Il male di vivere di Raymond Carver tra le scene di America Oggi
di Valentina Masotti
Nei primi anni Novanta, Robert Altman dava vita a uno spaccato della società americana contemporanea, in un film destinato a lasciare una traccia indissolubile del nostro tempo. La sua fonte di ispirazione furono nove racconti e una poesia di un grande autore che costruiva le sue storie attorno a personaggi imperfetti, ordinari. E che non amava l’etichetta di minimalista.
È come un ronzio di sottofondo, il male di vivere raccontato da Raymond Carver. Impalpabile ma incessante, accompagna i protagonisti dei suoi racconti ben oltre le pagine di una short story, quasi fosse una condizione ineluttabile, un’imposizione a cui l’uomo contemporaneo debba piegarsi, necessariamente. Succede a volte che questo ronzio si faccia più intenso, che si acutizzi travolgendo la noia rassicurante dell’abitudine, della normalità. Ma sono solo delle parentesi, che si aprono e si chiudono fugaci all’interno di mondi dominati da un’inalterabilità sconcertante.
Carver non narra di vicende eccezionali, né di persone dotate di capacità sorprendenti. Le trame dei suoi racconti non si articolano in un crescendo di suspense inteso ad assecondare i pronostici dei suoi lettori. Spesso le cose non vanno come dovrebbero andare, a volte gli avvenimenti straordinari sono soltanto degli inframezzi casuali che piombano dal nulla senza risolversi in un lieto fine. Proprio come accade nella vita reale.
Nel film America Oggi gli abitanti di dieci storie diverse si incontrano, le loro vite si sfiorano accidentalmente, generando un affresco delle nostre società contemporanee. Guidati da un individualismo esasperato e divenuti oramai inconsapevoli degli ideali a cui forse un tempo avevano aderito, conducono un’esistenza confinata ai loro piccoli mondi, impotenti di fronte all’inevitabilità dei loro destini.
Come Bill e Arlene Miller, sorpresi dal desiderio incontrollato di appropriarsi delle vite degli abbienti Vicini di casa durante una loro assenza. In possesso delle chiavi dell’appartamento dei loro dirimpettai, finiscono con il trascorrere sempre più tempo in una casa che non è la loro, fino ad arrivare a sperare che gli Stone non faranno mai ritorno. Ma Arlene, uscendo, chiude la porta dimenticandosi le chiavi all’interno e i Miller saranno d’un tratto privati di quell’illusoria scalata sociale.
Proprio a questo sembrano essere condannati molti dei personaggi di Carver. All’incapacità di liberarsi intenzionalmente da una condizione che li opprime. Il cambiamento non è mai frutto di un’aspirazione, di una scelta ragionata, ma è piuttosto determinato dal caso, da forze esterne sulle quali i protagonisti non possono esercitare alcuna influenza. E quando ciò accade la quotidianità acquista un valore nuovo, inedito. Non è più quella cella stretta e buia da cui si vorrebbe tanto evadere, ma diventa un rifugio caldo e rassicurante, da ricostruire a ogni costo.
È il caso dei genitori di Scotty, un bambino che perde la vita dopo essere stato ricoverato per alcuni giorni in ospedale. Sconvolti e reduci dalle notti in bianco trascorse a vegliare il figlio, trovano conforto nei panini alla cannella offerti da un pasticcere. Una cosa piccola ma buona, che li porta a riscoprire il ruolo vitale dei gesti più ovvi. Analogamente, Limonata narra di un padre frastornato dalla perdita del figlio in un tragico incidente. Lo sbalordimento di fronte all’ineluttabilità degli eventi non ha ancora lasciato posto alla rassegnazione e lui si sente come proiettato in una vita parallela.
Claire, dal canto suo, non si capacita del fatto che il marito abbia procrastinato la denuncia del ritrovamento di un cadavere per non dover rinunciare alla battuta di pesca organizzata con gli amici. Non riesce ad assolverlo e, allo stesso tempo, si tormenta per quell’interferenza imprevista che crea scompiglio nel loro rapporto. E si chiede se, Con tanta di quell’acqua fuori da casa, Stuart dovesse proprio andarsi a cacciare in un posto tanto sperduto, riserva di brutte sorprese.
Vuoi star zitta per favore? racconta di un’altra coppia scombinata da un accadimento straordinario, con Ralph che non riesce a perdonare la moglie Marian per aver lasciato una festa in compagnia di un altro uomo diversi anni prima. Nonostante si sforzi in tutti i modi di non compromettere la loro serenità e di lasciarsi alle spalle quell’unica macchia nella loro vita matrimoniale, proprio non può fare a meno di cedere alla rabbia.
Sì, pensò, c’era proprio una malvagità che premeva sul mondo e aveva solo bisogno di uno spiraglio, bastava la benché minima fessura1.
Anche se poi, complici le suppliche della moglie, riesce infine a rituffarsi indeterminatamente nel sogno rincuorante delle sue certezze.
Questa ambivalenza nei confronti delle abitudini quotidiane, fonti di apatia e di punti saldi nello stesso tempo, si risolve in una sorta di compromesso nel racconto Jerry, Molly e Sam. Al è un padre di famiglia a cui gli obblighi della vita famigliare cominciano ad andare stretti. Capro espiatorio diviene la cagnetta Suzy che, in un accesso di egoismo, il protagonista decide di abbandonare all’insaputa della moglie e dei figli per poi pentirsene soltanto poco dopo. Al esita tra ciò che ritiene giusto e ciò che vorrebbe per sé stesso, tra la sicurezza delle quattro mura domestiche e la libertà che si ricorda di aver sperimentato soltanto da ragazzo. In definitiva, non si sottrarrà al suo ruolo di padre e di marito, pur non rinunciando a togliersi qualche sfizio di tanto in tanto.
Altre volte, la tentazione di sfuggire ai vincoli imposti può sfociare in una repressione violenta e irrazionale. Accade quando Jerry propone a Bill un’uscita tra vecchi amici. Loro due soli, senza le rispettive famiglie con le quali sono ormai soliti trascorrere la gran parte del tempo: “Di’ alle donne che usciamo”, e sfrecciano in direzione di un biliardo e un paio di birre. Ma qualcosa è destinato ad andare storto e quell’intermezzo di emancipazione si chiude su Bill che prende a sassate una delle ragazze che contava di rimorchiare insieme all’amico. Un modo come un altro per arginare le istigazioni ad abbandonare una quotidianità asfissiante, ma che è anche un porto sicuro a cui, in fondo, non si ha il coraggio di rinunciare.
Se con i suoi racconti Carver mette in luce il rapporto ambiguo e contrastante che l’uomo contemporaneo intrattiene con le banali certezze offerte da una vita ordinaria, non è questo l’unico tema attorno al quale ruotano le sue storie. Dalle vicende a cui si è ispirato il film America Oggi emergono pure l’indifferenza, l’autoreferenzialità, il consumismo, il conformismo. È una denuncia delle piaghe della società dei nostri giorni a 360 gradi.
Il bisogno di aderire alle convenzioni dettate da una società prevalentemente fondata su stereotipi, emerge in particolare dal personaggio di Earl. Due avventori della tavola calda in cui la moglie Doreen lavora come cameriera si prodigano in commenti poco lusinghieri nei confronti del suo aspetto e lui, da quel momento, la sprona a mettersi a dieta.
Benché non gliene fosse mai importato prima, a partire da quell’istante la forma fisica della compagna diviene il centro delle sue preoccupazioni. E a nulla varrà l’apprensione dei colleghi di lavoro per via del pallore e i giramenti di testa della povera Doreen, perché, comunque sia, “Loro non sono tuo marito”. Così, da questo racconto traspare l’esigenza umana di conformarsi a determinati modelli, anche a costo di perdere di vista ciò che conta davvero.
E poi Carver affronta anche le degenerazioni di una società improntata ai consumi, schiava delle forze di mercato che sfuggono al controllo e plasmano le sorti delle persone, impotenti di fronte ai turbini della domanda e dell’offerta. Patty è un’agguerrita venditrice di Vitamine, ma la sua intraprendenza si rivela totalmente vana nel momento in cui i consumi di questi prodotti calano. Così, si avvia forzatamente verso un declino inarrestabile, destinato a compromettere la sua posizione professionale come la sua vita privata. In Collettori si assiste invece all’incontro tra un disoccupato perseguitato dai creditori e un venditore porta a porta disposto a tutto pur di riuscire a rifilare uno dei suoi aspirapolveri. Dopo i primi attimi di diffidenza, si instaura tra i due una sorta di complicità, di reciproca comprensione per essere entrambi relegati ai margini di un sistema economico che fagocita tutto quanto, senza eccezioni.
Non manca infine una denuncia nei confronti di un individualismo desolante, che permea, oramai senza scampo, le relazioni interpersonali. Come in Con tanta di quell’acqua fuori da casa, in cui il ritrovamento del cadavere di una giovane ragazza non impedisce a un gruppo di pescatori di proseguire la serata bevendo whiskey in compagnia, come se nulla fosse successo.
Due cose sono sicure: uno, ormai alla gente non gliene frega più niente di quello che succede agli altri; due, alla gente non gliene frega più niente in assoluto.2
Oppure in Una cosa piccola ma buona, in cui un’autoreferenzialità portata all’esasperazione si concretizza nella figura di un pasticcere che si vendica del mancato ritiro di una torta con una serie di telefonate insistenti e sgradevoli. Il dolce era destinato a Scotty, nel frattempo coinvolto in un grave incidente stradale. Com’è ovvio, la madre in quel frangente a tutto pensa fuorché alla torta che avrebbe dovuto essere ritirata. Eccessivamente preso da sé stesso, dalla sua piccola realtà quotidiana, al pasticcere non passa neppure per la testa che tale inadempienza possa essere dovuta a una contingenza straordinaria, a una tragica fatalità. Ma, quando viene a sapere cosa è realmente accaduto, si mortifica, risvegliandosi bruscamente dal torpore della sua routine.
Perché in fondo non sono cattivi, i personaggi di Carver. Di tanto in tanto riescono persino a mostrare un barlume di rimpianto, di pentimento a fronte di un’inettitudine che li costringe ad adottare comportamenti deludenti, che impedisce loro di fare la differenza nel mondo. Sono soltanto offuscati, intorpiditi dall’impossibilità di dare un senso alle loro vite, condannate alla mediocrità e ridotte al compimento di azioni monotone e ripetitive, giorno dopo giorno.
1 R. Carver, “Vuoi star zitta, per favore?”, in America Oggi, Einaudi, 2015, p. 49.
2 R. Carver, “Con tanta di quell’acqua fuori da casa”, in America Oggi, Einaudi, 2015 p. 68.
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