Se una notte d'inverno un viaggiatore
di Jessica Ferro
DI ITALO CALVINO
“Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo “Se una notte d'inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. Rilassati. […] Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. […]”. Pubblicato nel 1979 da Einaudi, il libro narra una storia che già dall’incipit cattura la nostra attenzione, poiché le parole sono invitanti, curiose e ci spiazzano, perché non sappiamo ancora di preciso chi sta parlando con chi. E questo non certo perché Calvino sia un autore difficile, tutt’altro, poiché la sua scrittura è sempre stata molto moderna, asciutta e ricca di originalità, sia nello stile che nei temi trattati.
La storia è scorrevole ed incalzante sin dalle prime pagine, ed anche se all'inizio potrebbe sembrare complicata, poi si capisce che siamo in presenza di una storia nella storia. Infatti, il protagonista è il Lettore che sta leggendo un romanzo (intitolato Se una notte d'inverno un viaggiatore), ma che per varie ragioni (come gli errori di stampa e di impaginazione) è costretto ad interrompere. Nella ricerca delle pagine che dovrebbero continuare la storia incontra una Lettrice che ha avuto il suo stesso problema nella lettura del romanzo. Entrambi si troveranno a leggere dieci incipit di libri diversi che non hanno nulla a che fare con la storia di partenza.
In sostanza si tratta di un metaromanzo, un romanzo che parla di sé, in cui la storia che fa da cornice è quella tra il Lettore e la Lettrice che sono alla ricerca del loro romanzo, mentre parallelamente i dieci incipit, i dieci brani incompiuti sono situati all’interno di questa cornice. È un espediente originale per parlare del piacere della lettura, in primo luogo, che nel primo capitolo è descritto minuziosamente attraverso i gesti che ognuno di noi, o perlomeno gli amanti dei libri come me, compie quasi ‘ritualmente’ quando si accinge ad aprire un libro:
“[...] Distendi le gambe, allunga pure i piedi su un cuscino […] Regola la luce in modo che non ti stanchi la vista. Fallo adesso perché appena sarai sprofondato nella lettura non ci sarà più verso di smuoverti. […] Cerca di prevedere ora tutto ciò che può evitarti d’interrompere la lettura. [...]”.
La trovata che esprime qui tutta la genialità di Calvino è l’aver messo al centro della narrazione il lettore, cioè noi, ossia la persona che di solito ne sta fuori, perché si trova fisicamente al di là del testo. Questo ci catapulta direttamente nella storia, come se l’autore ci prendesse per un braccio e ci scaraventasse dentro il suo libro. Leggendo ci sentiamo quasi osservati, sentiamo la voce dello scrittore che ci spinge nella direzione da seguire, pagina dopo pagina, sguardo dopo sguardo. Lo trovo un modo assolutamente spaesante, nel senso positivo del termine, per trasportarci in una dimensione ‘altra’, diversa dalla realtà, cosa che succede frequentemente quando ci appassioniamo ad un romanzo. Penso che sia proprio questo il motivo per cui amiamo leggere, ma anche per il fatto che in seguito si sviluppa quel senso di solidarietà tra lettori che ci fa discutere uno con l’altro di questo o quel particolare, di quel romanzo ancora non letto o di alcune sensazioni ed emozioni provate in quel determinato punto (“Cosa c’è di più naturale che tra Lettore e Lettrice si stabilisca tramite il libro una solidarietà, una complicità, un legame?” si dice ad un certo punto nel secondo capitolo).
L’amore per la lettura, protagonista assoluta, viene descritto anche come uno scontro, creativo aggiungerei, tra due mondi: quello reale in cui viviamo e quello immaginario del libro, i quali si intersecano inevitabilmente per scambiarsi piaceri ed impressioni:
“Leggere è questo: c’è sempre una cosa che è lì, fatta di scrittura, un oggetto solido, che non si può cambiare, e attraverso questa cosa ci si confronta con qualcos’altro che non è presente, che fa parte del mondo immateriale, invisibile, immaginabile […] leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà [...]”. Il mistero che aleggia tra queste righe è lo stesso che ci pervade quando scegliamo un libro, quando cioè avviene l'incontro tra i due mondi, e continua fin tanto che i nostri occhi non scorrono le parole fino all’ultima pagina.
Come esiste l’amore, però, esiste il suo corrispettivo, che in questo caso non è l’odio, ma forse il disinteresse verso la lettura, una critica che si cela, velata e sottile, a pag. 90 del romanzo:
“[...] il mondo di quelli che hanno a che fare coi libri professionalmente è sempre più popolato […] si direbbe che quelli che usano i libri per produrre altri libri crescono di più di quelli che i libri amano leggerli e basta. [...]”.
Il fulcro del testo è qui, la sintesi perfetta di ciò che accade oggi, perlomeno in Italia: si scrive tanto, ma si legge pochissimo. Questo libro è sì rivolto a chi già ama leggere, ma soprattutto credo vada considerato come un invito a chi questo non lo fa spesso o per nulla. Spesso la lettura è vista come un atto di fatica, noioso di per sé, ma bisognerebbe provare, almeno per una volta, ad astrarsi dall’atto fisico, e prendere un libro anche a caso per tuffarsi all’interno delle pagine, per vedere cosa succede. I libri sono creatori di molteplici storie, poiché quelle scritte possono trasformarsi in quelle che viviamo e viceversa (se crediamo nella loro magia), c’è uno scambio vitale ricchissimo nella lettura, ma io sono di parte (e forse poco obiettiva) su questo argomento, anche se credo fermamente che essa svolga un ruolo basilare nella crescita personale di ognuno di noi. La lettura libera la mente, come la scrittura e la musica, e se pensiamo che il libro possa essere “l’equivalente del mondo non scritto tradotto in scrittura”, allora possiamo davvero volare e capire le infinite possibilità che essa ci offre.
Anche noi stessi, però, possiamo contribuire alla ricchezza della nostra lettura, poiché, come nella vita, noi vi trasferiamo le nostre esperienze passate e mettiamo del nostro in quest’attività, così come portiamo noi stessi nelle esistenze delle persone che incontriamo:
“Ma come stabilire il momento esatto in cui comincia una storia? […] la prima riga della prima pagina d’ogni romanzo rimanda a qualcosa che è già successo fuori dal libro. […] Le vite degli individui formano un intreccio continuo ed ognuno porta con sé un tessuto di fatti, ambienti, persone […] dall’incontro deriveranno altre storie che si separeranno dalla loro storia comune [...]”. Una storia che moltiplica le storie, la molteplicità, le infinite possibilità della lettura: è quello che ci vuole comunicare Calvino lungo tutto il romanzo.
L’ultimo capito si sviluppa come una sorta di elenco di lettori tipo che interagiscono con il Lettore, segno che ognuno di noi è sempre alla ricerca di un qualcosa di speciale, anche nel mondo non scritto:
“[...] d’ogni libro non riesco a leggere che poche pagine, ma quelle racchiudono per me interi universi […] la mia lettura non ha mai fine: leggo e rileggo cercando la verifica d’una nuova scoperta tra le pieghe delle frasi […] a ogni rilettura mi sembra di leggere per la prima volta un libro nuovo, ne ricavo impressioni diverse e inattese. Sarò io che continuo a cambiare e vedo nuove cose di cui prima non m'ero accorto? […]”.
Si, è così che succede: si legge per curiosità e si finisce per cambiare, per approfondire, per viaggiare.
Il settimo tipo di lettore, però, esprime più di altri il nocciolo di ciò che spiegavo prima, ossia:
“Per me invece è la fine che conta, ma la fine vera, ultima, il punto d’arrivo a cui il libro vuole portarti […] anch'io cerco degli spiragli, ma il mio sguardo scava tra le parole, negli spazi che si estendono al di là della parola ‘fine’ [...]”. Oltre la parola data, scritta, il paesaggio continua e si estende, e vi è un passaggio dal libro a noi che abbiamo cercato di interpretarlo e di coglierne il senso più profondo. Noi siamo creatori insieme allo scrittore, sembra volerci dire questo ultimo lettore, di quello che avviene nel libro, perché le frasi, insieme agli spazi bianchi, ossia il non detto, ci consentono di completare quello che l’autore vorrebbe esprimere con il suo testo, infatti il settimo lettore chiede al protagonista: “Lei crede che ogni storia debba avere un principio e una fine?”. Per qualcuno forse sì, per altri no, non c’è una risposta giusta e una sbagliata, perché la scelta è libera, ma sta di fatto che una certezza esiste:
“Ciò che c’è (nel mondo reale) sente oscuramente il vuoto nella propria incompletezza”, quello che ci manca, quindi, lo possiamo trovare nei libri, un giorno, magari per caso.