L'uomo davanti allo scrittore


L'uomo davanti allo scrittore

Un ricordo di Ugo Riccarelli

 

riccarelliAbbiamo iniziato parlando di fanfole e gnosi antropologiche in una sala gremita di lettori che si stava lentamente svuotando. Lui, un'intera giornata alle spalle tra lavoro e incontri letterari, sorrideva. Un sorriso tenue e rassicurante, con cui sapeva accogliere ed avvicinare i suoi lettori.

Non era previsto. La nostra chiacchierata per la mia intervista non era annunciata né dovuta. Eppure non ha esitato neanche un istante ad accogliermi cavallerescamente accanto a lui su un piccolo divano della Feltrinelli di Largo Argentina, ad ascoltarmi – lui a me – a preoccuparsi del mio treno, degli orari, mentre tra una risposta e l'altra salutava amici e congedava addetti ai lavori. Era stato sufficiente avvicinarmi a lui e sorridergli.

Era così Ugo Riccarelli, sorrideva a quella vita che aveva fatto di tutto per demolirlo. Sorvolava. Sui suoi problemi, sulle complicazioni della sua salute, sulle difficoltà del suo stare al mondo. Si concentrava sulla gioia di esserci e non si risparmiava mai.

Amava vivere, amava perdersi tra le strade della sua Roma – città d'adozione ma alla quale era molto legato; amava camminare tra i suoi vicoli fino a perdere la percezione di sé e del suo percorso umano– prima ancora che di scrittore.

La sua scrittura era lo specchio attraverso il quale riusciva ad ammirare tutto ciò che lo circondava. Dolori compresi.

Tutti gli scrittori sono uomini e donne, prima ancora che autori delle proprie opere, ma lui era l'uomo davanti allo scrittore, era tutto ciò che la scrittura dovrebbe essere per tenere fede alla sua essenza: dare a intendere senza dire.

L'uomo Riccarelli è tra le righe di tutti i suoi romanzi. È il bambino che annaspa di notte in Le scarpe appese al cuore (Feltrinelli 1995) e il ragazzo sognatore e stravagante di Un uomo che forse si chiamava Schulz (Piemme 1998); lo si può riconoscere in Beniamino che osserva i matti attraverso la rete e contemporaneamente in Fosco, che nella casa dei matti ci vive (Comallamore, Mondadori 2009).

Persino in un libro di carattere storico come La repubblica di un solo giorno (Mondadori 2011) – in cui vengono ripercorse le tappe finali della proclamazione della Repubblica Romana – Ugo è davanti a Riccarelli. È il passante tra i vicoli di Trastevere, è il popolano che esulta e il nemico che fugge.

L'amalgama di tenacia e bellezza di Signorina – protagonista di L'amore graffia il mondo (Mondadori 2012, Premio Campiello 2013) – appartiene prima di tutto ad Ugo, come anche il corpo provato e la volontà di ferro di Mané Garrincha, a cui ha dato voce nel suo ultimo libro, intitolato appunto Garrincha (Perrone 2013).

Era l'anima stessa delle sue creazioni letterarie, un esempio di scrittura introspettiva e allo stesso tempo estroversa, in uno scenario contemporaneo popolato da serialità e da fantascienza travestita da realtà.

Soffermarsi sulle sfumature dei giorni che si accavallano e scivolano via, fermarli tra le righe di una storia, perché ci facciano compagnia ancora per un po'. Questo era l'uomo che precedeva lo scrittore, questo è ciò che, umilmente, Riccarelli ha provato ad insegnarci con la sua caparbietà e con la sua scrittura.

 

SOMMARIETTO
Ugo Riccarelli, scrittore scomparso il 21 luglio 2013 e vincitore del Premio Campiello 2013 con “L'amore graffia il mondo” (Mondadori 2012), metteva davanti a tutto la sua umanità, che riusciva a dimostrare in ogni occasione, in particolar modo attraverso la sua scrittura.

Nonostante le mille difficoltà, Riccarelli sapeva affrontare la vita con entusiasmo e con un sorriso che lo accompagnava in tutto ciò che faceva, ponendo sempre l'uomo davanti allo scrittore.



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