”
Un altro giorno incontrò un uomo che come lui un tempo, prese a calci un formicaio.
Allora il formicone imitò l’uomo, uccidendo tutte le formiche.
Vi rendete conto? Il nostro personaggio imparò a uccidere i suoi simili tranquillamente!
Poi, vide un ragazzo che faceva scoppiare i botti in giardino. Al formicone venne un’irresistibile voglia di imitarlo: “Però ne farò scoppiare tantissimi perché io sono grande e grosso!” disse tra sé e sé.
Non comprò ma rubò cento scatole contenenti dieci botti ognuna; rubò anche una grande miccia. Fece scoppiare tutti i botti insieme. Non l’avesse mai fatto!
Si ritrovò tutto nero e ammaccato e quasi sordo. Intorno a lui non c’era più un giardino ma un buco nero e profondo…il fumo immenso coprì la vista del formicone che vi precipitò dentro.
Quel buco vuoto e solitario divenne così la sua casa.
Questi si sentiva sempre più triste e solo, la rabbia e la noia di un tempo si erano disciolti e avevano dato vita a un nuovo sentimento…cominciò a divorare lampadine e comodini che trovava in giro per alleviare la sua solitudine.
Era disprezzato da tutti, anche perché quella che un tempo era la sua famiglia, ora non lo riconosceva più. Per questo egli mangiava comodini e lampadine, per ricordare il tempo passato, quando viveva in una casa calda, bella, comoda, che quando era uomo non aveva amato.
Il formicone ormai si sentiva inutile, del resto…. era solo una formica nell’ universo.
Un giorno egli incontrò un gruppo di bambini al parco e un bambino sullo scivolo, lo vide imitare un adulto. Sceso dallo scivolo gli si avvicinò per curiosità. Appena lo guardò bene, decise di insegnare allo strano personaggio, qualcosa di divertente. Prima però bisognava conoscerlo: tutto il gruppo di bambini, dopo varie discussioni, decise di andare da lui a fargli delle domande. Un bambino gli chiese: “Possiamo sapere come ti chiami e perché imiti gli adulti?” Il formicone rispose con aria seccata “Ora mi chiamo Frix Bombolone e sono stato trasformato in formica”.
“In che senso trasformato?” intervenne un altro bambino.
“Nel senso che prima ero un umano, proprio come voi. Ma questi sono affari miei”.
Allora un altro bambino gli disse: “Noi vorremmo insegnarti a imitare azioni più divertenti, le azioni che facciamo noi bambini, perché abbiamo visto che imitando gli adulti non sei tanto felice”.
Il formicone accettò. Iniziarono subito a fare le capriole. Frix lo trovò in principio una perdita di tempo ma poi si divertì tanto. Poi gli insegnarono a giocare a pallone, ad acchiapparella e a tanti altri giochi.
Il formicone così d’un tratto si sorprese a ridere a crepapelle, imitò i piccoli screzi, gli scherzi divertenti che solo i bambini conoscono.
Un giorno, uno dei bambini gli fece una carezza. Il formicone non era abituato, fu come una scossa forte… si spaventò ma aveva sentito qualcosa di nuovo dentro di sé, qualcosa che lo spinse a rifarla solo perché all’improvviso ne sentiva la voglia. Il bambino però, che era rimontato in bicicletta, si sbilanciò così tanto che cadde dall’altra parte della bici.
Frix ebbe di nuovo paura, ma questa volta la paura non era più per se stesso ma per il bambino. Si impietosì e lo aiutò a rialzarsi e lo accarezzò molto dolcemente.
Fu così che imparò i sentimenti.
Da quel momento il formicone cominciò a capire quello che gli era successo, raccontò alle formiche di quanto aveva sofferto nella vita.
Allora le formiche capirono che quando il formicone era un uomo, non le aveva maltrattate per cattiveria ma perché il suo cuore era cieco. Infatti, la formica che lo aveva morso, gli disse che se voleva, lo avrebbe fatto ritornare uomo ma lui non accettò perché si era reso conto che stava bene così, tra le formiche e i bambini che l’avevano aiutato, loro erano ormai i suoi veri amici.
Da allora i bambini andarono a trovare le formiche e il formicone che era andato a vivere con loro.
Le formiche insegnarono al formicone a mangiare le briciole di pane e i semi, ad accontentarsi di poco per essere felici.
Poesie.
Io del cielo conosco
lo sfogo dei tuoni
tempeste
piogge e fulmini
che danno fuoco agli alberi
(Tiziano)
Nuvola come una vela che vola
Vola con il vento
Va e viene
Senza sosta
(Tiziano)
Io del cielo conosco
il cuore calmo di un bambino felice
che gioca con i suoi amici.
(Jacopo)
Vorrei trasformarmi in un’aquila reale
per volare e esplorare il mondo del cielo
(Viola)
Il cielo è un grande occhio blu
di cui le nubi paiono un battito di ciglia
e la luna è una pupilla.
(Mattia)
Io del cielo conosco
la nera carnagione
di un bambino
che piange lacrime scure come il carbone.
(Mattia)
Nuvole
Come un esercito oscuro
pieno di lamenti, gemiti, torture
pronte ad assaltare un cuore felice.
Sembrano zucchero filato
per dominare i viziati.
Sembrano pecore bianche
che hanno perso il pastore.
(Eugenio)
Nuvole, sbuffi di fantasia
venute dall’infinita faccia del cielo.
(Sofia Barbanti)
Il cielo è come uno specchio
di cui le nubi paiono i bianchi capelli di una donna vecchia
che si guarda con angoscia…
e la luna è il suo pettine
gettato a terra con un gesto di sfogo
(Sofia Alvino)
Quando il sole tramonta sorge la mia ombra.
Quando il sole tramonta i gabbiani cantano nel rosa delle nuvole.
Quando il sole tramonta le lucciole mi guidano
verso i sogni.
(Sofia Alvino)