La “scandalosa”avventura surrealista
di Ilaria Biondi
Sui miei quaderni di scolaro
Sui miei banchi e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Io scrivo il tuo nome
[…]
Sull'assenza che non desidera
Sulla nuda solitudine
Sui sentieri della morte
Io scrivo il tuo nome
Sul rinnovato vigore
Sullo scomparso pericolo
Sulla speranza senza ricordo
Io scrivo il tuo nome
E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.
(Paul Eluard, Libertà)
La “rivoluzione culturale” surrealista, che da un punto di vista storico si colloca nella Francia degli anni Venti del XX secolo per protrarsi fino agli albori della Seconda Guerra Mondiale, tenta di erodere quel sistema di pensiero e di vita alienante, coercitivo e soffocante che rivela tutta la propria fragilità e inconsistenza proprio con l’esplosione della Grande Guerra. I giovani artisti e pensatori che danno vita a questo movimento di rottura – movimento non solo letterario ma che coinvolge tutte le forme espressive artistiche – comprendono e denunciano con lucidità e disincanto i futili prestigi e le vane fascinazioni di una civiltà che si fregia delle proprie scoperte scientifiche, del proprio progresso tecnologico ma che si è rivelata incapace di preservare tante vite dal massacro, dalla cieca furia della violenza guerresca.
Il radicale bisogno di rinnovamento artistico, filosofico e politico reclamato dalle nuove generazioni va di pari passo con il rifiuto categorico di questa cultura, dei suoi valori e miti, delle sue abitudini mentali e auspica di definire un umanesimo autentico, una vita nuova che conferisca la priorità assoluta ai desideri e ai bisogni più profondi dell’uomo, in primo luogo quello della libertà.
L’avventura surrealista, nel suo spirito di rottura, rivolta e cambiamento assoluto, non rivendica alcun predecessore; essa affonda tuttavia le proprie radici in quella tradizione culturale che risale al romanticismo e che pone al centro dei propri interessi la ricerca spirituale e il mistero poetico, la tensione verso l’ignoto. Alle ristrettezze e alla logica servile della cultura razionalista e dei suoi effetti sinistri – di cui la Grande Guerra rappresenta la pointe estrema – vengono contrapposte figure audaci e ribelli di poeti-veggenti come Rimbaud, Lautréamont e Jarry, per i quali l’avventura poetica non è mera attività artistica bensì rappresenta il modo più autentico e più profondo di vivere la propria esistenza terrena. La concezione dell’arte come esplorazione dell’Insolito e dell’Ignoto, di un Altrove insondabile nel quale l’io e l’universo sono legati l’uno all’altro da misteriose corrispondenze, apparenta strettamente la démarche surrealista al tema del viaggio quale lo si trova in Baudelaire e ancor prima in Nerval e negli scrittori romantici tedeschi, che l’autore di Aurélia contribuì non poco a far conoscere al di qua del Reno. Folgorante è anche la scoperta della psicanalisi freudiana, per lo spessore che conferisce all’inconscio, ai sogni e ai desideri, al versante “primitivo” e istintivo dell’individuo, concezione questa che collima con la volontà surrealista di esaltare nell’uomo la necessità di rintracciare nel più profondo di se stesso lo spirito libero che lo anima, scrollandosi di dosso tutte le sovrastrutture, le catene religiose, sociali e culturali che lo attanagliano, lo soffocano e lo snaturano.
Questa devastante crisi delle coscienze confluisce nella creazione del movimento Dada (collocabile grosso modo tra il 1916 e il 1921) a Zurigo, città che raduna buona parte degli esuli di guerra di tutta Europa. Il gruppo di giovani artisti, riunitosi attorno alla figura del romeno Tristan Tzara, propugna una rivolta totale, un diniego assoluto, un nichilismo senza appello che investe non solo la dimensione politica, i grandi rivolgimenti storici dell’epoca e la civiltà moderna, ma anche l’arte, la poesia e il linguaggio, che deve essere completamente disgregato e distrutto (da cui, l’uso di comporre poesie a partire da parole ritagliate alla bell’e meglio da un giornale e mescolate alla rinfusa all’interno di un cappello). Il Manifesto Dada, del 1918, trasuda violenza e ribellione:
Tutti gli uomini gridano: c'è un gran lavoro distruttivo, negativo da compiere: spazzare, pulire. Senza scopo né progetto alcuno, senza organizzazione: la follia indomabile, la decomposizione. Qualsiasi prodotto del disgusto suscettibile di trasformarsi in negazione della famiglia è DADA; protesta a suon di pugni di tutto il proprio essere teso nell'azione distruttiva.
Nella Parigi del 1919 si gettano intanto le basi per accogliere la rivoluzione nichilista e scandalosa dei Dadaisti: il giovane studente di medicina André Breton, che a causa dei disturbi neuropsichiatrici di cui soffre si avvicina all’opera di Freud e si interessa alle possibili applicazioni nell’arte dell’esplorazione dell’inconscio, comincia a costituire il gruppo surrealista fondando la rivista Littérature insieme a Philippe Soupault e Louis Aragon. Breton, che scopre il movimento di Zurigo già nel 1917 insieme a Guillaume Apollinaire, incontra Tristan Tzara nel 1919, al momento della sua venuta nella capitale francese; l’influenza del dadaismo stravolge completamente gli intenti della rivista Littérature, che nel suo spirito originario è d’impronta ancora tutto sommato tradizionalista. Tzara propugna infatti una volontà distruttiva, che se la prende soprattutto con l’arte e la poesia, oggetto di umiliazione, derisione e distruzione, e con la civiltà e cultura moderne, di cui vengono dichiarate la morte e la fine senza appello. Il pubblico parigino reagisce molto male all’impresa anarchica dei Dadisti, giudicandola sterile e insensata, perché limitata alla sola negazione e impotente di fronte alla creazione di un’arte nuova. Breton, deluso dal rapporto di collaborazione con Tzara, nel 1922 decide di rompere definitivamente i ponti con il gruppo dadaista, nel cui atteggiamento vacuamente scandaloso non si riconosce appieno e cerca di oltrepassarne il negazionismo orientando il gruppo surrealista verso la scoperta e lo studio di quelle dimensioni dell’io per gran parte ancora misconosciute e insondate come il sonno, il sogno e l’inconscio, esaltando nell’uomo la parte irrazionale e immaginativa, che rappresenta la vera, autentica vita. Il movimento surrealista, che vede nella figura carismatica di Breton il proprio leader e principale teorico e che raduna non solo poeti ma anche pittori (Soupault, Crevel, Desnos, Eluard, Aragon, Péret, Ernst, Picabia), viene formalmente fondato nel 1924. Nel Manifeste du surréalisme, pubblicato in quello stesso 1924, viene condannata ogni forma di arte che si ispiri al razionalismo e al realismo (in modo particolare la produzione romanzesca), «ostile al progresso intellettuale e morale» e si rivendica il potere supremo dell’immaginazione e della poesia, purché quest’ultima si proponga come fedele veicolo dell’inconscio e dei desideri reconditi dell’animo umano, ricorrendo a quella particolare forma di espressione chiamata scrittura automatica. Il surrealismo promuove pertanto la liberazione dell’individuo attraverso la liberazione del linguaggio, riponendo una fiducia sconfinata nel pensiero e nella sua capacità di combattere e distruggere cultura, morale, religione e politica, tutte quelle costrizioni che limitano la libertà dell’io, come designa esplicitamente André Breton:
Eravamo più che altro in preda a un rifiuto sistematico e accanito delle condizioni nelle quali, a quell’età, ci costringevano a vivere. Ma il rifiuto non si fermava qui, era avido, si rivolgeva a tutti quegli obblighi intellettuali, morali e sociali che da ogni parte e da sempre vedevamo pesare sull’uomo in maniera opprimente.
Nasce così un vero e proprio Bureau de recherches surréalistes, una fucina di idee, un luogo di confronto delle esperienze più disparate e lontane che confluiscono nella stesura di testi sperimentali, nei quali gli autori utilizzano le innovative e audaci tecniche del langage en liberté, vale a dire la scrittura automatica (cui fa da contrappunto figurativo la pittura automatica di Tanguy, Masson e Mirò) e il resoconto onirico, nel tentativo di registrare in presa diretta e in maniera del tutto incontrollata gli stati d’animo e le immagini che affiorano alla coscienza.
L’iniziale distacco da ogni azione politica, che vale al surrealismo l’accusa di movimento estetizzante avulso dalla realtà e dalle sue contraddizioni, lascia ben presto il posto ad un atteggiamento più partecipe, che confluisce nella collaborazione con quei gruppi che, in occasione della guerra del Rif (1924-1926), si richiamano al pensiero marxista. I surrealisti sono tuttavia restii ad abbandonare i propri obiettivi e la propria linea di ricerca, incapaci come sono di farsi incasellare entro la rigida disciplina di un partito. L’avvicinamento alla causa politica crea pertanto profonde tensioni interne, che sfociano nell’allontanamento dal movimento di Artaud e Soupault, convinti difensori e sostenitori dell’attività letteraria come unica arma di intervento per trasformare la vita spirituale dell’uomo.
Per contro al movimento, di cui Breton nel Secondo Manifesto surrealista del 1929 ribadisce la duplice anima politica e morale, si avvicinano nuove figure di spicco come Dalì (che mette a punto la tecnica della “paranoia-critica”, nel tentativo di oggettivizzare l’immagine onirica) Char, Sadoul e Bunuel.
Le turbolenze in seno al movimento non ne arrestano la marcia: l’anno 1928 è particolarmente fecondo e vede la nascita di due opere-chiave, il Traité du style di Aragon e Nadja di Breton.
A lungo andare però i profondi dissidi interni, legati alla difficile convivenza tra l’impegno politico e la libera esplorazione dell’inconscio umano, finiscono con il travolgere il gruppo, incapace di superare in via definitiva tali inconciliabili contraddizioni: nel 1930 Aragon aderisce al Partito Comunista e si separa dagli amici surrealisti, mentre nel 1933 Breton e Eluard vengono esclusi dal partito. Quest’ultimo poi durante la Seconda Guerra Mondiale, con un nuovo cambiamento di rotta, compie una scelta analoga a quella di Aragon, mentre Breton va in esilio negli Stati Uniti, facendosi l’irriducibile difensore di un surrealismo integrale, dell’indipendenza del movimento da ogni forma di controllo esterno, marxismo compreso. Al suo rientro in Francia nel 1946 è costretto a subire feroci attacchi sia da parte dell’ex amico e collaboratore Tristan Tzara, che accusa i surrealisti di inefficienza rivoluzionaria, che da parte di J.P. Sartre, severamente critico verso l’atteggiamento ipocritamente borghese del gruppo. Breton tuttavia non desiste e prosegue con convinzione nella propria ricerca teorica, insensibile ai rimproveri provenienti dai diversi fronti.
Benché dunque il movimento non riesca a sopravvivere alla guerra, è innegabile che lo spirito di ribellione e di contestazione che lo contraddistingue sia capace di scuotere le menti e le coscienze e di esercitare un’influenza durevole sulla produzione artistica – sulla poesia contemporanea in modo particolare, anche su quegli autori che non si richiamano direttamente al movimento (L.P. Fargue, Max Jacob, Jean Cocteau, Pierre Reverdy, Jules Supervielle) – creando un nuovo clima letterario, un’estetica rinnovata, aliena alle limitatezze della tradizione realista e razionalista e desiderosa di riallacciare un legame profondo con l’esoterismo, l’occultismo e più in generale con la mitologia del meraviglioso e del misterioso, promuovendo diverse tecniche di esplorazione dell’Ailleurs come l’automatismo della scrittura, ma anche il sogno, la follia e il cinema, linguaggio nuovo e insolito dalle potenzialità inaudite che alcuni tra i maggiori scrittori del tempo come Blaise Cendrars e Jean Cocteau, pur essendo ai margini del surrealismo, praticheranno con esiti straordinari.
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