Terrain vague
di Antonia Arcuri
Gilles Clément raggruppa nel terzo paesaggio tutte le aree abbandonate dall’uomo: sono dei residui (délaissé), spazi incolti (friche) che rappresentano rifugi per la diversità. Clément ne parla anche come di “spazi indecisi”, dove le amministrazioni, o l’uomo, non hanno intenzione di intervenire e che diventano “terrain vague”, dove non è più evidente un ordine, ma solo un’evoluzione naturale della flora e della fauna, che sfruttano l’inappetenza umana alla conquista.
Terrain vague
Serpenti intricati i capelli
posi distratta
nella banalità del grigio
né luci né ombre
ti acconci parti del corpo
in un scatto sospeso
di pensiero
compari senza preavviso
per apparire più distante
con una mossa circolare
del tempo.
L’azione è casuale
come in un incontro
giochi a dare corda
nomade e senza memoria
nei luoghi temporanei
del terzo paesaggio.
Non hai un diadema tra i capelli
solo cristalli.
Quella materia di spiagge assolate
attorcigliate a doppio giro su un'idea
in strisce intrecciate di carta riciclata
e fili di lana di risulta per i nidi
degli uccelli sfrattati.
Non hai asfodeli tra i capelli
solo nastri.
L’uomo che ti sta accanto
annota pensieri
su un riquadro di luce.
Parole dismesse vi spiano
circospette
senza certezza di risiedere.
Le dileguano all'improvviso
un cenno in un saluto.
Nei nidi di carta trovano casa
seppure per qualche ora
tanto possono vivere
le parole non amate.
Sull'erba a nutrire
vespe e zanzare
le ritrovi danzare
per un'altra durata.