“Il gabbiano” di Sándor Márai



Adelphi eBook , Milano 2011

 

il gabbianoE non bisogna pensare che siano cose che succedono per caso, no... e nemmeno per una questione di diottrie, è il destino quello. Quella è gente che da sempre c’aveva già quell’istante stampato nella vita. (Alessandro Baricco, Novecento, p.12)

Già, un istante. È ciò di cui si sostanzia la vita stessa, oppure la felicità, che non è mai uno stato mentale, bensì una raccolta di limpidi istanti, “nel mezzo del cammin di nostra vita”, disseminati qua e là. Quant’è semplice il mutare degli eventi, legato com’è a meri dettagli… al punto che, come recita una frase entrata a far parte del repertorio comune “il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d’aria nel Texas”, vale a dire come un minimo cambiamento possa trasformare e determinare il futuro. Viene da chiedersi quale peso abbia dunque il caso nella Storia dell’umanità, dando seguito a quel filone infinito di supposizioni che nasconde tuttavia quello a cui tutti aspireremmo, scoprire la verità:

“E all’improvviso si sente come chi viene bruscamente destato da un sonno profondo e torbido a causa di un qualche rumore o evento inatteso. È la fredda e terribile sensazione di lucidità che si prova quando una voce o un’esplosione, lo scherzo perfido o la crudele volontà di una persona ci costringe a riemergere dalle acque profonde del sonno verso la superficie, in mezzo ai gelidi fatti”.

(Sándor Márai, Adelphi eBook, Milano 2011, pos.1924)

Nei libri di Márai c’è sempre una messa a confronto con il destino, una resa dei conti con se stessi che viene spiegata poi dal dialogo tra due personaggi, sotto l’influsso di un terzo (però assente), che in realtà è sempre un monologo camuffato, come una sorta di voce interiore. In quei momenti il tempo non ha più passato, presente o futuro, si ammanta di una sorta di atemporalità che mantiene sospesi. Il protagonista di “Il gabbiano”, romanzo pubblicato per la prima volta nel 1943, riveste una carica di grandissima responsabilità, un consigliere di Stato che tiene in mano le redini del futuro di una buona parte dell’umanità, ma un uomo, nello scenario dellʼimmenso scacchiere della guerra, tuttavia solo e abbandonato, firmatario di un documento che condurrà il paese al conflitto:

[…] Sì, per effetto di tali parole la grande macchina, lo Stato, con i suoi milioni di raffinati ingranaggi si sarebbe messa in moto, e il grande organismo, la Nazione, si sarebbe ridestato con il cuore in gola. (ivi, pos. 31)

Documento di cui è a conoscenza lui e pochi altri fidati e che, se non verrà reso ufficiale mediante una dichiarazione, non cambierà il destino di tanti. Il Fato antropomorfo si concretizzerà sotto forma di donna, in un incontro che il funzionario giudica fatale e carico di reconditi significati:

“[…] Perché al mondo non ci sono soltanto la legge e i parlamenti e le consuetudini giuridiche. Esiste il capovolgimento dell’ordine e può accadere persino che chi muore risorga dalla tomba, e chi credeva di essere il centro del mondo – figuriamoci, un essere umano! – non sia che un giocattolo in mano a forze che non sono minimamente razionali”. (ivi, pos. 216)

Una donna, Aino Laine, il gabbiano, che ha le fattezze, ma non la voce, della donna che egli amava:

”se non mi controllo [...] attaccherò a ridere… ridere? No, a sghignazzare, a sbellicarmi dalle risa, a picchiare i pugni sul tavolo…” (ivi, pos.175). […] Perché “Non capita mica a tutti, pensa, di seppellire qualcuno che dopo un poʼ risorge dalla tomba [...] e di punto in bianco se ne sta lì sulla soglia, in pieno giorno, all’una e venti” (ivi, pos.188).

e che si è tolta la vita mesi prima per amore di un altro o per vendetta:

“Per lungo tempo non aveva capito che cosa avesse voluto dire morendo. In genere i suicidi vogliono vendicarsi. Ogni suicida vuole vendicarsi di qualcuno o semplicemente del mondo: vogliono che si abbia pietà di loro, che li si rimpianga”. (ivi, pos. 244)

La donna afferma di essere una finlandese fuggita dal proprio paese e in cerca di un lavoro e di un permesso di soggiorno; l’uomo ne resta folgorato: il nome della ragazza, le dice il Consigliere, “racchiude in sé due concetti commoventi e preziosi [...] l’‘unico’, che è pathos e ossessione […] e l’‘onda’ [...] che offre e toglie eternamente i suoi doni, fa incontrare caso e possibilità, crea un legame fra ciò che è unico e ciò che è casuale. Hai un nome bellissimo, Aino Laine. Non a caso è il tuo nome” (ivi pos.1284), dando con lei vita a un convegno durato un giorno, memorabile, in cui lo scrittore Márai ripercorre temi a lui cari, come ai suoi lettori, adusi a compiere profonde riflessioni e a convertire i suoi piccoli libri in manuali di filosofia essenziale, in uno stile estremamente seducente e suggestivo.

Come manichini nei depositi delle sartorie da qualche parte giacciono volti e corpi identici… non è oltraggioso?... Si crede di aver amato qualcuno di unico, nella sua fatale e magnifica individualità. […] (ivi, pos. 770)

L’impalcatura della narrazione poggia su molteplici sottili e seduttivi dialoghi tra i due, protagonisti di una notte, notte in cui arriva il momento che gli esseri umani temono di più, quello in cui ”la vita toglie loro la maschera” (ivi, pos.1242), in cui dovranno imparare ad accettare un destino imprevedibile, figure cardine e simboliche di un romanzo misterioso dai contorni indefiniti, al cui centro spicca un quadro man mano sempre più nitido ma che non si completa mai interamente, fluttuanti figure che discettano tra ciò che è onirico e prodigioso e quanto di più concreto e tangibile si possa concepire. Quello della maschera è un altro leit motiv tipico di Márai, qui rappresentato non solo dal fatto che nella prima parte della lunga notte i due protagonisti hanno assistito, all’Opera di Budapest, a Un ballo in maschera di Verdi, ma anche perché questo tema torna poi spesso, nel loro dialogo notturno:

“Ci sono notti nelle quali si partecipa ad un ballo in maschera… La notte ti ha chiamato e tu rispondi turbato. Svegliati, amico mio” dice Aino Laine al Consigliere (ivi, pos.1251) e lui, da parte sua, guardando la ragazza, pensa che “è come se indossasse dei travestimenti per poi spogliarsene, travestimenti e maschere diversi per ogni istante” (ivi, pos.1380), poiché “la notte mi ha chiamato, e devo rispondere. Ma la cosa meravigliosa è proprio quanto sia reale tutto questo. È meraviglioso che il prodigio sia in carne e ossa, che il destino, quando si presenta in varianti così inverosimili, abbia un visto e un passaporto…” (ivi, pos.1251).

Márai usa lo stratagemma del “doppio” (due donne, due notti “fatali” — quella di Budapest e quella vissuta da Aino Laine a Parigi, notti entrambe che precedono i giorni della guerra e della morte, due serate all’Opera…), per ricordare ai suoi lettori quanto invece sia preferibile il mutamento continuo rispetto alla fissità e il fatto che ci siano dei nostri sosia in giro per il mondo può spingere più facilmente a riflettere sul concetto di identità:

Uno immagina di essere stato creato in un unico esemplare, e un giorno è costretto a rendersi conto di essere una volgare copia. (ivi, pos. 770)

Aino Laine è e non è Ilona, la donna che il Consigliere amava. Appare come una sorta di sineddoche antropomorfa, una parte del tutto, e per tutto intendiamo l’universalità dell’essere umano che non può essere soltanto un “io”, ma porta con sé numerose caratteristiche affini a tutti; ogni essere umano, in fondo, si differenzia da un altro in virtù di semplici sfumature:

Ormai lo so. Nelle ultime ore ho capito che gli uomini temono un unico momento: quello in cui la vita toglie loro la maschera, e sono costretti ad ammettere che quanto custodivano così spasmodicamente e gelosamente sotto la maschera, l’«io», non è così assolutamente individuale come essi, nella loro supponenza, avevano creduto. L’«io» è qualcosa che si ripete, si duplica, si mescola e si rinnova in eterno, e non è assolutamente personale. Poco fa ti ho baciata. Bene, sappi che non ho baciato soltanto te, una donna che è tornata a me attraverso le intricate vie del mondo, ma anche un’altra donna di cui tu sei stata parte, e che, pur morta e sepolta, è solo un frammento del fenomeno che tu chiami «io». (ivi, pos.1242)

Scongiurare lo spegnimento dell’individualità, l’assoggettarsi e adeguarsi alla massificazione resta l’imperativo che ogni umano dovrebbe perseguire:

Queste persone sono sempre massa, anche quando sono da sole. La loro anima è semplicemente un atomo dell’anima della massa: una brulicante impersonalità, che ha un'”opinione” su ogni cosa, e non ha una reale conoscenza pressoché di niente, ma spaurita, piroettando, scintillando, disorientata e senza uno scopo cerca una direzione in cui sciamare… Perché ti stupisci? Questa massa è il cascame di una civiltà; queste donne dal volto imbellettato come mummie egizie, questi uomini dallo sguardo fisso e crudele, che indossano i loro abiti borghesi alla moda dal taglio impeccabile neanche fossero la divisa di una società segreta. Ovunque gelida complicità. (ivi, pos.434)

Esiste un’altra guerra oltre a quella che miete vittime sul campo, ed è quella che si combatte in nome dell’amore, qualcosa che accomuna gli esseri viventi, non solo gli umani, con tutto il suo corollario di delusioni, di incertezze, talvolta di dolore;

E’ questa l’altra guerra che si cela dietro quella visibile: la guerra delle coppie. Ma nessuno storiografo ne ha mai scritto. Peccato… Però si tratta di una guerra, Aino Laine, e miete non poche vittime. E chi ne è consapevole, a una certa età e dopo aver accumulato una certa esperienza, soppesa l’eventualità della vita e della morte quando si china verso il volto di un altro essere umano per baciarlo, un essere umano che è sì una replica, ma – purtroppo, o grazie a Dio – è anche diverso. Ma poi lo bacia ugualmente, vedi… l’esperienza non gli è servita a nulla. (ivi, pos.1623)

Il romanzo, in definitiva, s’incentra su Aino Laine che incarna, anche grazie al suo nome, la possibilità, l’andare e venire dell’onda a simboleggiare metaforicamente la vita che dà e che toglie, la ricerca di vita o la rinuncia della stessa; lʼapolide, colei che non ha più una casa, la fanciulla-gabbiano è anche, in qualche modo, una sorta di “doppio” dello stesso Márai, non solo perché lui stesso uomo dalle molteplici patrie (l’Ungheria, la Germania e la Vienna dell’adolescenza) ma anche di ciò che sarà da esule perché, come dice Aino Laine:

“[…] quando non si ha una casa, all’improvviso il mondo diventa così piccolo… puoi metterti in viaggio, come gli uccelli, come… sì, li abbiamo visti oggi, come i gabbiani.

Ma volare come loro non è facile, perché gli esseri umani si portano dietro anche i ricordi,“ […] E i ricordi ci tirano giù” (ivi, pos.1307).


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