Castello di ghiaccio, di Tarjei Vesaas
di Valentina Masotti
Nel Castello di ghiaccio, Tarjei Vesaas ci trasporta in un mondo intriso di simbolismo e magia. Gli incantevoli paesaggi dell’inverno norvegese, la foresta irrigidita dal gelo, la cascata trasformatasi in una fortezza di ghiaccio sono in realtà i nostri luoghi più intimi, che rimangono perlopiù inesplorati. Ma le emozioni confinate nel profondo a volte spingono con prepotenza per emergere in superficie, scalfendo quelle corazze ordinarie e banali che costringono a una normalità spenta, inespressiva. Questo libro racconta del doloroso ritrovamento di queste emozioni, in una lotta estenuante tra scoperta e paura, tra rifiuto e arricchimento.
Unn è giunta da poco in un nuovo villaggio. La madre è morta da qualche mese ed è stata accolta dalla zia, l’unica parente rimastale, che vive in una casetta appartata ai margini della foresta. La rigida stagione invernale è ormai alle porte e lei, undici anni appena, timida e riservata, si ritrova a doversi ambientare in una nuova scuola. Unn è schiva nei confronti dei suoi compagni e si tiene ai margini dei momenti di gioco durante le ricreazioni e nei pomeriggi liberi. Ma questo non impedisce il suo incontro con la coetanea Siss, allegra e vivace, amata da tutti, costantemente al centro dell’attenzione. Si piacciono sin dal primo istante, Siss e Unn, e quando i loro sguardi si incontrano diventano perfettamente consapevoli del fatto che tra loro sta per nascere un’amicizia importante, un sodalizio destinato a durare nel tempo.
Un raggio di luce da chissà dove. Si girò e incontrò il suo sguardo. Si guardarono nel fondo degli occhi. Strano. Di più non sapeva, di più non poteva neanche pensarci. (p. 16)
Così Vesaas ci descrive l’incontro con l’altro, con il diverso. Due ragazzine dalle personalità diametralmente opposte che si trovano, capendo all’istante di non poter più fare a meno l’una dell’altra. All’età di undici anni la curiosità fluisce spontanea, libera da preconcetti e costrizioni, e le differenze non spaventano. Conducono invece per mano attraverso le vie tortuose che portano all’affermazione della nostra individualità. Nell’altro ci specchiamo, scorgendo la nostra immagine riflessa, e ritroviamo la diversità nelle pietre preziose che disseminano il nostro cammino, elementi essenziali al completamento di noi stessi.
Unn tiene però dentro di sé un segreto, un nodo che deve essere imperativamente sciolto, prima di farsi coinvolgere in uno scambio incondizionato in cui si accoglie e ci si lascia accogliere senza riserve. Deve ritrovare le sue emozioni, ormai sedimentate sul fondo degli spazi interiori più reconditi e ripercorrerle una ad una, rielaborarle e metabolizzarle, per poter radunare le forze necessarie a compiere il passo decisivo verso un nuovo inizio.
Non è ancora pronta per Siss, deve attendere. Una mattina decide così di non andare a scuola e di avventurarsi invece nella foresta alla scoperta del Castello di ghiaccio, di cui tanto ha sentito parlare al villaggio. Il Castello di ghiaccio: una fortezza provvisoria, una meraviglia della natura scaturita dalle correnti di una cascata con la complicità dell’intenso gelo invernale.
No, c’era solo un pensiero, oggi: Siss.
Questa è la strada che porta a lei.
Questa è la strada che porta a Siss.
Non posso vederla, solo pensarla.
Non pensare all’altra cosa, adesso.
Solo a Siss che ho trovato.
Siss e io nello specchio.
Raggi e luccichii.
Non pensare che a Siss (p. 41)
Unn riuscirà a intrufolarsi all’interno di quella scultura apparentemente inespugnabile e ne esplorerà coraggiosamente ogni ambiente. Sì, deve armarsi di coraggio, per visitare il Castello di ghiaccio, perché si tratta in realtà del suo mondo interiore, di sentimenti, impulsi e sensazioni con cui si costringe infine a un confronto aperto e sincero. Deve farlo per Siss, per la loro amicizia, che non deve trovare ostacoli sul lungo percorso che la attende.
Giunta nella sala piangente si ritrova circondata da tutta la tristezza che ha portato dentro di sé fino a quel momento. Ora è lì, di fronte a lei, al di fuori di lei. Unn può vederla, può persino toccarla.
Le gocce cadevano sul suo cappotto e sul suo berretto di lana. Non le importava, ma il suo cuore era pesante come piombo. La sala piangeva. Ma perché piangeva? Doveva smetterla. Non smise. Al contrario sembrò aumentare. L’acqua le cadeva addosso in maggior quantità, il gocciare si fece più fitto, e il pianto più disperato. (p. 57)
Lungo il suo percorso, si imbatte anche nella gioia più pura, autentica. Ma dopo il primo istante di meraviglia prosegue la sua visita. Il Castello non deve avere più segreti per lei, deve esplorarlo in ogni sua parte, conoscerne ogni segreto.
Accede così a quella che per lei sarà l’ultima sala, quella in cui il suo viaggio intimo giungerà al termine senza che lei abbia neppure il tempo di rendersene conto. Il pressante rombo della cascata sotto i piedi, tante lacrime, ancora una volta, ma prive di quella profonda tristezza che aveva sperimentato in precedenza. Un’ondata di smarrimento la investe totalmente. È in questa stanza che Unn è chiamata a operare una sintesi tra le molte emozioni contrastanti che abitano la sua dimensione interiore, a riemergere grazie a una nuova consapevolezza di sé che le permetta di aprirsi finalmente all’altro. Ma qualcosa va storto e il gelo pungente prende il sopravvento sul suo corpo, sulla sua mente, su di lei. Tornare indietro non è più possibile, è troppo tardi ormai. Sconfitta da un isolamento invalicabile, si accascia rassegnata contro la parete piangente, e il freddo finalmente scompare. Al suo posto, una luce infuocata che si diffonde travolgente, intensa, da cui si lascia accogliere a braccia aperte, senza opporre alcuna resistenza.
I disegni sulla parete di ghiaccio danzavano nella stanza, la luce divenne più forte. Tutto era capovolto, tutto era luce accecante. Non pensò neanche per un attimo che ci fosse qualcosa di strano; era come doveva essere. (p. 64)
La scomparsa di Unn risveglia tra gli abitanti del villaggio quel patto solidale che tacitamente unisce le piccole comunità appartate nella loro piccola porzione di mondo, lontane dai luoghi caotici della frenesia urbana. Tutti contribuiscono a loro modo alle ricerche affrontando le notti gelide tra i boschi, stretti attorno a uno scopo comune che si impone sulle esigenze individuali di ciascuno di loro. Ma nonostante tutto, lei non si trova. Nessuna traccia della ragazzina introversa e taciturna ancora così poco conosciuta in paese, e l’energia collettiva iniziale lascia pian piano posto a una mesta rassegnazione.
Solo Siss non si dà pace, si impedisce di crogiolarsi nel rimpianto del ricordo, si ribella con forza alla resa dei suoi coetanei e degli adulti. Eclissa il suo modo di essere per far emergere quello dell’amica perduta e si chiude a riccio, si fa silenziosa e riservata come lo era lei. È la sua promessa solenne. Unn deve continuare a vivere, non può essere dimenticata. Lei è Unn.
Soltanto un’intima conversazione con la zia di Unn durante una passeggiata serale la convincerà a sciogliere i nodi del patto univoco che si è imposta. Siss deve riprendere a ridere, a correre, giocare, a vivere. Solo così potrà veramente rendere giustizia al grande regalo che le è stato fatto, alla parte di Unn che porta ormai indelebilmente dentro di sé.
Torna infine dagli altri, Siss, si riappropria del legame con i genitori, delle sue amicizie, del mondo che è suo. L’inverno si appresta a lasciare posto alla primavera, che già si affaccia sui paesaggi cristallini, e un giorno Siss si unisce ai suoi amici per una gita sugli sci. La meta è ancora il Castello di ghiaccio, che merita di essere ammirato un’ultima volta prima che il fiume in piena se lo porti via per sempre. Diversamente dalle notti alla ricerca di Unn, ora il Castello non fa più paura. I ragazzi si arrampicano lungo le pareti, si divertono a saltellare sulle cime tra urla giocose, quasi a voler demitizzare quel luogo di misteri che mai saranno svelati e destinato presto a dissolversi con l’arrivo della bella stagione.
Siss ce l’ha fatta. Ha rielaborato il trauma ed è riuscita a riallacciare i fili con ciò che la circonda, a guardare oltre la sua intima sofferenza. Per Unn invece è stato diverso. È rimasta imprigionata nella roccaforte delle sue emozioni, schiacciata dal peso di ritrovarsi inerme, senza difese, di fronte alla forza di sentimenti tanto intensi. In questo senso, Vesaas pare invitarci a una riflessione sul valore dei rapporti che intratteniamo con gli altri, sugli effetti che producono sui nostri atteggiamenti, la nostra personalità, ma anche sulla nostra vera essenza, che può sembrare apparentemente insensibile agli influssi della società e delle sue tante norme non scritte. Siss riesce a salvarsi grazie a una fitta rete intessuta sin dai primi anni della sua infanzia, una rete sociale fatta di rapporti, scambi, persone. Forse proprio questo mancava a Unn per trovare l’uscita dal suo Castello. È riuscita ad entrarvi, a esplorarlo, a confrontarsi con ogni stanza, con ciascuno degli aspetti del proprio sé, ma ha dovuto soccombere nel momento in cui si è ritrovata a dover rielaborare il suo vissuto negativo, ad accettarlo e integrarlo come parte di lei. La sua vita interiore era isolata al punto tale da impedirle di acquisire lo slancio necessario a riemergere dall’abisso in cui era sprofondata. Così, da questo romanzo affiora la valenza del legame con l’altro, il bisogno imprescindibile di rapporti profondi e autentici come nutrimento per la nostra interiorità.
Una notte primaverile. Il Castello di ghiaccio si crepa, cede e poi crolla, si disgrega in cocci e schegge nella cascata, portandosi via tutto ciò di cui Unn non riusciva a liberarsi, ciò che lei non voleva essere. I suoi sentimenti e le sue emozioni più belle restano invece custodite da Siss, libere di risplendere e rivelarsi a chiunque si mostri desideroso di accoglierle.
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