Barbari contro
di Patrizia Bilardello
Barbari contro
ovvero Marsala, dove Cristiani e Islamici pregano insieme
In questi giorni di estate mediterranea, scandita da calde brezze marine, ti viene voglia di chiudere la mente, di far calare un sipario, per non sentire l’inutile cicaleccio a cui ti sottopongono i vari Tg e talk-show.
Ascoltare le varie voci della politica, urlata, derisoria, offensiva, blanda, incapace, ignorante, mai incisiva e diretta, se non per urlare false indignazioni, è veramente deprimente.
Sono questi i momenti in cui la mente si sofferma su fatti che passano come fuochi d’artificio. Uno dopo l’altro, illuminano il buio per pochi secondi, ci fanno esclamare di meraviglia, ma, alla fine, cadono definitivamente nell’oblio.
Sono molti i fatti che sarebbe necessario approfondire, ma, alcuni di questi hanno attirato particolarmente la mia attenzione: la visita del Papa a Lampedusa; l’uccisione di 42 bambini in una scuola laica in Nigeria da parte di un gruppo fondamentalista islamico; il battesimo, in una chiesa della nostra città, di due bambini.
Le parole dure e dirette di Papa Francesco, sono entrate direttamente nel cuore del problema. Ma non erano dirette solo a noi italiani, che, a parte poche frange estreme, siamo sempre pronti ad aiutare i più bisognosi, come fa continuamente la gente di Lampedusa e, in passato, i cittadini pugliesi. Le parole di rimprovero forte del Papa erano dirette ad un’Europa, che nel corso degli anni ha sempre trattato il fenomeno migratorio come un approccio di sicurezza pubblica, lasciando sola l’Italia e preoccupandosi solo di blindare le frontiere in modo che gli immigrati non si potessero sparpagliare nel Vecchio Continente. È un atteggiamento anti-storico, che si rifiuta ostinatamente di considerare l’immigrazione per ciò che realmente è: una componente di un processo più ampio di libertà di movimento e contaminazione, che si sta affermando per le merci, per i capitali ed anche per le persone.
Una persona migra verso altri lidi perché conta di assicurarsi un’opportunità di vita migliore: lo stanno facendo i nostri giovani oggi, schiacciati dall’immobilismo nazionale e dalla mancanza di prospettive lavorative, e lo stanno facendo anche le classi dirigenti che de-localizzano e spostano personale europeo, anche altamente qualificato, laddove vi sono maggiori opportunità di valorizzazione.
Qualcuno si sognerebbe mai di fermare questa migrazione?
Il fenomeno migratorio è un processo che riguarda la lotta alla povertà, certo, ma anche la visione di un mondo dove ciascuno avrà il diritto di vivere ed operare dove meglio crede e dove ritiene di avere maggiori opportunità personali e professionali. L’elemento fondamentale è una politica europea che dia norme e regoli il diritto ai cittadini di vivere nel mondo, superando nazionalità, appartenenze religiose e culturali. Questo è il monito e, nello stesso tempo, l’invito di Papa Francesco.
Tutti abbiamo applaudito alle parole del Papa, ma, spesso le persone quando sentono parlare di Islam, pensano che non possa mai esserci integrazione. Non è così. Il problema dell’Islam è legato spesso ad una interpretazione multiculturale dei precetti religiosi islamici o comunque anche ad una interpretazione di origine politica. Infatti, anche nei secoli passati e non solo in oriente, la religione è stata utilizzata come strumento di controllo delle masse. Oggi le cose stanno cambiando, i giovani, musulmani e non, si stanno rivoltando contro quei poteri tirannici che nulla garantivano, governi sui quali non pendeva alcun obbligo ma solo diritti. Ovviamente un bel passo avanti devono farlo anche i paesi occidentali nel varare leggi che favoriscano l’integrazione sociale anche con leggi di integrazione religiosa
L’integrazione è necessaria per garantire lo sviluppo della personalità umana, e la religione può essere uno dei tanti fattori di integrazione sociale e culturale: questo ruolo di integrazione che le religioni possiedono ritorna periodicamente al centro dell’attenzione in situazioni di profondi e radicali cambiamenti. Questo ruolo si può manifestare in diversi modi: all’interno di una cultura la religione può celebrare e rinnovare, ad esempio, la coesione sociale attraverso i riti, oppure può costituire il luogo dell’integrazione di divinità e culti più o meno estranei; o, ancora, avere un ruolo nell’incontro fra civiltà diverse e conoscere fenomeni di «mescolanza.
Questo, in silenzio, si è realizzato, in una parrocchia di Marsala, pochi giorni fa.
Mentre in Nigeria, venivano bruciati vivi 42 scolari di una scuola media, colpevoli di studiare in una scuola laica, dove non si insegnava il Corano, nella parrocchia “Maria Ausiliatrice” di Marsala, venivano battezzati due bambini, figli di una coppia “mista”, cattolica e islamica. Islamici e cristiani hanno pregato insieme per questi piccoli, insieme hanno recitato il Padre Nostro, insieme hanno festeggiato, uniti dall’amore per i loro cari. E non erano presenti solo i genitori, ma anche i loro parenti.
Chiaramente un fatto simile ha destato la mia curiosità: perché i genitori, uno di fede islamica e l’altro di fede cristiana, senza alcuna prevaricazione, hanno deciso di battezzare i loro figli?
La risposta è semplice e grande nello stesso tempo: siamo figli dello stesso Dio che chiamiamo con nomi differenti.
In effetti, le tre religioni monoteiste, hanno in comune la storia della rivelazione di Dio ad Abramo e la Città Santa di Gerusalemme.
Fu l’Arcangelo Gabriele a consegnare a Maometto il Corano in nome di Allah, e per noi Cristiani, l’Arcangelo Gabriele è il Messaggero di Dio.
Non a caso Papa Francesco ha espresso il desiderio di convocare un grande incontro delle sole tre religioni monoteiste.
Battezzare i loro bambini assume, inoltre, un significato più profondo: pur continuando i genitori a professare ognuno la propria fede, con il battesimo dei loro figli, hanno voluto esprimere la loro profonda integrazione con la cultura del nostro paese e questo perché sono perfettamente integrati nel tessuto sociale della nostra città.
La nostra Sicilia è sempre stata un crocevia di razze, un incrocio di civiltà, che hanno arricchito il nostro tessuto sociale e le nostre città, dal cibo all’architettura.
Alcuni chiamano gli immigrati “barbari”. Evidentemente non sanno che la parola “barbaro”, deriva dal greco βάρβαρος, che letteralmente significa “balbuziente”, termine con cui gli antichi greci indicavano gli stranieri, cioè coloro che non sapevano parlare correttamente la loro lingua.
Solo successivamente, con il termine barbaro, si è voluto indicare, non solo lo straniero, ma uno straniero “incivile”, se non pericoloso.
Ma, ascoltando le oscenità che vengono proferite con abbondanza da persone che hanno incarichi perfino istituzionali, ci rendiamo conto che i veri barbari li abbiamo già da anni… sia sognanti che parlanti.
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