Fahrenheit 451, il coraggio della qualità
di Sonia Chittaro
In un’editoria sempre più tiepida, connivente con i sistemi mediatici che favoriscono “i soliti” noti, ci sono editori che rischiano pur di regalare ai lettori libri belli, e rari. Editori che scommettono ancora sulla voglia di approfondire, di scansare la banalità. Ne parliamo con Giusy Cinardi, uno dei soci fondatori di questa bellissima casa editrice romana…
In un paese come il nostro, in cui l’anticultura imperversa, compaiono ancora, qua e là, dei solitari e coraggiosi Montag. Come la casa editrice romana Fahrenheit 451, che ha deciso di fregiarsi del nome di un romanzo che è l’emblema della riscoperta dei libri e del loro valore. Parliamo di una realtà di modeste dimensioni, che ha scelto di puntare sul “poco ma buono”, orientandosi verso una selezione accurata di testi originali. Volumi di alta qualità, che si contraddistinguono per gli sguardi lanciati sul mondo da prospettive inconsuete e destabilizzanti.
Fahrenheit 451 riprende l’avventura editoriale dopo un periodo di inattività. Torna con una filosofia diversa o riveduta? Avete introdotto cambiamenti significativi nella vostra filosofia gestionale?
Le edizioni Fahrenheit 451 sono nate più di venti anni fa, nel 1992, fondate da Federico Scanni, un caro amico, mio e dei miei due soci, Tullio e Fabio Capocci. Nel 2009 erano oramai un paio d’anni che in effetti la casa editrice era per così dire inattiva. Abbiamo deciso allora, Tullio, Fabio e io, di imbarcarci in questa avventura e di impedire che un marchio come questo e soprattutto un catalogo come quello della Fahrenheit 451 andasse perduto, dimenticato. Ognuno ha messo a disposizione le proprie capacità – io la mia di giornalista, Tullio e Fabio quelle di grafici e tipografi, tutti quella di grandi lettori – e abbiamo prima di tutto cominciato con il riportare nelle librerie i titoli, più di settanta, del catalogo e ci siamo poi rimboccati le maniche per ricominciare a pubblicare. Devo dire però che la filosofia alla base della Fahrenheit 451 è rimasta sempre la stessa, anche perché da noi pienamente condivisa: quella che tu hai definito con il “poco ma buono”. Massimo cinque titoli l’anno, per ora, con l’intenzione di tenere alta sia la qualità dei contenuti, ovviamente, ma anche della fattura e della realizzazione materiale del libro. E soprattutto riuscendo in questo modo, con questa frequenza di pubblicazione, a seguire il libro anche dopo la pubblicazione, nella sua distribuzione e nella promozione. E, aggiungo, a instaurare e con gli autori e con i traduttori e con gli editor un vero rapporto umano. Questa credo sia la nostra forza.
Il nome che avete scelto rivela già di per sé il carattere “rivoluzionario” del vostro profilo, e questo è molto apprezzabile. Ma in un’Italia come quella attuale, dove la vita non è facile per i piccoli editori indipendenti, quali strumenti pensate di utilizzare per reggere la pressione del mercato?
Sarebbe sciocco negare che in Italia pubblicare libri sia facile: è davvero rivoluzionario! E con “pubblicare” intendo, come ho detto prima, seguire il libro in tutto il suo cammino editoriale. Quelle che tu chiami pressioni del mercato le conosciamo tutti: l’enorme problema della distribuzione, la pletora di titoli pubblicati ogni giorno (non vorrei sbagliarmi ma siamo poco sotto i duecento al di’) e la conseguente vita brevissima nelle librerie – a fronte, inoltre, di un popolo che legge davvero poco – e una crisi economica che colpisce, è ovvio, anche il nostro settore. L’unico strumento che abbiamo per reggere è la qualità e, come dicevo prima, la volontà di seguire il libro in maniera diversa da come farebbe un grande marchio: non voglio dire in modo migliore, ma semplicemente diverso. Aggiungerei anche, paradossalmente, forse anche un maggiore coraggio nel proporre cose diverse, nel tentare nuove strade, nella sperimentazione insomma.
Puntate su un pubblico di nicchia? Quali strategie adottate per farvi conoscere dai potenziali lettori?
Nonostante la nostra casa editrice sia chiaramente connotata, anzi grazie al fatto che la nostra casa editrice sia fortemente connotata posso dire che questo ci porta ad essere più riconoscibili. È certo che vorremmo raggiungere un pubblico il più ampio possibile. Ma è anche vero che ricerchiamo delle nicchie di mercato, un pubblico diverso a cui tentiamo di arrivare pubblicando opere che secondo noi vanno a colmare dei vuoti. Abbiamo in progetto, ad esempio, una collana di teoria del cinema, e ancora delle opere che mettano insieme tecniche diverse: scrittura, disegno, grafica…
Avete un blog, partecipate a fiere ed eventi: che valore attribuite al contatto diretto e al dialogo con le persone che vi osservano?
Abbiamo un sito, ovviamente (www.edizionifahrenheit451.it) e abbiamo un blog (http://edizionifahrenheit451.wordpress.com) così come una pagina Facebook e a breve avremo un account Twitter. Siamo certi, del resto, che non sarebbe possibile fare altrimenti e non utilizzare ognuno di questi canali. È vero anche, però, che sono solo strumenti, appunto, e che alla base devono esserci i contenuti e, ripeto, la qualità. Per quanto riguarda le fiere, sono due anni che partecipiamo a quella della Piccola e Media Editoria di Roma, che permette di avere una buona visibilità con il pubblico dei lettori e instaurare tutta una serie di contatti con la gente del settore. Ma non ti nascondo che spesso le spese per questo tipo di eventi sono davvero poco accessibili per un piccolo e medio editore. Organizziamo spesso, infine, presentazioni dei nostri libri anche se cerchiamo di far sì che siano sempre meno presentazioni nel senso classico del termine – autore e critici che parlano dell’opera – e sempre più eventi che possano coinvolgere il pubblico con letture recitate, musica, mostre fotografiche o altro.
Le statistiche ufficiali mostrano un incremento significativo nell’acquisto di eBook e nell’utilizzo di dispositivi digitali per la lettura: vi adeguerete a queste tendenze o rimarrete fedeli ai supporti classici?
Anche su questo ripeto quello che ho detto prima: sarebbe sciocco ignorare la questione e liquidare l’ebook “perché tanto non sostituirà mai il libro cartaceo”. Stiamo preparando ebook di diversi nostri libri in catalogo, anche se molti hanno il testo a fronte e questo per ora si perderebbe. Mettiamola così: rimarremo fedeli sempre al supporto classico, la carta, ma andremo avanti anche con il supporto tecnologico, l’ebook.
È partita la campagna “Two sides”, che promuove la sostenibilità del cartaceo: aderite ad essa o comunque adottate soluzioni ecocompatibili di qualche tipo all’interno della vostra azienda?
Stiamo studiando i principi alla base della Two Sides e decideremo se aderire o meno. Ovviamente siamo d’accordo con i valori che l’hanno ispirata. Intanto, nel nostro piccolo, cerchiamo di adottare tutti gli strumenti che abbiamo e che possiamo permetterci per essere il più possibile ecocompatibili.
Nelle vostre collane compaiono opere inedite o dimenticate di autori come Grazia Deledda, Igor Patruno, José Donoso, Paul Nizan: il repêchage rientra nei vostri principi ispiratori?
Il nostro principio ispiratore è pubblicare ciò che ci piace e ciò che spesso, nella nostra opinione, è stato colpevolmente dimenticato. Quindi in questo senso, con questo significato, ti direi di sì, che il repêchage è uno dei principi alla base della nostra attività. Abbiamo ripreso la pubblicazione della collana i Taschinabili, creata da Gianni Toti, e in collaborazione con Riccardo Reim abbiamo già ri-pubblicato Il Natale del consigliere di Grazia Deledda; prima dell’estate saranno in libreria Gita a Viareggio, un racconto che Dacia Maraini pubblicò per la prima volta nel 1964 e che noi riproponiamo rivisitato dall’autrice, e Il delitto Pasolini: un testimone oculare dello stesso Riccardo Reim. Inutile sottolineare, poi, quanto siamo fieri di aver “ripescato” I tre romanzetti borghesi di José Donoso, libro bellissimo e per la prima volta tradotto in Italia.
In passato avete creato la serie Narramérica ed è innegabile la vostra attenzione per la cultura sudamericana, dal momento che in tutte le vostre collane sono presenti parecchi libri di autori argentini, cileni, peruviani… Continua la vostra collaborazione con l’Istituto Italo-Latino Americano di Roma? Come è nata?
La collaborazione con l’IILA è iniziata proprio nel 2009 e continua ancora oggi, con reciproco piacere e soddisfazione. Stiamo lavorando a una antologia di racconti messicani e stiamo già pensando a nuove pubblicazioni. Ci accomuna un amore per i paesi del Sud America, cha come tu hai notato le edizioni Fahrenheit 451 ha dalla fondazione, e per la lingua di quei paesi: ogni libro della collana Narramerica è infatti con il testo originale a fronte ed è frutto di un denso e lungo lavoro di traduzione e revisione.
Fra i libri del vostro catalogo ci sono volumi di stampo filosofico-politico, che analizzano precisi eventi della memoria storica italiana: pensate che in qualche modo il passato possa aiutarci a salvare il presente?
Mi verrebbe da dire che più ancora che una convinzione soprattutto in questo momento è una speranza: che una analisi più attenta e obiettiva, anche fatta con gli strumenti della narrativa o della polemica letteraria, degli avvenimenti del passato, anche quello più prossimo, possa essere di stimolo a una sana discussione che abbia come fine il salvataggio, come dici tu, del presente: il recupero di valori e principi sempre più radi, la voglia di un impegno civile che sembra oramai merce sempre più rara. Non vorrei fare del facile qualunquismo, né sembrare banalmente scontata, ma davvero ho l’impressione che ci sia in atto una sorta di imbarbarimento culturale, intendendo per cultura non certo solo quella letteraria ma cultura in senso comprensivo, cultura come pensiero teorico e pratico.
Nei Taschinabili e nei Trasversali predominano le forme dei racconti e dei romanzi brevi. Come mai?
Siamo consapevoli che i racconti vendono meno dei romanzi, è innegabile. E anche che siano più difficili da scrivere. Ma siamo anche convinti che invece sia fondamentale che si continui a pubblicarli, anche in riviste, che non si perda come forma letteraria, che si educhi il pubblico a leggerne sempre di più. Mi viene in mente quanto ha detto una volta Stephen King – grande scrittore di racconti: “Scrivere racconti non è così facile come leggerli [..] eppure, per me, ci sono ben pochi piaceri più squisiti dell’accomodarmi sulla mia poltrona preferita in una serata fredda, con una tazza di tè bollente a portata di mano, ascoltando il vento che soffia fuori e leggendo una bella storia che posso completare in una seduta sola”. E una cosa simile la diceva anche Carver, aggiungendo, parafraso a memoria, che un racconto è riuscito se quando hai finito di leggerlo chiudi il libro e te ne rimani lì qualche minuto ancora rapito a pensarci su.
Per l’Onu, l’Italia occupa il penultimo posto tra i paesi europei sul tema dell’equiparazione di genere. L’immagine della donna vincente, qui da noi, è un prototipo svilito e mercificato. A dispetto di ciò, i dati raccolti dall’AIE dimostrano che il numero di donne lettrici è significativamente maggiore di quello degli uomini, e che stanno aumentando le quote rosa nel settore editoriale. Che opinione avete in proposito? È nei vostri progetti valorizzare in qualche modo la figura femminile?
Ti rispondo dicendoti che io sono una donna, leggo molto e ho una (parte di una) casa editrice! Ma anche in questo caso vogliamo che la scelta stessa delle cose che pubblichiamo mostri quello che pensiamo, anche della figura femminile, così come di ogni altro argomento. È questo l’unico modo che conosciamo per valorizzare la figura femminile: mostrare con i fatti quello che è per noi.
Come fate a scovare libri stranieri così particolari, come ad esempio l’originalissimo cinese La cetra intarsiata?
Per questo titolo in particolare dovresti rivolgere la domanda al vecchio proprietario, visto che ancora non eravamo noi la Fahrenheit 451, posso però dirti che tutto nasce da una continua ricerca, da una attenzione sempre viva a ciò che ci sta attorno, vicino e lontano, e, devo ammetterlo, anche da una buona dose di caso e coincidenze.
Esportate anche all’estero alcuni titoli o pensate di allargare il vostro target, per esempio traducendo libri italiani in altre lingue?
Per ora non abbiamo ancora portato all’estero nessuno dei nostri titoli, ma devo dirti che è una delle cose di cui spesso parliamo. È che le cose da fare sarebbero tantissime e nella maggior parte dei casi bellissime e molto interessanti. Ci vorrebbero forse più mezzi, più supporto anche da parte dello stato…e giornate di quarantotto ore!