Ipazia, l'intellettuale di ieri e di oggi
di Fiammetta Mariani
Ipazia, l'intellettuale di ieri e di oggi
Era una sera di fine aprile 2010 quando venni a conoscenza, per la prima volta, dell'esistenza di Ipazia. Ero all'uscita di un cinema di periferia a Roma, quella sera, ed avevo gli occhi lucidi. La scena in cui, in Agorà, i cristiani distruggono la piccola biblioteca del Serapeo d'Alessandria, mi aveva spezzato il cuore. Ma a riempirmelo ci pensò Ipazia, interpretata nel film da un'incantevole Rachel Weisz. La prima domanda che mi posi il giorno seguente fu: "Chi era davvero Ipazia d'Alessandria, la filosofa e scienziata della tardoantichità? E fu soltanto questo?". Non saperlo mi divorava. Da quel preciso istante nasce la mia curiositas per Ipazia e tutto il suo mondo; a più di un anno di distanza (dopo mesi di letture, studi e visioni di dibattiti) ho trovato la vera Ipazia: la donna e l'intellettuale neoplatonica, la sacerdotessa e filosofa che con la sua morte ha inaugurato l'inzio dell'età bizantina. Ipazia nasce presumibilmente attorno al 370 d.C. in un periodo storico difficilissimo per Alessandria. Da secoli città simbolo della cultura dell'Impero Romano, facente capo sia all'antica paideia, ovvero alla tradizione ellenica, quanto all'ermetismo egizio la cui pratica di assorbimento nel pensiero dominante era ritenuta mansuetudine durante la conquista dei Romani. Sede della Grande Biblioteca, la città di Alessandria godeva di una reputazione altissima fra le province dell'Impero per essere uno dei maggiori centri di studio. Alessandria possedeva una sorta di moderna Università che prendeva il nome di Muzeum, nella quale Ipazia era titolare di una cattedra (probabilmente stipendiata dallo Stato) e dove si insegnavano le quattro discipline del quadrivium platonico. La sua fama si radicò ben presto in tutte le provice arrivando sino a Costantinopoli e forse anche a Roma; scienziati di mezzo mondo e di ogni appartenenza religiosa, accorrevano per assistere e partecipare alle sue lezioni.
Ma il profilo di Ipazia non concerne solo il suo ruolo di magister; come scrive Suida (il lessico bizantico del X secolo), qui nelle parole di Esichio, ella era «eloquente e dialettica (dialektike) nel parlare, ponderata e piena di senso civico (politike) nell'agire, così che tutta la città aveva per lei un'autentica venerazione e le rendeva omaggio». Non era certo ciò che noi oggi comunemente defineremo una santa, né un simbolo - come poi è divenuta nei secoli - anzi tutt'altro. Apparteneva piuttosto all'antica schiera dei Saggi, coloro che per le proprie conoscenze in svariati campi del sapere e per l'autorità raggiunta fra la schiera dei politici, venivano interpellati dai rappresentanti delle istituzioni pubbliche e dai quali spesso dipendevano le sorti della gestione delle città. Nonostante le origini aristocratiche e l'aristocratico modo di intendere la polis e i suoi luoghi - in primis l'agorâ - alcune fonti parlano di lei come la donna che usava spiegare pubblicamente Platone, Aristotele o altri filosofi antichi a chiunque lo volesse senza distinzione di ceto; in realtà (sottolinea Silvia Ronchey), la parola "pubblicamente" o "per la pubblica via" è da intendersi non come l'abitudine di filosofare per le strade della città (sempre più minacciose ai quei tempi), ma come la tendenza a praticare un certo esoterismo. Si presume usasse richiamare in casa un numero cospicuo di allievi, forse i più bravi, o anche soltanto persone che non seguivano abitualemente le sue lezioni al Muzeum, rivolgendo a loro i suoi insegnamenti più mistici e probabilmente ritualistici. A chi si chiede come sia possibile che la Ipazia citata spesso come l'astronoma, la matematica o più in generale la scienziata, possa essersi occupata di simili cose, suggerisco la risposta. Sappiamo, ed è appurato, che Ipazia aderisse al neoplatonismo, alla frangia neopitagorica erede di un'atichissima tradizione astrale, astrologica e numerica: entrambe scuole di pensiero, ma soprattuto pratiche di vita nelle quali era impossibile distinguere gli interessi scientifici da quelli mistici. La concezione della conoscenza fin tutto il medioevo, faticava a discernere fra razionale e irrazionale, fra fede e ragione diremmo noi oggi volendo semplificare. Tutte le cose del mondo e del cielo, venivano approcciate con gli strumenti di una scienza polivalente che, seppur depurata dalle credenze del vulgo e dalla dogmatica, manteneva un rapporto intrinseco con il trascendentale. Era questa la richezza di Ipazia e il fascino da lei esercitato, di cui tutte le fonti ci parlano: la sua bellezza non era così strettamente connatura ai suoi tratti fisici (come una copiosa eredità letteraria ha voluto farci credere) bensì al suo essere sacerdotessa, scienziata e politica allo stesso tempo. La sfortuna di Ipazia sta nella sua sorte; nell'essere stata al centro di una bega di potere, fra il vescovo cristiano Cirillo e il prefetto augustale Oreste - massima carica imperiale in Alessandria. Il suo brutale assassinio, compiuto nell'anno 412 d.C. per mano dei parabalani (milizia armata del vescovo stesso), è frutto dell'invidia di un uomo pubblico, come era Cirillo, nei riguardi della donna di potere e della sacerdotessa più famosa dell'Impero, alla quale forse volette strappare il primato di maggiore interlocutrice del prefetto. Ciò che più ci rammarica oggi, non è tanto sapere quanto e come si rese complice e colpevole Cirillo dell'eccidio, ma il fatto che di lei non ci rimanga alcun testo scritto da cui partire per verficare il pantheon di dubbi in cui fluttua la memoria del suo ricordo e su cui molti studiosi continuano ad interpellarsi.
Lasciandoci alle spalle e sorvolando la copiosa serie di problematiche inerenti il suo vissuto, i suoi presunti scritti, i suoi insegnamenti, il rapporto con i suoi discepoli, Ipazia oggi può rappresentare molto per le donne. Comprendendo realmente quale fu il suo vero ruolo nella società a lei contemporanea, dopo averla svestita di tutti quei vessilli e quegli stereotipi che una certa letteratura le ha cucito addosso, dovremmo chiederci se vi siano oggi donne intellettuali, capaci e possibilitate a ritagliarsi il posto che ella si ritagliò fra i suoi pari. Se esista, allo stesso tempo, una società che si occupi delle donne, della loro storia, del loro pensiero, dei loro contributi alla scienza che dia voce alle loro voci. Sento che questo non è ancora possibile oggi, e sento forte l'esigenza di conoscere quale sia la strada che il genere femminile vuole percorrere, come interpreti e decostruisca il proprio immaginario o intrattenga rapporti con l'altro sesso. Tutto ciò rende Ipazia personaggio d'attualità da porre all'interno di un dibattito intellettuale ampio: partendo dalla concezione che sta assumendo in questo secolo, l'apparire femmina o femminile piuttosto che l'essere donna o il provare a pensarsi tale. A fronte della permanente alienazione dell'essere a favore dell'apparire (it doesn't appear, doesn't exist) il concetto di donna viene equiparato e ridotto a quello di femmina o, nel caso opposto, a quello di iena. Alla perpetua ricerca della femminilità, vittima di una dittatura simbolico-rappresentativa a cui doversi costantemente rifare, si presuppone che le donne spendano la propria vita per raggiungere un modello iconografico impossibile da emulare. Molto più che all'uomo, alla donna viene chiesto di assoggettarsi a vivere la femminilità - massima espressione della propria essenza - attraverso canoni ben precisi. A partire dagli standard proposti dalla pubblicità, passando per il modello unico di corpo femminile propugnato dalla televisione, il circo mediatico si fa promotore di uno stereotipo a senso unico, al quale sembra dover rispondere la vera donna. Ipazia era assolutamente distante dal pensarsi schiava di modelli di costume ai quali rispondere per essere socialmente riconosciuta o, peggio ancora, riconoscibile a se stessa. Lei era semplicemente libera, vera, in virtù della sua intelligenza e del suo sapere, messi a guida della propria coscienza. La sua popolarità era direttamente proporzionale al suo impegno nello studio e alla forza delle sue argomentazioni, che per molti restavano inconfutabili. L'evidenza del fatto che fosse l'unica donna a tenere lezioni, fra un copioso numero di uomini, non la imbarazzava affatto, né la rendeva meno autorevole. Chi meglio di lei, può rappresentare un modello altro per le donne di oggi; altro da ciò cui ci impongono d'assomigliare.
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