Diritto e rovescio

Quando l'ironia non fa ridere. Cronaca di un pessimo giornalismo

di Francesca Pacini

AllamUn esempio di pessimo giornalismo firmato da Magdi Cristiano Allam.

Un titolo ironico legato a una tragedia è qualcosa che rispecchia la profonda ignoranza, la superficialità, il consumismo mediatico dei nostri tempi. I giochi di parole sono i benvenuti, nei titoli, ma non in casi delicati e drammatici come questo.

Del resto, che aspettarsi da certi giornali e giornalisti?

Che rovinano il lavoro di altri che, in silenzio, senza meno clamore, cercano di raccontare il mondo e la società.

Lo spazio già esiguo si riduce ancora per chi ha scelto un modo diverso di fare giornalismo.

La fotografia scelta per il libro inchiesta (inchiesta? siamo sicuri?)  rivela un gusto pessimo quanto il titolo del libro. Mi mancano i giornalisti veri, i libri seri, i giornali che scavano nella realtà senza cercare il consenso circense ottenuto con il ricorso a strategie da baraccone.

Purtroppo, oggi, il declino del buon giornalismo è un dato di fatto.

 

Io sono Malala

di Ilaria Ciattaglia

iononomalala«Perché non io?». Io sì che volevo che il mondo sapesse che cosa ci stava succedendo. «L’istruzione è un nostro diritto», dissi. Esattamente come è un nostro diritto cantare. L’Islam non ci ha negato questo diritto, anzi, prescrive che ogni ragazzo e ogni ragazza vadano a scuola.
Perché non lei? Malala Yousafzai, attivista pakistana, candidata al premio Nobel per la pace per il suo impegno nella lotta per l’emancipazione delle donne musulamane; portavoce del diritto all’istruzione gratuita a tutti i bambini durante l’assemblea delle Nazioni Unite; vittima di un attentato quasi mortale da parte dei talebani, da cui è stata ferita con un proiettile, che l’ha colpita alla testa e al collo mentre tornava a casa da scuola. Perché non lei? Malala Yousafzai, sedici anni.
Io sono Malala è un libro sì autobiografico, ma anche e soprattutto di informazione e denuncia; un libro per tutti perché, come sottolinea la giovane attivista, tutti devono sapere quello che succede nella sua amata terra, lo Swat, una splendida valle situata a nord del Pakistan.
Non ha paura di parlare Malala, perché sa che ogni sua parola di denuncia è un passo in più verso quella libertà che i talebani hanno sempre privato alla comunità pashtun. Racconta così la storia del Pakistan, nato solo nel 1947, ma negli anni profondamente colpito sia dalle forze naturali, il terremoto del 2005 e la devastante alluvione del 2011, sia dalle forze umane, ossia la presa di potere da parte dei talebani.
E mentre i fucili e le bombe sono le armi usate per uccidere e aumentare il clima di terrore nella valle, Malala a undici anni comincia a scrivere su un blog della BBC, narrando la vita sotto il dominio talebano. Nei suoi pensieri il Corano viene descritto come “arma” fondamentale per dimostrare i veri insegnamenti dell’Islam, tra cui il diritto di ognuno all’istruzione e l’importanza della donna, non vista come elemento nascosto sotto il purdah e completamente dipendente dall’uomo, ma come suo pari. Proprio attraverso questi aspetti la giovane ci presenta la sua famiglia: la madre, una donna non istruita, ma con un grande senso dell’altruismo e, per sua scelta, dedita alla casa e ai figli; e il padre, dirigente scolastico, il suo punto di riferimento più importante, colui che la incoraggia a proseguire la sua battaglia per la libertà, nonostante sa che questo suo esporsi può costarle la vita.

Mio padre mi diceva sempre: «Ci sono io a proteggere la tua libertà, Malala. Continua a coltivare i tuoi sogni».


Scritto a quattro mani con Christina Lamb, importante corrispondente di guerra in Pakistan e Afghanistan, nel libro emerge la semplicità di linguaggio che appartiene alla stessa Malala, un’adolescente di sedici anni.
Un libro importante, sia per il forte racconto della protagonista sia per una documentazione più didattica, mirata all’informazione sulla storia e sulla situazione attuale dei paesi colpiti dalla politica del terrore talebano.

Dopo l’attentato alla sua vita nell’ottobre 2012, Malala è stata trasportata d’urgenza all’ospedale di Birmingham in Inghilterra, dove viene salvata, riacquistando pian piano l’80% della mobilità facciale. Da quel fatidico giorno la ragazza non ha “ancora” fatto ritorno nel suo paese, ma ciò non la sta fermando, continua apertamente la sua lotta per la libertà delle donne e per l’istruzione globale.

Le radici di una vita

di Raffaelina Di Palma

cartinaLeggere la storia significa imparare a entrare nella propria coscienza, in maniera istintiva, preservando un linguaggio libero e personale senza cedere all’imperativo della specializzazione che lo rende freddo e distaccato; acquisendone la padronanza si contribuisce a rinnovarlo e a trasmetterlo di generazione in generazione.

Tra mille dubbi e mille incertezze, questa analisi mi porta, molto frequentemente, all’amata terra del Sud in un insieme di miti, leggende e tradizioni che ne hanno tracciato una parte, la più importante della mia vita.

Il Mediterraneo è quell’antico crocevia che unisce l’incontro continuo e costante di culture che, attraverso secoli di storia legano, indissolubilmente, il passato al presente.
Terra armoniosa e solare il Mediterraneo, dalle evocazioni mitiche che la passione viscerale e inconscia mi fa da guida verso l’ambito della sua fonte storica: passione che si è evoluta nell’arco di un tempo lunghissimo e attraverso una grande sofferenza si è trasformata in una presenza, concreta e reale, di gente appartenuta ad un’altra epoca, i cui valori sento più vivi che mai, particolarmente ora che ne vivo lontana.
Il ricordo della mia gente appartenuta al mondo contadino risveglia in me la voce delle muse dei boschi, delle ninfe dei fiumi mi porta nella Magna Grecia, quella meravigliosa terra che, pur con le sue contraddizioni e le sue crudeltà, rimane il custode dei dolori ma anche dei veri valori dell’esistenza umana.

La costante ricerca di un dialogo che fa da sottofondo alla mia origine e alle mie radici per una libertà individuale e collettiva, che costituisce e tesse la trama di una memoria storica e libera con la quale si può evitare che lo spazio lasciato dalla lontananza diventi vuoto e solitudine.
Il sentimento della solitudine lo intendo come evoluzione il cui linguaggio si trasforma in cultura: è il segreto; è una sorta di transizione che mette in risalto le problematiche della storia e dei temi sociali.
La critica è necessaria per congiungere l’essenza della vita alla letteratura; Omero, il grande cieco, ce lo insegna con la sua poesia; “quando l’uomo dialoga con l’uomo anche la parola più dura si ammorbidisce: esso ritrova la sua foce, la sua mente si apre, matura e nella sua concezione più pura ritrova quegli spazi nei quali egli riesce ad esprimere liberamente la sua innocenza poetica che, troppo spesso, rimane nascosta nel suo animo”.

Possiamo trovare il desiderio di dialogare anche nei versi di un poeta: quel ricostruire l’uomo attraverso l’estetica dell’arte e della fantasia più pura crea la memoria collettiva, il senso di appartenenza e di condivisione che forma, insieme con il lavoro dell’uomo, il collante da cui nasce il legame tra passato e presente. Se manca un vivace dialogo tra questi due tempi cala il sipario del silenzio; la storia dell’umanità si impoverisce, perde la sua natura corale, essa non percepisce più le suggestioni del trascorrere e del cambiamento del tempo, restando così ostaggio del passato.

Gli scambi culturali sul Mediterraneo cominciarono con la navigazione delle prime rudimentali navi costruite dai primi carpentieri: con gli scambi culturali si fusero le leggende e insieme con i racconti mitologici, le sue coste, videro nascere anche le guerre per la conquista di nuovi territori.
L’uomo moderno brucia tutto ciò che vive in maniera spasmodica anche la parte più intima di se stesso; esso dovrebbe anzi, deve, intessere un dialogo con la propria terra d’origine dalla quale ha ricevuto l’eredità delle proprie radici che lo accompagnano, sin dalla nascita, nel difficile e contorto percorso della vita.

Eraclito ci insegna che ad ogni uomo è concesso il dono della conoscenza e della saggezza attraverso le quali progetta e costruisce la sua libertà: l’autentica libertà.

Gli uomini sono e devono essere depositari di quelle tradizioni che spiegano e danno l’entusiasmo per il prosieguo nella vita.
Ma spesso quegli stessi uomini chiedono anche di essere salvati da un pericolo o chiedono aiuto per intraprendere le loro avventure; così, attraverso la solidarietà, gli affetti, i sacrifici, essi riescono quasi sempre a ricostruirsi un tessuto umano e famigliare. Accettando l’esistenza per quella che è, essi ritrovano la quiete; l’uomo parli all’uomo impegnandosi non nella menzogna ma nella verità.

Se è vero che i viaggi della mente sono dei ritorni ai luoghi d’origine, alle proprie radici, alla terra degli antenati, il Mediterraneo, per me, è tutto questo; l’appartenenza a questa terra ha dato, pur tra mille difficoltà, stabilità alla mia vita.

 

Un solo sguardo

di Anna Bertini

ChakarIl giovane soprano Pervin Chakar, nata in Turchia ma appartenente alla minoranza curda, ha studiato canto lirico e iniziato una brillante carriera in Italia. Recentemente ha ricevuto prestigiosi premi per la sua voce e la sua arte. (www.pervin-chakar.com)

Come componente della commissione di un concorso ebbi modo di premiarla e ascoltarla ancora debuttante. Ho continuato a seguire le vicende di vita di questa donna molto sensibile e volitiva, che con intelligenza e perseveranza ha affrontato la difficile strada che dalle periferie di un oriente lontano culturalmente e spazialmente, l’ha portata, non senza sacrificio, ad affacciarsi sulle scene della lirica internazionale. Oggi Pervin si impegna in prima persona contro l’isolamento del suo popolo, contro la censura in Turchia, e da concerti nelle sue terre in nome della pace, della libertà e la democrazia per il suo popolo.

Mi ha permesso di scrivere su questa foto che ha scattato insieme a sua nonna Emine, in occasione di una visita che le ha fatto. La nonna abita ancora in un piccolo villaggio nei pressi di Mardin, in Kurdistan.
Questa foto ha per me una grande valenza simbolica, e ne ho voluto scrivere, per parlare di destini straordinari di donne.

A volte quando aspetto con le mani conserte qualcosa, qualcuno, e punto lo sguardo sulle mie stesse mani, sulla posizione delle dita, la loro forma, il loro modo di star dritte o leggermente piegate, di prendere rapporto nell'intreccio, vedo le mani di mio padre, non le mie. In quel momento le mie mani sono le sue mani. Le rivedo, curate, piccole ma eleganti. Non sono le mie, sono le sue. In auto mentre aspettiamo la mamma, o in fila in qualche ufficio. O io davanti a lui che sta seduto nella sua poltrona e intreccia le mani, fa movimenti con le dita, scandendo un tempo che passa lento. Ci sono delle eredità pregnanti nel nostro essere; la continuità tra noi e un consanguineo si manifesta apertamente nel corpo.Un giorno ho visto una fotografia di Pervin con sua nonna e sono stata risucchiata nel loro sguardo. C'era un legame così forte, una confluenza.Eppure l'esistenza di una giovane donna integrata nel mondo occidentale è cosi' diversa da quella della sua ava che porta scolpito sul viso il geroglifico della vita dura e nomade, di terreni pietrosi e ingrati, di popoli negati di una identità. Da una parte ci sono figli aiutati a crescere forse con pochi mezzi materiali ma con saggezza e coraggio; un matriarcato silente e invisibile, che trascina i destini dei popoli tra confini franosi. Dall'altra un talento e una passione, che Pervin ha studiato per realizzare, lasciando la propria terra e portando con sé la paura di non farcela, di tradire il sacrificio dei padri che si sono inchinati al suo sogno per renderlo possibile. Pervin canta. La sua voce si erge alta sopra chi la ascolta, e porta il suo sentimento per le vie uditive fino al nostro: è in quella sfera così esclusiva e importante che lei avvicina due sensibilità diverse. Pervin ha lo sguardo di sua nonna impiantato nelle pupille scure. Vede il mondo con profondità, sa cos'è il dolore e vive e condivide la gioia. Anche la sua strada non è stata facile. Pervin ha percorso strade di radici intricate, ha soffocato la sua voce autentica per molti anni, usando molte lingue e mai la sua. Ma attraverso quei sentieri impervi ci ha confermato che la musica e' talmente universale da contenere tutti gli idiomi, tutte le espressioni, tutte le salvezze. Pervin si stringe a sua nonna ed entrambe guardano, con un po' di smarrimento, nell'obiettivo. Questo ritratto restituirà  la loro anima intera a chi le guarda, o c'è qualcosa che puo' andare perduto, svilito? No. Per fortuna dentro di loro, in fondo a quello sguardo, tutto è troppo denso, indelebile.A terra tappeti, dietro tendaggi. Gli abiti di Pervin sono i nostri, ma nella loro semplicità non contrastano con quelli della nonna; lei col copricapo bianco che fascia la testa, la tunica a piccoli fiori bianchi e neri, un decoro così simile a quello del vestitino scollato azzurro e blu della nipote. I ricci neri e lucidi di Pervin le scendono lungo il viso. Questo luogo lontano alle porte dell'Oriente, dove Pervin stringe sua nonna alle spalle, pare universale e accogliente. Uno spazio spoglio ma caldo dove tutte le donne che vivono coraggiosamente la propria vita basandola su valori essenziali e concreti, portati avanti con impegno e consapevolezza si possono ritrovare vicine e dimenticare le differenze. La bellezza è forse solo essere profondamente se stessi. Non barare, non fuggire dalla propria realtà e identità. Pervin e sua nonna sono la bellezza più vera. Il loro sguardo è un unicum. Pervin ha preso in eredità quegli occhi e il loro gorgo di esperienza e li porta fieramente in giro per le nostre strade come un dono, un viatico. Così sua nonna e la dolcezza della sua forza giungono fino a noi, attraverso il canto e la bellezza di Pervin, immutati. Le distanze e le diversità si cancellano forse solo così, lasciandole convivere dentro di noi, in un dna universale di questa epoca che ha bisogno di guardare in fondo alla verità dell'uomo.

Dal linguaggio dei messaggi alle nuove frontiere della comunicazione

di Stefania Tolari

smsIeri sera stavo tranquillamente chattando con un "amico" con cui intrattengo una relazione virtuale basata sulla passione comune per la scrittura e la letteratura e che, vivendo lui a Seattle e io a Siviglia, non ho mai visto in persona. Fatto sta che e mi è arrivato sul cellulare un messaggio: “Come stai?”. Era la nonna. Anche lei si è munita di WhatsApp.
È già qualcosa che non abbia scritto: “6 a casa?K fai?io lavoro a maglia.1 po di dolori cmq tutto ok”, ho subito pensato. Comunque ho salutato il mio amico e mi sono messa a pensare alla risposta, concisa ma chiara, da doverle dare attraverso quel mezzo, nuovo per noi due.
Non è stato facile. Ho cancellato diversi messaggi prima di schiacciare la fatidica freccina dell’invio. Abbreviazioni: via! Non le capirebbe. Qualche parola colloquiale e regionale? Certo, le conosce bene e poi ai messaggi “donano”. Termini tutti nostri come “il tuo topino”? Sì, possibili, ma con attaccata una faccetta che ride; quella iconica è una comprensione universale.
Alla fine ho partorito un testo parecchio più lungo di quello che avrei scritto a un coetaneo, spero dolce ed efficace e grammaticalmente corretto, al quale, chissà perché, lei non ha risposto.  
Durante il tempo di quell’attesa frustrata, ho commentato la cosa con Bittlejuice, l’amico con cui stavo chattando (nonostante ormai possediamo parecchie informazioni l’uno dell’altra e possiamo azzardarci a dirci legati da una certa forma di strana ma profonda confidenza, continuiamo a chiamarci reciprocamente per nickname, come se quel nome identificasse qualcuno di diverso dalla persona che tutti i nostri contatti "reali" conoscono). Fatto sta che, dopo un breve scambio di “xé” e “x come”, eravamo tutti e due lì a cercare come forsennati informazioni sul tema della serata (mia. Lui era in pausa pranzo): il linguaggio dei messaggi, nuove frontiere della comunicazione scritta.
-    Bittlejuice: ma tu guarda se qsto morbo
si deve espandere
oltre fasce generazionali concesse
-    Lasottoscritta: ma xé, te quanti anni hai?
Lei 77. Te? molti meno? ;-)
-    Bittlejuice: 52 per sua inform son molti meno. cmq nn c'entra :-))))
-    Lasottoscritta: come non c’entra?
-    Bittlejuice: va beh. Il fatto è che fa ridere
・    Lasottoscritta: va a sapé. c sta pure k ora scopro una parte nuova della nonnetta sprin k prima nn immaginavo.
La pierina è un mito! hahahahaha
-    Bittlejuice: quello si. puo essere
-    Lasottoscritta: infondo c sono un mukkio di persone k conosco solo da come scrivono
-    Bittlejuice: me compreso
・    Lasottoscritta: te compreso
stia attento Bittlejuice k io la analizzo, sa?
-    Bittlejuice: Vedo vedo. Prendo atto
i miei ossequi signorina, la saluto k m informo
Quel che è emerso l’ho trovato particolarmente interessante, anche perché sono da sempre affascinata dai meccanismi della comunicazione. Mi piace osservare su me stessa le dinamiche psicologiche che si instaurano nelle relazioni sociali, quelle basate sulle nuove modalità di interazione, e anch’io faccio uso, un po’ per scelta un po’ per necessità, di molti di quei nuovi mezzi di scambio “a distanza” che dominano il presente. Possiedo inoltre uno smartphone e un profilo su Facebook e il mio utilizzo di chat e WhatsApp è stato tardivo ma in qualche modo obbligato. In primo luogo perché molti componenti della mia famiglia sono sparsi per il mondo e poi, diciamo pure la verità, perché cominciavo a sentirmi isolata da certe informazioni e riferimenti scherzosi in circolazione nel mio gruppo di amici, “lontana” da qualche contatto che, non a caso, ho ristabilito proprio grazie alla comunicazione scritta (troppo tempo che non ci si sente, che faccio? La chiamo? E se non sappiamo più cosa dirci e risulta imbarazzante? Magari, prima un messaggino non guasta).
Certo, ero una di quelle che affermava convinta: “Anche quando avrò WhatsApp, a parte che per qualche rapida comunicazione di servizio, due o tre scherzi cretini e qualche foto da condividere, io continuerò a chiamare”. Sì, certo... Come no. Sono anche tra quei puristi che, nei loro messaggini, a costo di metterci il doppio del tempo a scrivere, stanno generalmente e per quanto possibile attenti a non inserire errori grammaticali, strafalcioni dovuti alla fretta e segni di disprezzo dichiarato per la grammatica. Eppure riconosco di non avere mai usato tanto come ora la scrittura (e di lettere chilometriche, diari e racconti, si badi bene che ne ho sempre scritte a iosa). Scrivo messaggi, a volte per informare, altre volte solo per mantenere contatti affettivi con le persone che mi circondano; chatto con persone care che vivono lontane, con amici che non sento telefonicamente da tempo e con gente con cui condivido le stesse passioni e scambio informazioni di comune interesse; intrattengo, infine, proficui e densi avvicendamenti di lunghe mail con individui che, a volte, non ho mai nemmeno conosciuto di persona: i tutor dei corsi a distanza a cui mi sono iscritta, gli autori che scrivono come me sulla stessa pagina di narrativa... È persino nato qualche racconto a quattro mani e una tesina di gruppo, grazie a questa modalità “a distanza”.
Ecco perché, forse, anziché chiudermi a riccio e tacciare di superficiale, negativa e futile questo tipo di comunicazione dilagante, credo sia il caso, piuttosto, di conoscerne le caratteristiche, rintracciare tra di esse quelle positive e, di conseguenza, saperle sfruttare.  
Riassumendo e ricompilando le informazioni che si possono facilmente trovare su Internet (fonte: Linguaggio degli SMS - Wikipedia) il linguaggio degli sms e la forma di comunicazione che da essi è passata ad altri mezzi sono, oggi, diventati il principale medium di massa di interazione scritta, inaugurando, di fatto, una nuova epoca della comunicazione. E l’importanza del fenomeno ha stimolato una ricca serie di approfondimenti da parte di linguisti, studiosi della comunicazione, sociolinguisti, psicologici e altri specialisti. Questo linguaggio si è infatti presto diffuso anche in ambiti diversi della comunicazione telematica (le chat, le hashtag, i forum, gli whatsapp, persino un certo modo di scrivere le e-mail e qualche blog), perfino laddove il suo uso non è giustificato dalle limitazioni estrinseche di spazio, né da quelle economiche imposte dal mezzo; dove, cioè, si dispone di una tastiera completa e non si deve sottostare a limitazioni di lunghezza o scontare restrizioni dovute al costo dei singoli messaggi.
Si tratta di un linguaggio specifico, un idioletto; vale a dire: di un insieme di usi linguistici propri e caratteristici di un piccolo gruppo di parlanti, e richiede una particolare competenza nella comunicazione scritta, connotata da precise specificità e munita di peculiari requisiti, caratterizzata cioè da certi connotati ottenibili con scelte linguistiche e concettuali attive e consapevoli. Quali?
-    Brachilogia: concisione, eliminazione di prolissità e ridondanze, sintesi dei contenuti. L’esigenza di brevità e velocità implica la riduzione o l’espulsione di molti di quegli elementi di ridondanza linguistica che fanno, normalmente, parte della comunicazione parlata, anche telefonica, e della comunicazione scritta tradizionale. Si tratta di elementi formali, referenziali, e pleonastici, che arricchiscono il contenuto informativo anche a costo di qualche ripetizione, e vengono solitamente utilizzati, in molti contesti comunicativi, per migliorare l’affidabilità nella trasmissione e ricezione del messaggio e per renderlo più facilmente comprensibile al destinatario.
-    Violazione delle regole linguistiche della produzione scritta (uso della maiuscola spesso carente o del tutto assente, mancato rispetto della corretta ortografia, ecc.), delle convenzioni tipografiche (la punteggiatura è spesso omessa, assenza di spazi dopo i segni di punteggiatura, assenza di accapo, ecc.) oppure uso di tali convenzioni in maniera non standard (uso ripetuto e abbondante dei puntini sospensivi, assemblaggio di segni di interpunzione diversi, adozione di alcuni artifici di scrittura quali le frequentissime abbreviazioni, le forme semplificate, sincopate e apocopate ecc.).
-    Regole della sintassi disattese: sintassi assente o estremamente semplificata, predominio della paratassi (la costruzione attraverso giustapposizione di frasi, senza elementi di collegamento), e uso dello stile nominale.
-    Uso di componenti gergali e dialettali. La varietà della lingua utilizzata è normalmente quella di un linguaggio medio o basso, strutturalmente semplificato, che si avvicina al registro linguistico del parlato con inflessioni gergali, dialettali, idiolettali e la presenza di notevoli dosi di corruzione e alterazione dovute all'uso esteso di forestierismi.
-    Uso di elementi extra-verbali. All’arsenale di strumenti testuali, si aggiungono elementi extra-verbali, come emoticon o smiley, composizioni grafiche, e altri artifici simili. Questi tendono a riprodurre e simulare nella parola scritta, in maniera iconica, mimetica e icastica, elementi tipici della comunicazione paralinguistica orale, normalmente estranei allo scritto. Aggiungono, altresì, al testo un certo tenore e una determinata temperatura emotiva, al pari di quanto avviene con gli elementi paralinguistici ordinariamente dispiegati nella comunicazione orale e non riproducibili nell'ordinaria scrittura (o comunque non traducibili se non a prezzo di una perdita di concisione e tempestività). Parliamo di elementi cinesici come mimica facciale e scelte prossemiche, e di tratti prosodici o parasegmentali come lo sono il tono e le inflessioni della voce).
Alcune di queste scelte tendenti a raggiungere obiettivi di concisione sono specifiche di questo linguaggio. Lo sono per esempio la violazione delle regole linguistiche della produzione scritta e l’adozione di alcuni artifici. Altre scelte non sono invece specifiche della comunicazione tramite messaggio e appartenevano già allo stile delle cartoline postali o dei titoli di giornale. È il caso, innanzitutto, delle scelte sintattiche semplificate.
La rarefazione degli elementi ridondanti, unita all’alterazione dell’ortografia e delle regole grammaticali, può opporre ostacoli alla comprensione del testo. Tuttavia soccorre, in questi casi, la capacità di interpretare le allusioni del recettore e gli elementi di conoscenza condivisi dai due soggetti; in una parola: la competenza pragmatica del ricevente e la sua capacità di valutare il contesto linguistico a cui appartengono i segni e l'intenzione dello scrivente.
Al linguaggio degli sms e suoi derivati rispondono, inoltre, regole non scritte di comunicazione.
-    Una di queste regole è quella secondo cui il messaggio inviato ottiene di norma un riscontro immediato, sempre tramite messaggio. Perfino quando non è richiesta risposta può esservi la necessità di comunicarne l’avvenuta ricezione.
-    L’altra tendenza (nata probabilmente per evitare l’invio di un successivo messaggio) è far seguire a una domanda posta all'interlocutore la propria risposta alla stessa domanda: «Sei stato poi stato al concerto? Io sì, con mio fratello».
-    Infine, si riscontra una consuetudine alle “risposte a raffica”, vale a dire un’unica serie di repliche alla molteplicità di domande presenti nel messaggio a cui si risponde.
Da questa serie di caratteristiche, di per sé parecchio varie, emerge tuttavia una connotazione di notevole coerenza e regolarità stilistica di ogni scrivente, suscettibile perfino di essere sottoposta a un'analisi stilistica tesa ad accertare l’autenticità della scrittura di un certo soggetto; cosa che è effettivamente avvenuta in casi di processi e di atti giudiziari.   
Ma per rispondere a quali esigenze si impiegano questi stratagemmi? Studi sociolinguistici hanno messo in evidenza come il canale dei messaggi assolva a molteplici funzioni.
La primaria tra queste è ovviamente quella comunicativa e referenziale in senso stretto, che risponde a una specifica caratteristica di concisione. A essa sacrifichiamo l’elaborazione meditata e pianificata degli scritti. L’esigenza che questa caratteristica esprime proviene a sua volta dalla necessità di istantaneità, immediatezza e velocità (della comunicazione, ma non solo) che domina il nostro presente. Ma si tratta di una tendenza naturale o specifica della nostra era? O esisteva già in precedenza? E, se sì, quali possiamo considerare come gli “antenati” degli sms?
Il conseguimento di forme di economia nella comunicazione rappresenta un’esigenza interna e costante del linguaggio, che si manifesta, per esempio, nell’accorciamento, con il tempo, della pronuncia delle parole. Tuttavia, nel passato, forme simili di comunicazione esistevano legate esclusivamente a motivi di carattere economico. L’adozione di questa forma di linguaggio ripropone, infatti, in una forma nuova, un fenomeno che esiste da molti secoli: le abbreviazioni epigrafiche, che permettevano di ridurre la lunghezza dei testi incisi rimpicciolendo così la dimensione del supporto lapideo e il tempo necessario per la realizzazione dell’epigrafe. Analoghi vantaggi si avevano nella faticosa scrittura su altri supporti, come le tavolette cerate dell’antichità. Inoltre, la scrittura abbreviata era già particolarmente presente nelle scritture medievali, adottata dagli amanuensi quando era reso necessario dal costo del supporto scrittorio.
Non si può fare a meno di pensare che la velocità di questa forma di linguaggio si sposi bene con la principale caratteristica della nostra epoca: la mancanza di tempo. Viene dunque da chiedersi: stiamo forse cambiando il nostro modo di comunicare perché è cambiato il nostro modo di essere? Si va verso una scrittura efficace, efficiente, scabra di fronzoli e di ogni ridondanza, da slogan, da spot, da slide, da riassunto, perché rappresenta lo specchio di un mondo che va a una velocità da sprint, inarrestabile, sempre sulla cresta dell’onda surfando sul progresso, e dribblando tra wifi, tweetter, hashtag, forum, chat, Facebook, Whatsapp, e-mail, telematicodipendenza e ansia di connessione costante, con quanti più universi possibili?
Alla funzione strettamente comunicativa si affiancano, però, funzioni secondarie di particolare interesse, quali la funzione ludica, frutto di una tipica inclinazione del temperamento umano e, molto più importante, la funzione fatica, ovvero quella dimensione della comunicazione interpersonale le cui implicazioni investono la costruzione e il mantenimento dei rapporti sociali. Ciò a dire che: l’invio di messaggi non rappresenta solo un mezzo efficace per far circolare informazioni in maniera rapida e comoda; bensì si tratta, anche di un efficacissimo strumento di socializzazione e di una performance verbale attraverso la quale le persone costruiscono e mantengono il loro mondo sociale. L’invio di un messaggio dà infatti l’opportunità di stabilire contatti e di infondere un senso di vicinanza, in maniera molto più disimpegnata e informale di quanto non consentano altre modalità di interazione (telefono o contatto personale). Questo tratto generale assume un rilievo ancor maggior in certi individui e in specifici contesti culturali in cui questo stile di comunicazione permette di superare le difficoltà e gli ostacoli, non solo fisici (di spazio), ma anche culturali ed emotivi (timidezza), che la conversazione orale, a causa della necessità di conformarsi a una serie di regole ed etichette che implicano il rispetto di rigide gerarchie sociali, impone e richiede.
Concludendo, l’uso diffuso di questo nuovo stile di comunicazione incontra spesso resistenze culturali e l'infrazione dei canoni della scrittura (ortografia, punteggiatura, grammatica) ha dato luogo a forme di reazione negativa. Il principale rischio riscontrato da queste correnti di pensiero è che la varietà linguistica medio-bassa che caratterizza questo mezzo, nonché l’estrema concisione e la velocità di interazione finiscano per confinarlo alla trasmissione di contenuti leggeri, facendo diventare il mondo comunicativo della messaggistica il dominio della fatuità. Altro rischio avvertito è che la stringatezza del messaggio e soprattutto l’assenza di elementi accessori della comunicazione assecondi un impoverimento della comunicazione.
Tuttavia, non mancano opinioni opposte, come quella di chi vede in questo nuovo fenomeno linguistico una rivitalizzazione della pratica scrittoria, in una dimensione in cui l’immediatezza del risultato comunicativo fa premio sulla rinuncia apparente a ogni aspirazione poetica.
Infine, c’è chi, invece, mette alla prova proprio le potenzialità di questa scrittura, piegandola a diventare un medium di espressione poetica. Un esperimento in tal senso è stato quello mediante il quale si è indetto un apposito concorso in un ambito scolastico istituzionale il cui risultato ha messo in rilievo una notevole e generalizzata spinta all’inventività, all’espressività e al gioco linguistico creativo che questa nuova forma di comunicazione contiene. Si è infatti dimostrata la capacità degli utenti di coniugare invenzione linguistica ed elaborazione poetica pur nei limiti di brevità imposti dalla tecnologia e dalla prassi.
A me viene dunque da domandarmi: al diffondersi di questo nuovo modo di comunicare si lega anche, forse, il fenomeno della narrativa breve che prolifica nella cosiddetta “letteratura per il web”, il tipo di scrittura molto più visiva e iconica che si rintraccia su Internet, il dilagare di video clip, spot pubblicitari, vignette con frasi celebri, video-documentari, presentazioni tramite slide che sostituiscono le letture di tomi e affiancano la scrittura alle immagini, al movimento e alla musica...? Ai linguisti, sociolinguisti, antropologi, pedagoghi, scientifici della comunicazione, e forse anche ai letterati, editori e critici l’ardua sentenza. È certo chiaro che i concetti di “efficiente” e “funzionale” non sono necessariamente assimilabili a quelli di “frettoloso”, “freddo” e “privo di cure”; così come non è automatico che ridurre gli sprechi sui segni da usare significhi necessariamente far primeggiare le leggi del risparmio e dell’economia su quelle della qualità e del bello.
Sono sempre stata convinta che, il più delle volte, sia proprio l’inessenziale a riempire di contenuti la vita, e a rendercela degna di essere vissuta. Ma sono altresì consapevole del fatto che la sintesi (separare la pula dal grano, il necessario dal superfluo e far emergere la bellezza dall'attenta cernita e potatura del sovrabbondante) e la combinazioni di diversi mezzi di espressione (musica, voce, immagini, parole, simboli, scrittura) sia probabilmente la grande sfida che la nostra era (e con essa la nuova maniera di comunicare che è chiamata a raccontarla) deve compiere. Se riusciremo a piegare il linguaggio a logiche opposte rispetto a quelle della superficialità, della mancanza di cura, della fretta e del cinico pragmatismo che il sistema ci spinge ad adottare, forse, un giorno, in un futuro da Marinetti o da fantascienza, chissà che le nostre attuali chat non saranno viste come interessanti drammaturgie, i nostri moderni messaggini come... che ne so: begli haiku, i nostri scambi di mail come innovativi romanzi, i nostri spot come cinema d’autore, i commenti ai blog come la sostituzione dei vecchi articoli d’opinione sui periodici, gli avvicendamenti di whatsapp come originali poesie e i power point come moderne enciclopedie... L’unica cosa che per ora è certa è che, paradossalmente, si tratta di una sfida che richiederà: sensibilità, cura, dedizione, attenzione, e soprattutto tempo!

 

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I nostri redattori e collaboratori:

Beatrice Fabbri, docente, autrice, fotografa. Dal 2005, svolgo regolare attività di insegnamento presso...Read more >>
Nata a Palermo, dove consegue la laurea in filosofia di primo livello, completa i propri studi presso...Read more >>
Laureata in giurisprudenza, è giornalista pubblicista e scrittrice. Nel tempo libero cura “Libreramente”,...Read more >>
Viviana Emilia Spada nasce a Feltre (Belluno) il 19 Maggio 1958; nel 1961 si trasferisce con la famiglia...Read more >>
Chiara Calabrò è nata in un paese alle porte di Milano. Difficilmente rivela la sua età, basti...Read more >>
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