Tra le righe del successo
di Alessandra Giannitelli
Come cambia la scrittura, oggi?Come si misura la qualità? Lo scrittore non è più quello di un tempo…
C'era un tempo in cui scrivere significava mettere in gioco le proprie esperienze di vita e il tormento interiore di chi – tra le righe – aveva dentro di sé l'urgenza di trasmettere qualcosa.
Scrittura significava in primis fare i conti con sé stessi e con quanto ruotava intorno alla propria esistenza, ai sentimenti e alle emozioni di vite spesso strampalate e fuori dal conforme.
Quel tempo sembra ormai destinato ai vecchi manuali di letteratura, perché il presente ci restituisce immagini distorte e sostanzialmente indefinite della scrittura e di tutto ciò che vi ruota attorno.
In un'epoca di protagonismi e smanie d'apparire a tutti i costi, che vede come primi attori persone comuni in grado di sfoderare talenti nascosti – o spesso di crearli dal nulla – e che fa dello spettacolo la base della sua struttura pseudo-culturale, non si salva nemmeno la meno artificiosa delle arti, quella che sicuramente dovrebbe scaturire da processi interiori e non da fattori troppo amici della razionalità.
Fare letteratura sembra ormai un gioco da ragazzini “aspiranti qualcuno”, il ruolo dello scrittore assomiglia sempre più alla figura di un essere che supera la realtà ma che contemporaneamente – e paradossalmente – la eclissa con la sua stessa ombra, omologandosi al contesto.
Sembra quasi che l'artista non sia più un'entità il cui sguardo superi la quotidianità e la normalità, bensì un personaggio in cerca di riflettori. Niente più anime in pena dietro una scrivania con lo sguardo rivolto fuori dalla finestra, la scrittura sembra essere sempre più sulla via della spettacolarizzazione che porta alla notorietà, come canto e ballo lo sono già da anni.
Fulcro di tanto disfacimento è non solo il format del reality, che ormai spopola in tutte le direzioni, ma la percezione in sé che si ha dei libri, della letteratura e di chi la produce.
Già, “produce”, perché anche le scelte di scrittura e di pubblicazione seguono sempre più fedelmente gli ardui dettami del marketing. Non solo Masterpiece, dunque, non soltanto i talent in quanto vetrine tanto ricche quanto fatue e inconsistenti, ma la concezione di producibilità e di vendibilità del prodotto. Il processo creativo che si vuole porre sotto i riflettori non è tanto l'atto creativo di aspiranti scrittori, bensì un perverso narcisismo volto alla promozione di un prodotto che, nella sua alta risonanza rischia di distruggere ogni traccia di peculiarità e di quel processo intimistico che costituiscono la base portante dell'atto di scrivere.
E la qualità? A qualcuno interessa ancora? Viene da domandarsi quale futuro possa avere la letteratura se i margini del suo percorso sono l'autopubblicazione e la mitizzazione.
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