Le recensioni di questo numero
di I recensori de La stanza di Virginia
“Il Signore delle Mosche” di William Golding – Mondadori 2014
Sono uscite a maggio 2014, nella nuova collana “Classici Chrysalide” di Mondadori, le rinnovate edizioni de “Il Signore delle Mosche” di William Golding e de “La fattoria degli animali” di George Orwell, con “contenuti extra” come la biografia dell’autore, una riflessione sull’opera in oggetto e “intrecci di storie, segni e suoni” “per chi vuole saperne di più”.
Quanto alla prima opera, essa fu pubblicata col titolo “Il Signore delle Mosche” nel 1954: da allora furono successo e trionfo. E’ stata la prima opera di Golding e, benché l’autore, vincitore del Nobel per la letteratura nel 1983, avesse continuato a scrivere, “nessun’altra opera, però, riuscirà a bissare il trionfo” dell’opera in oggetto – come si apprende dalla presentazione.
Ebbene sì, l’opera è avvincente sin dall’inizio, quando “il ragazzo coi capelli biondi” si ritrova in un’isola di corallo dove incontra dapprima un ragazzo più piccolo di lui, con grossi occhiali e molto grasso. I due cercano di raccapezzarsi: si rendono conto di essere su un’isola appunto dopo essere precipitati insieme a “tutti quegli altri bambini” in seguito ad un attacco aereo. Si capisce che c’è una guerra in atto e che i ragazzi si trovano soli, senza i “grandi”, gli adulti. I ragazzi, Ralph e Piggy cominciano a chiedersi se tutti gli altri bambini sull’aereo siano morti e, con una certa angoscia, riflettono sul fatto che nessuno dei grandi possa sapere dove essi si trovino. Trovano una bella conchiglia color panna che, su suggerimento di Piggy, Ralph utilizza come richiamo soffiandoci dentro. Ed ecco che cominciano a spuntare altri bambini, “teste brune, nere, castane, color sabbia, color topo; teste che bisbigliavano, che mormoravano, teste piene di occhi interrogativi che guardavano Ralph. Quel suono aveva uno scopo”. Arriva anche “una squadra di ragazzi che marciavano più o meno al passo su due file parallele, vestiti in modo assolutamente fuori del comune ... Il ragazzo che li comandava era vestito allo stesso modo, ma lo stemma del suo berretto era d’oro”. Accertata ancora una volta l’assenza dei grandi, essi concludono con la constatazione di doversi arrangiare da soli.
E così, i bambini e i ragazzi eleggono un capo, eleggono Ralph anche, se da subito, è evidente un certo antagonismo col capo della squadra, Jack, cui viene affidato il compito di guidare i “cacciatori”. Lo scenario è splendido ma i ragazzi si pongono da subito il problema di come poter essere tratti in salvo dai grandi.
Il racconto si snoda veloce e se dapprima sembra che, in quell’incontaminato paradiso terrestre, tutto fili liscio, tra adunate e assemblee più o meno democratiche, nel proseguo della narrazione l’atmosfera si incupisce: i ruoli e le cariche sono a rischio, serpeggia tra i piccoli e poi anche tra i ragazzi più grandi un senso d’angoscia che si fa sempre più opprimente. Dal primo bambino che rivela di aver paura della “cosa-che-striscia”, il timore diventa sempre più generale: è il timore della “bestia dal mare”, poi della “bestia dal cielo”, poi è un senso di timore, di paura più generale. E’ anche e soprattutto la paura primordiale della violenza cieca. Il ritmo diventa incalzante, l’angoscia cresce, le scelte “democratiche” vanno a farsi benedire, la violenza si manifesta e prende il sopravvento fino a che si arriva alla conclusione e si trae finalmente un sospiro di sollievo.
Nella presentazione dell’opera e nel retro della copertina si parla di “distopia” ma questa forse è un’etichetta un po’ forzata e sicuramente data a posteriori.
L’autore, in aperto contrasto con altre opere e altri pensatori, come p. es. J. J. Rousseau, descrive uno stato di natura che non è di bontà e candore, nonostante i protagonisti siano bambini e ragazzi. Tutt’altro! E’ uno stato in cui prevalgono gli istinti sulla ragione e sulla ragionevolezza (la voce di Piggy) e l’esercizio della violenza cieca, della sopraffazione, dell’intimidazione hanno la meglio sul buon senso e sulla “democrazia”. E’ uno stato di natura in cui homo homini lupus. Non per niente, il titolo che venne dato all’opera è uno dei tanti nomi con cui si identifica Satana, il Male. La salvezza però alla fine arriva: essa viene dal mondo dei grandi, come Deus ex machina, dal mondo della “civiltà”, almeno all’apparenza.
L’opera quindi lascia spazio alla speranza, alla luce, alla liberazione, al ritorno all’essere “bambini”, anche se non proprio “innocenti”, nel mondo dei “grandi” grazie soprattutto anche ad un lungo, a lungo represso, pianto liberatore.
C’è da chiedersi: e se ci fossero state anche le bambine, l’altra metà del cielo, nell’isola di corallo? Forse, quando fu scritto “Il Signore delle Mosche”, i tempi non erano ancora maturi anche solo per immaginare uno scenario del genere, nonostante la madre di Golding fosse un’attiva suffragetta.
Daniela Marras
“Scrivimi ancora”- Cecelia Ahern
Titolo originale dell’opera: “Where rainbows end”
Terza edizione Rizzoli BUR, ottobre 2014
“Eravamo inseparabili, ma costantemente separati”.
Si può essere separati, ma nonostante tutto inseparabili?. Può un legame sfidare la distanza? Può esistere un rapporto così profondo da resistere nel tempo, a non essere scalfito dai mille ostacoli che la vita ci pone?
Questi interrogativi fanno parte di un tema preciso, il tema della distanza, che è sempre stato raccontato e decantato fin dall'antichità, ad esempio da Ovidio, che nella sua opera intitolata “Heroides”, raccoglie alcune lettere che hanno una caratteristica particolare: sono state composte da eroine del mito, che scrivono ai loro amati ed elevano un canto che spesso è di sofferenza per essere state abbandonate, per essere così distanti da loro.
Quasi sempre vediamo l’argomento distanza accostato ad una corrispondenza epistolare, ed è interessante capire ed occuparsi di come si vive una situazione di distacco dalla persona con cui si ha un rapporto profondo.
Questo è anche il tema del romanzo “Scrivimi ancora” di Cecelia Ahern: certamente molto diversa dall’opera di Ovidio, per “mezzi di comunicazione”, ma il cuore dell’argomento è lo stesso. È la storia di Rosie ed Alex, due amici che condividono un legame difficilmente instaurabile, un legame che li porterà a sfidare il destino che crudelmente tenterà di dividerli, di lacerare il loro rapporto, portandoli a vivere a chilometri di distanza l’uno dall’altro. Alex e Rosie si terranno in contatto grazie a delle lettere, che cambieranno la loro vita, lettere che parleranno per loro a volte, e che riusciranno ad attutire lo stato di sofferenza che li pervade.
Questo non è uno dei soliti romanzi che cercano di trattare un tema così delicato ed attuale come la lontananza in modo razionale, cercando di analizzare il fenomeno: è un racconto che in sé non ha nulla di costruito, al contrario è pieno di contraddizioni, che ha uno stile linguistico molto semplice, quotidiano, costituito da una punta di ironia e comicità, anche nei momenti più bui e nell’analisi psicologica dei personaggi. Questi sono i tratti distintivi della Ahern:
Ruby: “E smettila di aspettare quello là.”
Rosie :”Quello là chi?”
Ruby: “Alex. Non dubito che sia un amico favoloso e che ti dica sempre cose dolci e meravigliose. Ma non è qui. È lontano mille miglia, lavora in un ospedale importante e abita in un elegante appartamento con la sua elegante fidanzata. E non credo proprio che stia pensando di abbandonare quella vita per tornare da una madre single che vive in un minuscolo appartamento e fa uno schifoso lavoro part-time in una ditta di graffette assieme a un’amica pazzoide che le manda mail in continuazione. Perciò piantala di aspettare e datti una mossa.”
Non c’è niente di sbagliato nell’essere single. Essere single è l’ultimo grido, oggigiorno.”
La scrittrice riesce perfettamente nel suo intento di voler trasmettere messaggi importanti affrontando una vasta gamma di argomenti, dall’amore alla delusione, dalla voglia di abbattersi alla voglia di realizzare un sogno con un linguaggio diretto, scorrevole, per nulla preconfezionato: è un romanzo che parla in parte di ognuno di noi, perché tutti noi abbiamo vissuto almeno una volta queste vicissitudini, ognuno di noi ha in parte questo dualismo che ci porta a sbagliare, ma anche a rialzarci nonostante le difficoltà che incontriamo nel cammino.
“Ieri abbiamo litigato perché non sopporto quando torce la bocca non appena dico o faccio qualcosa di sbagliato. Se dicessi che il cielo è giallo, il suo labbro superiore comincerebbe a contrarsi in uno strano spasmo convulso alla Elvis Presley. La prossima settimana credo che metterò in discussione il fatto che lui si mette sempre quegli stupidissimi calzini che gli compra la sua cara mammina. Lui li trova divertenti. Calzini gialli a pallini rosa, calzini azzurri a righe rosse. Sono sicura che anche i suoi colleghi li trovano assolutamente divertenti.”
La Ahern ha questa capacità straordinaria, trasmette positività e voglia di vivere nonostante periodi difficili, infonde allegria con il suo gioco di parallelismo tra tragedia e umorismo: l’essenza del suo romanzo è proprio questa: “È fantastico averti come amica. Se qualcosa nella mia vita va storto, mi basta guardare la tua e tutto si ridimensiona.”
Una riflessione importante deve essere rivolta anche verso gli “strumenti di comunicazione” che rendono possibile il contatto, perché è giusto soffermarsi sui sentimenti che si provano, ma un ruolo fondamentale è occupato anche da ciò che ci permette di provare quelle sensazioni. Di ciò se ne occupano Ulrich Beck ed Elisabeth Beck-Gernsheim, che nel romanzo “Amore a distanza” trattano la vicenda di un bambino ed i suoi nonni, che vivendo a distanza, si tengono in contatto grazie a Skype: “Chattare su Skype permette al nonno e alla nonna di essere nella cameretta del nipote, benché ciascuno rimanga nel proprio luogo: amore alla massima distanza come amore nella massima prossimità”.
Ritroviamo questo tema anche in un altro autore, James Patterson, che nel suo romanzo “A Jennifer con amore” tratta anch’esso di lettere, grazie alle quali il protagonista ripercorre il suo passato, vive un amore intenso. Perché anche per Rosie ed Alex le corrispondenze epistolari tramite mail hanno avuto un ruolo importante nella loro vita, sono state proprio le lettere a tenerli uniti, a parlare in certe situazioni per loro, e a dargli l’opportunità di vivere il loro amore. “Ti è mai capitato di ricevere una lettera che ha cambiato per sempre la tua vita?”. Questo è l’incipit del romanzo di Patterson, e forse la risposta di Rosie ed Alex sarebbe “sì”: quindi la scelta molto comune come si è visto della forma epistolare è molto azzeccata, permette di entrare nel vivo della situazione di lontananza, il tema principale di “Scrivimi ancora”, un tema che sta a cuore a molti. Stare lontani da una persona importante, non poter condividere ogni piccolo avvenimento della propria vita, ogni gioia ed ogni sconfitta, non è affatto semplice: è come se un pezzo di te non ci fosse, senti il bisogno di completare quel vuoto, senti la necessità di recuperare il tempo perso a causa della distanza, ma nello stesso tempo sai che non potrai mai colmarlo come vorresti, perché chi ha avuto la fortuna di conoscere un vero sentimento, che sia di amore o amicizia, ha ricevuto un dono che non potrà mai essere rimpiazzato con un altro dono. Così l’unica opportunità che resta è tentare. Tentare di riappropriarsi non di ciò che è stato, ma appropriarsi di ciò che deve ancora essere. Ecco la nota positiva della distanza: poter reinventare un rapporto tralasciando il passato, è reinventare una nuova vita.
“Non avrei mai dovuto permettere che le tue labbra si staccassero dalle mie, tanti anni fa a Boston. Non avrei mai dovuto allontanarmi. Non avrei dovuto lasciarmi prendere dal panico. Non avrei dovuto sprecare tutti questi anni senza di te. Dammi la possibilità di recuperare il tempo perduto.”
Annalisa Cattolico
“Seconda classe, lato finestrino”
Lineadaria Editore – Biella 2014
“Arrivarono il lunedì, poi il martedì e molti giorni a seguire. Andrea riprese a percorrere le rotaie di un'esistenza a metà. Un'esistenza che gli era familiare.” (cap. 11)
Andrea è solo un bambino quando viene mandato a casa degli zii in Puglia, a Porto Cesareo, senza particolari spiegazioni. E ha appena finito la quinta elementare quando, sempre senza un apparente motivo, viene fatto tornare a Torino, la sua città natale. L'unica cosa che sa è che da quando è nato suo fratello Carlo, affetto da una malattia che non conosce, a casa tutto è cambiato.
Quando torna dalla Puglia, Carlo non c'è più. Sua madre è depressa, non esce di casa, se non per portare i fiori sulla tomba del figlio defunto, e non si preoccupa di Andrea perché pensa che sia in grado di badare a se stesso. Suo padre abbandona una relazione extra-coniugale per rifugiarsi nella famiglia. E nessuno si ferma davvero ad ascoltare Andrea, nessuno osa chiedergli cosa prova “per quel fratello morto e quasi sconosciuto.” (cap. 2). Solo Roberto, suo vicino di casa e compagno di scuola, sa stargli accanto.
Poi un giorno arriva Sofia, con quel suo “profumo speziato”, una donna molto più grande di lui, sicura di sé, abituata a gettarsi a capofitto nelle occasioni che l'esistenza le offre. Ma Andrea, ormai “abituato a camminare sulla sponda della sua vita da solo” (cap. 17) continua a sfuggire alla vita.
Una riflessione amara sulla difficoltà di essere genitore, ma soprattutto di essere figlio, il figlio sano, vivo, sopravvissuto. E un elogio dell'amicizia, quella vera, quella di chi capisce quando è il momento di cambiare discorso o semplicemente di restare in silenzio; quella di chi comprende senza bisogno di domandare; quella di chi sa lasciar andare, anche quando questo significa dirsi addio, per sempre.
Eleonora Mammana