Editoria: interviste
La scuola della memoria
di Giusy Aliperti
Ciro Raia nasce nel 1950 a Somma Vesuviana, paese dell’entroterra campano alle pendici del Vesuvio. Dopo la maturità classica e gli studi in Lettere intraprende la carriera dell’insegnamento. Agli anni come professore di italiano e storia, seguiranno anche svariati anni da dirigente scolastico. È autore di numerosi saggi storici, tra i quali: Napoli 1799, sulla rivoluzione partenopea, Giovanna I d'Angiò regina di Napoli, Socialisti a Napoli. Il dopoguerra tra storia e memoria. Nel 2010 giunge alla narrativa con Il Paese di Asso di Bastone, un romanzo breve o racconto lungo in cui aguzza lo sguardo sulla sua terra natìa. A seguire Dodici in Piazza, di recente pubblicazione (2015), raccolta di racconti che prende il titolo da uno degli scritti che vede la piazza come cuore pulsante di una comunità. Dall’esperienza di preside è nato Diario di un preside, racconto in forma diaristica di avvenimenti scolastici conditi con riferimenti e ricordi personali. Attualmente ha un blog personale su cui scrive di politica, scuola e svariati argomenti: http://www.ciroraia.it/, dirige la collana di narrativa L’Erica per la Polidoro Editore, è nel Consiglio direttivo dell’Istituto Campano per la storia della resistenza, dell’Antifascismo e dell’Età contemporanea “Vera Lombardi” e tiene numerosi seminari di storia in giro per l’Italia.
La sua opera sembra ricordare i romanzi degli scrittori sud americani ma senza la componente di realismo magico che le caratterizza. Ricorda anche, una certa letteratura dagli anni ‘30 ai ‘50 del Novecento da Gente in Aspromonte a Fontamara di Silone. C’è effettivamente stata una corrente, un romanzo, un filone letterario a cui ha pensato di rifarsi quando ha scritto Il paese di Asso di bastone?
Le opere letterarie citate sono effettivamente quelle – ma non uniche – della mia formazione adolescenziale-giovanile. Appartenendo a due generazioni fa, infatti, gli “svaghi” concessi – ricordo che provengo da una famiglia operaia e non avevamo neanche la televisione - erano solo quelli dei giochi in strada o della lettura. Per cui, pur tuffandomi in interminabili partite a pallone, sin da piccolo passavo molte ore a leggere. Di tutto. Il Monello, l’Intrepido, Capitan Mike, Grande Blek e, poi, ogni romanzo che riuscivo ad avere tra le mani, grazie a prestiti di amici o a copie usate di vecchie collane di letteratura, che mio padre comprava sulle bancarelle. Ed era letteratura italiana ma anche russa, francese ed americana (circolavano già abbondantemente autori come Remarque ed Hemingway). Ho introitato, perciò, dei modelli letterari, che sono stati (inconsciamente) i filoni di ispirazione.
Il (quasi) romanzo sembra evocare i ricordi della sua vita in maniera molto nitida. Sono stati scritti di recente per la stesura dell’opera oppure negli anni ha – tassello su tassello – rinfrescato e congelato la memoria, scrivendo i ricordi che aveva al fine di non perderli?
Sono ricordi scritti di recente. Invecchiando, la memoria del passato emerge più nitidamente.
Ha edulcorato alcuni personaggi, la sua figura, alcuni avvenimenti o può definire il tutto un ritratto abbastanza fedele?
No, nessuna edulcorazione. In molti, anzi, dopo la lettura, hanno ritenuto che sono stato molto duro nei confronti di mia madre. Ho cambiato, invece, qualche nome ai personaggi protagonisti del lungo racconto, specie se parenti.
Dodici in piazza segna il passaggio dal romanzo o comunque dal racconto lungo ad una raccolta di racconti. Come e perché è avvenuto tale passaggio?
Non c’è una ragione precisa. Nei miei cassetti ci sono molte storie già scritte; alcune vivono in poche pagine, altre si dipanano più a lungo. Dipende dall’estro del momento, dalla passione suscitata da un personaggio, dall’ampiezza del ricordo di un avvenimento, dalla necessità di restituire alla vita (letteraria) sentimenti, gesti, vicende individuali e/o collettive.
Quale delle due forme trova le sia più congeniale?
Sicuramente il racconto, perché richiede un esercizio di sintesi ed una capacità di presentare fatti e personaggi in poche pagine. Nel racconto c’è, secondo me, più tensione, più introspezione, più immediatezza di messaggio.
Anche in quest’opera fondamentale diventa l’arte del ricordo. Quanto è importante, in virtù anche della sua attività di storico, la capacità di non perdere il ricordo – in questo caso – oltre che individuale anche collettivo?
Mi è stato insegnato – ed ho poi insegnato – che la storia è un processo di costruzione del reale. Lo sfondo di ogni mio scritto è storico; non riesco a staccarmi dalla necessità di ragionare su dati di realtà. D’altra parte le nostre microstorie sono l’anima della Storia. Non per caso ritengo che la storia contemporanea sia essenzialmente autobiografica.
In Dodici in piazza si affina la scrittura e anche il citazionismo. Molto presente è il richiamo alla mitologia e alla letteratura greca.
Ho fatto studi classici, ho insegnato per anni materie umanistiche…non riesco a fare a meno di riferimenti alla patria della civiltà.
Il passaggio dalla casa editrice Guida alla giovane Polidoro Editore è dovuta alla crisi irreversibile in cui versa la libreria Guida?
Assolutamente no. Gli editori offrono occasioni e contratti. Da ultimo con Alessandro Polidoro è nata una proficua collaborazione, che mi vede non solo nelle vesti di autore ma anche in quelle di direttore di collana della narrativa e della saggistica. Sono riconoscente a Guida e lo sono anche a Pironti, a Dante&Descartes, a Simone, a Lacaita, che hanno pubblicato alcuni miei saggi insieme a Mursia e ai Fratelli Ferraro che, invece, hanno pubblicato testi scolastici da me curati.
In quest’opera ha citato spesso la precedente. Era un modo per darsi una continuità o un vezzo da scrittore?
Nessun vezzo. Era una necessità per completare un ricordo e dare più forza alla memoria. Sì, una sorta di continuità.
Sono stati citati tanti libri fondamentali per la sua infanzia e/o crescita, ma non ci ha svelato qual è il suo romanzo preferito, se ne ha uno.
Ne ho più di uno. Ma sopra tutti c’è Il Gattopardo.
Come il je proustiano – per citare un io “ingombrante” – il suo io è sempre presente nelle opere che scrive. L’arte del narrare si mischia con l’autobiografismo. Come mai la scelta di non defilarsi anche laddove il racconto o comunque l’accaduto non si riferiva a lei personalmente?
Racconto ciò che ho vissuto, ciò che ho visto; non scrivo di fantasia tranne che in parte del racconto Fantasmagorie. Ed allora mi viene naturale scrivere “io”.
La conclusione dell’ultimo racconto di Dodici in Piazza mi ha ricordato la fine del Gattopardo da lei tanto amato (confesso, è anche uno dei miei romanzi preferiti) per quel senso di fugacità della morte che per qualche istante sembra divenire cosa concreta. È una mia impressione, o c’è stato effettivamente un (inconscio) richiamo, un’inconsapevole ispirazione?
Direi consapevole ispirazione. Ma credo che il senso di fugacità della vita e di presenza della morte sia presente in ogni pagina. Perché? Perché – utilizzo il finale di un mio racconto (Sogno) – “Bisogna essere ponderati e razionali, ma che sofferenza… Sarebbe più semplice vivere sempre in una camera di consiglio, in un libro, in un film o in un sogno… ma la vita (purtroppo o per fortuna) è molto di più”.
Steinway to heaven
di Alessandro Di Mascolo
Oggi gli autori riescono a pubblicarsi da soli. E, a volte, è davvero un successo. Come accade a Luca Rossi con le sue opere. Lui davvero ha costruito la sua scala per il paradiso (narrativo)…
Ho voglia di acquistare un libro, qualcosa di nuovo. In libreria mi concentro sulla classifica dei best seller o, partendo da un genere di preferenza, mi faccio guidare dalle copertine o dall'effetto che ha su di me la lettura delle prime righe.
Di solito è così.
Questa volta no.
Ho cominciato a leggere questo libro perché dovevo comprare un frullatore. Su Amazon.
E così ho scoperto Luca Rossi, autore che nasce in sordina ma che in breve tempo si ritrova a suonare uno Steinway. Il suo percorso scorre lungo un nero fiume di pixel e inchiostri digitali.
L'odore della carta per il momento solo nelle sue narici di instancabile lettore.
Questo quello che sappiamo. "Energie della Galassia" ed "Emozioni nella nuvola" dicono il resto.
Ciao Luca, partendo dallo strano modo in cui ti ho conosciuto, quanto credi sia importante essere approdati ad un modo di lettura così diverso, fatto appunto di Ebook?
Buondì Alessandro e grazie per l'invito. Gli ebook consentono a chiunque di scrivere sul proprio computer e, dopo una buona formattazione e un buon editing, fare l'upload su uno store online. Non ci sono intermediari e il successo è decretato dall'opera stessa.
Gli ebook store sono meritocratici. Più un titolo raccoglie consensi, più viene spinto dal sistema stesso.
Oggi, negli Stati Uniti, la più grande potenza culturale del mondo, la maggior parte dei libri che si vendono ogni giorno sono ebook.
Per me questo approccio è stato fondamentale. Senza queste possibilità, forse non sarei arrivato a pubblicare o ci sarei arrivato molto più tardi.
Quanto tempo hai impiegato a far sì che un tuo testo non fosse più tale ma anche negli schermi di migliaia di lettori?
Un paio d'ore. Ho scritto il mio primo racconto. Sentivo che era esattamente ciò che volevo pubblicare. Ero sicuro della forma, della trama, dei personaggi. Mi piaceva. Mi eccitava. Ero incosciente. Ho creato l'account su Amazon, realizzato una cover di prova e fatto l'upload. L'indomani il mio primo ebook era online.
Che importanza ha proporre un testo solo in formato digitale? Può essere una strategia commerciale per gli editori?
In questi dodici mesi ho ricevuto diverse proposte da vari editori e agenti letterari. Finora non ho trovato nulla per cui valesse la pena vendere i diritti.
L'esperienza della traduzione e delle vendita sugli ebook store in lingua inglese mi ha dato quel respiro economico che mi ha consentito di proseguire come autore indipendente.
I diritti dei miei libri sono tuttora in mio possesso. Questo significa che posso pubblicarli dove e quando voglio, posso ricavarne show radiofonici, sceneggiature, versioni audio o tradurli.
"Emozioni nella nuvola" ad esempio è reperibile su Amazon (vedi sopra...) gratuitamente. Questo sicuramente comporta una diffusione molto più semplice ed estesa del testo.
Per un autore emergente siamo di fronte ad un ottimo trampolino di lancio. Puoi darci, o meglio dare loro, qualche dritta su come muoversi e alcuni siti di riferimento?
Il free attrae sempre moltissimo, in particolare in questo periodo e nel nostro paese. I download di Emozioni nella Nuvola sono impressionanti, ben oltre i mille al mese. In alcuni casi si traducono in acquisti degli altri ebook a pagamento.
Credo che il riferimento assoluto in ambito self-publishing sia Amazon. È lì che conviene orientare tutti i propri sforzi di marketing ed è da lì che si può ottenere la stragrande maggioranza dei profitti.
Dopo Amazon va tenuto in considerazione... Amazon.com ;) Tradurre in inglese e confrontarsi con i lettori americani, inglesi, australiani e di ogni altro angolo del globo è un'esperienza impagabile. Inoltre, se in Italia c'è una netta preferenza per il free e per gli ebook a 99 centesimi, su Amazon.com un buon libro può essere tranquillamente venduto a $2.99.
Nella mia esperienza, iTunes, B&N, Kobo e tutti gli altri ebook store hanno ancora un peso molto relativo.
Perfetto. Dopo la parte "tecnica" ora quella più strettamente letteraria: generi che si intrecciano, personaggi molto ben caratterizzati, continui colpi di scena. Il testo scorre come in un film in cui volutamente siano state tolte delle diapositive. E il lettore non riesce a staccarsi.Raccontaci attraverso un flusso di coscienza i tuoi libri ed il tuo modo di scrivere. Fermati quando vuoi.
La caratteristica fondamentale che in genere mi viene riconosciuta è l'originalità e questo non può che farmi molto piacere.
Forse proprio per quanto detto finora, quando ho deciso di scrivere per pubblicare, non mi sono posto il problema di seguire una determinata linea editoriale o un filone in particolare. Ho scritto prima di tutto per me stesso. Ne è venuto fuori un genere inedito, la fantascienza erotica. Io stesso non ho mai trovato nulla di appartenente a questo genere e i grandi autori di fantascienza che amo (Asimov, Bradbury...) si sono sempre tenuti ben lontani dall'erotismo.
Sono affascinato dal futuro, dalle possibilità che i prossimi anni e il futuro remoto riserveranno all'essere umano e anche dai pericoli che corriamo. Leggendo Emozioni nella Nuvola, ti sarai reso conto che la riflessione sui social network, sul cloud computing, sugli algoritmi che instancabilmente analizzano tutto quello che diciamo e scriviamo, è piuttosto ampia.
In un racconto ancora inedito, Smiley, immagino un mondo dove l'uso delle faccine delle chat si è così diffuso da diventare l'unico mezzo per esprimere le emozioni.
L'erotismo fa parte della nostra vita e credo che, almeno nel mio caso, non possa non essere presente in un'opera letteraria. È l'energia vitale che in forme diverse muove gli esseri viventi, sul nostro pianeta come nel resto della galassia.
L'impressione è che non ti piaccia molto parlare di te. Proviamo a creare curiosità in chi ancora non ti ha letto e anche in chi un po' già ti conosce. In quale personaggio dei tuoi racconti ti impersonifichi maggiormente?
In effetti faccio di tutto per sfuggire a domande dirette sulla mia persona.
Sono un sognatore, sempre ottimista, che valuta la conoscenza come la 'merce' più importante della nostra esistenza. Ma sono anche in grado di perdermi completamente per una bella donna.
Forse l'esploratore spaziale Arcot che rinuncia a tutto per il cuore della regina Vril potrebbe essere un'ipotesi divertente. Nel mio caso, per fortuna lei non è una vampira... ed è diventata mia moglie ;)
Intervista a Stefano Giovinazzo dell'agenzia Studio Garamond
di Sara Meddi
Intervista a Stefano Giovinazzo dell’agenzia letteraria Studio Garamond
Stefano, tu sei l’editore di Edizioni della Sera, cosa ti ha spinto ad aprire anche un’agenzia letteraria? E quali sono le diverse sfide che riscontri in agenzia e in casa editrice?
Occuparmi di Editoria a 360 gradi. L'esperienza di direttore editoriale mi ha dato la possibilità di conoscere a fondo il mercato, il fronte degli autori, le dinamiche della distribuzione, pregi e difetti dell'economia libraria, il rapporto con i media, l'incontro con il pubblico. Con l'agenzia letteraria Studio Garamond voglio conoscere, a fondo, i miei colleghi: gli editori. E, al tempo stesso, avere l'ambizione di scoprire talenti e dare ad ogni testo l'editore giusto per un posto adeguato nel mercato editoriale.
Le sfide di un editore e di un agente letterario pur nelle loro differenze, il primo deve conquistare il mercato e vendere i propri "prodotti" mentre il secondo scova l'opera e cerca di collocarla nel migliore dei modi sul panorama editoriale, non è poi così distante. Lavoriamo con la cultura e, si sa, in Italia è dura per tutti. Ma, d'altronde, questo non è un lavoro per noi: è una missione. Da portare avanti con passione, professionalità e convinzione.
Puoi spiegarci quali servizi offrite e come pensate di distinguervi rispetto alle altre agenzie?
La qualità, innanzitutto. Studio Garamond lavora essenzialmente nel rispetto dell'autore e cerca di arrivare in tempi definiti agli obiettivi prefissati. Editoria, comunicazione e grafica: questi i servizi generali di cui si dota la nostra agenzia. Il focus principale sicuramente è l'editoria con valutazione inediti, editing, correzione bozze e la rappresentanza delle opere che riteniamo valide.
In Italia le agenzie letterarie si stanno affermando in ritardo e con difficoltà rispetto agli altri Paesi, come pensate che stia evolvendo questa situazione? Vedete dei segnali incoraggianti da parte degli autori e degli editori?
Sì, siamo consapevoli che la figura dell'agente oggi, più di ieri in Italia, sia importante. Tra EAP, self publishing e iper produzione editoriale, c'è bisogno di tenere il polso della situazione, fare una selezione serie e adeguata alle risposte del mercato e, nei limiti del possibile, scoprire e sperimentare. Gli editori, oggi, soprattutto i piccoli e i medi, si trovano a dover lavorare su vari fronti e l'appoggio e la fiducia di un'agenzia che lavora nell'interesse di tutta la filiera, può risultare utile per porre all'attenzione dei lavori importanti. Ovviamente tutto deve rientrare in un rapporto di reciproco interesse.
Per quale motivo uno scrittore dovrebbe rivolgersi a un’agenzia letteraria? Pensi che sia sempre meglio proporsi prima a un’agenzia che a un editore?
Per lavorare bene sull'opera e per studiarne le potenzialità. Questi sì. Inoltre, conoscere il mercato editoriale, le dinamiche, gli editori a cui proporre l'opera è fondamentale. Spesso si viene scartati o non si viene letti perché l'approccio verso un editore risulta sbagliato.
Una volta deciso di rappresentare un autore qual è il vostro step successivo? Lavorate voi stessi con gli autori per migliorare il testo o lasciate queste decisioni all’eventuale editore?
Lavoriamo con l'autore e sul testo e, parallelamente, tessiamo relazioni con gli editori che secondo noi potrebbero essere interessati al testo. Licenziato il testo e trovato l'editore adatto, si procede alla valutazione delle clausole contrattuali, discutendo con l'autore, e arrivando ad una pubblicazione che sia proficua per autore, editore e agente. Pubblicato il volume, ci occupiamo inizialmente della comunicazione insieme all'autore fissando presentazioni e lavorando sulla stampa on/off line.
Qual è il servizio che vi richiedono più spesso? E quello di cui invece gli autori avrebbero più spesso bisogno?
Ci richiedono spesso la valutazione inediti e pensiamo che questo servizio insieme alla correzione bozze per presentare un libro degno di essere letto, siano gli aspetti essenziali da affidare ad un'agenzia.
Qual è la vostra opinione riguardo l’editoria a pagamento? Perché tanti aspiranti autori sono disposti a pagare pur di veder “pubblicato” il loro scritto?
La volontà di apparire, l'impazienza e, purtroppo, ancora la poca conoscenza del mercato. Spesso bastano anche due complimenti sulla "bellezza" del testo per convincere l'autore a investire su se stesso. Studio Garamond non si risolve all'EAP, ritenendo l'editore colui che investe sull'opera dell'autore e cerca di valorizzarla sul mercato mettendo in atto i mezzi di cui dispone.
Quali sono i vostri primi obbiettivi come agenzia? E quali sono le prime soddisfazioni che state ottenendo?
Prima gli obiettivi: diventare un punto di riferimento come agenzia a cui affidarsi per svolgere un lavoro serio, puntuale, professionale di scouting e affermazione dell'opera. Le soddisfazioni stanno arrivando pur nelle molteplici difficoltà di una start up. Dalle mail degli autori al rapporto fiduciario che stiamo stringendo con gli editori, iniziando dal lavoro quotidiano in redazione da cui nasce tutto.
Infine che consigli vuoi dare a un aspirante scrittore?
Leggere, stare in libreria, frequentare corsi di editoria sia per conoscere il "mestiere" che può sempre tornare utile sia per conoscere gli attori sul campo. Ma soprattutto curare nei minimi dettagli il testo da proporre (all'agenzia o all'editore).
Intervista a Matteo Brambilla di Bookrepublic
di Sara Meddi
Sara Meddi intervista Matteo Brambilla di Bookrepublic
Caro Matteo, puoi spiegarci innanzitutto qual è stato il percorso che ti ha portato a occuparti di editoria digitale?
Lavoro da oltre una decina d’anni nel settore, essendomi trovato a dovermi “sporcare le mani” con la tecnologia, ecco quindi l’approdo in una startup dove poter mettere a frutto le mie competenze prima di tutto editoriali, e non smettere mai di annusare il nuovo.
Bookrepublic è in attività dal 2010, in questi anni di attività come avete visto evolversi il panorama dell’editoria digitale?
Diffidenza, entusiasmo, diffidenza, entusiasmo… ogni tanto m’è parso che a ogni ciclo ne succedesse uno identico. Il mercato è cresciuto nel complesso esponenzialmente, ovviamente anche grazie all’arrivo in Italia dei player internazionali, poi molto spesso gli editori hanno proceduto a strattoni, stretti in una congiuntura non certo ideale per ripensare in profondità il proprio mestiere, come il digitale invece imporrebbe.
Se la vedo giorno per giorno – io sono spesso per molti editori il “primo contatto”con il mercato degli ebook – ancora oggi mi trovo a trattare argomenti che dovrebbero essere già assimilati, penso. Ma invece per esempio se guardo al Salone di Torino, ovvio punto di osservazione privilegiato – vi partecipiamo dal 2011 – nel giro di tre anni la rivoluzione è davvero avvenuta: siamo passati dagli sguardi basiti dei primi visitatori, ai molti clienti che vengono allo stand per incontrarci, ormai consapevoli di formati, drm e tutto il resto.
Com’è strutturata attualmente Bookrepublic e che tipo di servizi potete offrire a un editore che intende affacciarsi al mercato del digitale?
Prima che un retailer online, Bookrepublic con Exlibris (il nome della piattaforma) offre un servizio di distribuzione agli editori che vogliano arrivare sul mercato. Trovano un repository, in sintesi, dove stoccare file, e un pannello di gestione e rendicontazione. Rispetto ad altri player, abbiamo un po’ più di iniziativa commerciale (quello che nel cartaceo passerebbe alla voce “rete promozionale, per intenderci), e siamo quindi a tutti gli effetti un partner a 360 gradi per gli editori che ci scelgono.
Accanto a Bookrepublic c’è poi IfBookThen, conferenza arrivata quest’anno alla terza edizione ormai consolidatasi come il punto d’incontro e di racconto delle tendenze internazionali del mercato.
A Bookrepublic si affiancano i marchi editoriali 40kBooks ed Emma Books, che tipo di progetti state portando avanti con questi brand?
Ai marchi sopracitati approdiamo poi sul mercato da editori in senso stretto, ancorché solo digitali. Veniamo dall’editoria, conviene non smettere di far libri per metterci a vendere solo quelli degli altri, ci siam detti: tutte competenze che nel tempo ci sono servite per aiutare i nostri editori a muoversi al meglio nel mercato digitale. Ritengo 40k Books (attivo già dal 2010) ed Emma (dal 2011) due editori-incubatori che ci hanno permesso di sperimentare nuovi modi di fare l’editore oggi: portare sul mercato titoli in più lingue contemporaneamente, stringere un’alleanza con un’importante agenzia letteraria editoriale, lavorare su progetti grafici poi ricalcati da numerosi altri editori maggiori, scontrarsi da vicino con il mktg che ti impone un ecosistema-giungla come il marketplace del Kindle Store. Esperienze che è valsa la pena di fare. Ora con 40k stiamo sperimentando inoltre una “terza via”, tra editoria tradizionale e selfpublishing. Ci aspettano tempi interessanti, conviene attrezzarsi.
Come si colloca Bookrepublic rispetto al ruolo dei distributori e delle librerie “tradizionali”?
Nessuna sovrapposizione con i distributori del cartaceo; facciamo davvero due mestieri diversi, anche per approccio. Le librerie tradizionali guardano all’ebook con mixed feelings: senso di minaccia e curiosità insieme. Noi come piattaforma abbiamo tra i primi allacciato tre importanti gestionali (e altri ne stanno arrivando), cosicché un libraio fisico possa “scontrinare” attraverso la sua interfaccia di gestione anche un libro in formato digitale. La vendita rimane sul punto vendita, il libraio non perde il suo ruolo di mediazione anche culturale sul territorio, e ha di fatto una freccia in più al suo arco.
Quali sono le vostre principali iniziative per favorire il diffondersi della lettura su digitale?
Ah, in questo siamo specializzati: tre anni fa a Torino abbiamo portato il “profumo della carta”, una bottiglietta dove avevamo imbottigliato… ciò che manca ai libri digitali. Ci siamo mossi sempre sul filo del paradosso, cercando di sfatare i presunti limiti dell’ebook. Ma credo che la nostra diversità commerciale – siamo tra i pochi “pure player” del digitale – abbia un indirizzo ben preciso e non certo nuovo: noi si lavora per favorire il diffondersi della lettura tout court, non solo di quella “su digitale”. Le ricerche hanno già dimostrato che i lettori di ebook sono più veloci e voraci, ma noi pensiamo di poter parlare a tutti i lettori, come ricorda anche l’esperienza di Zazie.it, un social network per lettori, un altro dei progetti del nostro ecosistema.
Quali sono le principali novità che possiamo aspettarci nel prossimo futuro dal mondo degli e-book? E che tipo di possibilità, secondo voi, si dovranno esplorare in futuro?
La dico facile, visto che la dicono tutti da anni: iniziare davvero a pensare libri per il formato, e non a meri riconfezionamenti reflowable di contenuti pensati per la carta. Anche se in molti casi sarebbe gran cosa avere anche solo dei file fatti bene, senza errori tecnici o refusi, come i lettori chiedono.
Che tipo d’interazione immaginate nei prossimi anni per la lettura tradizionale e quella digitale?
Alcuni lettori leggeranno solo ebook, altri resteranno fedeli alla carta, la maggior parte si giostrerà senza alcunissimo patema tra carta e digitale.
Il tempo di Mariapia
di Francesca Pacini
Maripia Veladiano è una scrittrice sensibile, profonda. La sua penna nasce da un'interrogazione costante dell'anima. L'abbiamo intervistata...
Il suo rapporto con la scrittura. Come nasce, come si evolve.
Ho scritto storie tutta la vita. Favole, racconti, romanzi. Una scrittura privata che mi ha accompagnata senza la pretesa di essere ascoltata da altri. La parola scritta mi permetteva di filtrare la realtà, di leggere le emozioni che il mondo intorno mi trasmetteva. Una vita di scuola, con tanti tanti ragazzi che trasmettono emozioni, fortissime, da ascoltare. Si è attraversati dalle emozioni in classe. Nostre e loro. E scrivere è un modo di accoglierle. Senza che ci sia un rapporto, come dire, diretto, fra i personaggi delle storie e quelli incontrati in aula. Non ho mai scritto nessuna storia di scuola. Troppa paura di trasformare le persone in personaggi. La narrativa non deve rubare alla vita. Deve ascoltare la vita e restituirla attraverso la parola. Parola che ha una grande responsabilità perché poi viene consegnata al lettore e, come dire, porta emozioni o paure. Maggiore comprensione o maggiore confusione.
Per molti la scrittura è anche un atto terapeutico, un esorcismo con il quale si allontana, o si tiene a bada, il dolore. Anche per lei è così?
Non so. La scrittura ha anche una dimensione di grande fatica. Si scrive, si butta, si riscrive. E poi ancora da capo tutto. A volte per ore e senza gran risultato. Eppure lo si deve fare, come se scrivere fosse una dimensione necessaria alla nostra vita. Ma non so se sia terapia o sia una specie di bisogno, come respirare. Certo c’è un affanno nella scrittura. Un correre verso un risultato che non sempre arriva. Ma la mia è una esperienza tutta particolare. Per molti molti anni non ho sentito il desiderio di pubblicare. Questo di solito non capita. Chi scrive ha spesso bisogno di un riconoscimento, di essere letto per misurare il proprio valore. A me non è capitato.
Quale personaggio dei suoi libri ha amato di più?
Ildegarda, de Il tempo è un dio breve. Perché è una donna che combatte, non si arrende, fortissima pur sentendo tutto, tutto il dolore del mondo, si può dire? E’ tremendo sentire tutto e vivere e resistere. Sentire tutto è un privilegio terribile, e insieme un macigno. Eppure lei trova un suo passo, per amore. Di suo figlio Tommaso, di un uomo, di Dio, della vita e basta.
Un romanzo che le ha cambiato la vita
Le Memorie di Adriano, della Yourcenar. Una voce di uomo, una intimità assoluta con i suoi pensieri, con il suo tempo. Entrare insieme nella storia e nella mente di un uomo, fin nei desideri più personali, gli slanci di perfezione. La razionalità assoluta di certe pagine. Bellissimo. E’ una compagnia per sempre un romanzo così.
La sua è una scrittura intensa, con momenti altamente evocativi. Quali sono i momenti del giorno in cui le riesce meglio il rapporto con le parole? Com'è la sua "stanza tutta per sé"?
La natura, quando posso. L’Alto Adige, le montagne di cui è circondata Ildegarda ne Il tempo è un dio breve sono le mie montagne, le Dolomiti. Bellezza potente che porta il desiderio di vita.
Quanto tempo dedica alla revisione? C'è chi, come Hemingway, arrivava addirittura fino a trenta stesure dello stesso testo.
Scrivo e riscrivo una infinità di volte. Cerco le parole, il suono giusto per la storia. Non riprendo tutto da capo. Un capitolo, o un personaggio, oppure una situazione che mi si ripresenta Ma alla fine si tratta di decine di riscritture. Il tempo è un dio breve è un lavoro di dodici anni, e fa quasi sorridere oggi. Del resto non avevo intenzione di pubblicare, e non ho mai avuto fretta di finire. E poi finire un romanzo è un po’ morire. Si lascia una storia che ha occupato i nostri pensieri e le nostre emozioni per giorni, mesi anni.
Scrivere oggi. Cosa pensa delle nuove tecnologie e dei social network che rendono tutti "scrittori"?
Non saprei. Forse è qualcosa che davvero non conosco questo. La scrittura richiede un lungo passaggio molto privato, personalissimo, che non può avvenire, come dire, in vetrina. La vetrina poi è necessaria se si desidera un ascolto, ma la scrittura è qualcosa di profondamente personale. Certo, ci sono le tecniche, la scrittura può essere insegnata, lo dico da insegnante! Dovrei cambiare lavoro se non ci credessi. Ma il momento in cui la storia ci attraversa e chiede di essere raccontata è assolutamente personale e privato.
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