Intervista a Emanuela Zandonai
di Sara Meddi
Sara Meddi intervista Emanuela Zandonai – Editore di confine e di confini.
Emanuela mi accoglie una mattina di dicembre presso lo stand Zandonai alla fiera di Roma “Più libri più liberi”. Approfittiamo di un inizio di giornata tranquillo per accomodarci su due divanetti, incastrati a fatica tra libri e profumate cassette di mele del Trentino pronte ad essere regalate ai clienti, per fare due chiacchiere sulla casa editrice e sulla sua vita da editore di confine e di confini.
La prima domanda è scontata ma essenziale. Come è nata la Zandonai?
È successo così. Nel 2007 mi sono seduta intorno a un tavolo insieme ai miei collaboratori più vicini per pensare a come dar vita a una nuova casa editrice e discutere del progetto culturale ed editoriale che volevamo portare avanti. Uno dei punti di partenza era (ed è tutt’ora) la saturazione del mercato, quindi era prioritario trovare uno spazio editoriale ben definito che caratterizzasse una nuova casa editrice e che ci facesse trovare un piccolo spazio sullo scaffale di ogni libreria.
Siamo dunque partiti da una consapevolezza e da una sicurezza: identità e specificità si raggiungono a partire dal proprio territorio e dalla propria provenienza. Noi siamo del Trentino, terra di confine per antonomasia, e per questo abbiamo lavorato sul concetto di confine e sulla sua conseguenza più logica: lo sconfinamento. Lo sconfinamento può essere sia disciplinare, come una trasversalità tra narrativa e saggistica, sia territoriale. A quel punto è stato quasi inevitabile arrivare alla conclusione che tra i nostri vicini, poco conosciuti e poco pubblicati in Italia, c’erano per l’appunto i Balcani.
Noi portavamo già “in dote” un grandissimo autore, Boris Pahor, che è nato e vive a Trieste. E che cos’è Trieste se non la porta di questo mondo affascinante? Da lì abbiamo costruito il cuore del nostro catalogo, che nel frattempo ha ampliato il suo sguardo a tutta la Mitteleuropa, partendo dall’Austria e dalla Germania per proseguire verso Est.
Abbiamo trovato autori strepitosi, che trasportano nei loro libri e nella loro scrittura una serie di forti contrasti che sanno alternare momenti di grandissimo pathos a momenti di grande comicità.
Questo mi ha affascinato, ci ha affascinato e ci continua ad affascinare.
E qual è secondo te la qualità principale di questa letteratura balcanica che sfugge al lettore italiano? Quella che la differenzia dalle altre letterature europee e internazionali alle quali siamo più abituati.
Sicuramente l’intreccio con la Storia, quella con la “S” maiuscola. C’è una scarsa conoscenza dei Balcani in generale ed è qualcosa di paradossale data la nostra reciproca vicinanza. I pregiudizi e gli stereotipi nascono proprio dall’ignoranza, nel senso etimologico del termine, che ha sempre condizionato l’Italia nell’avvicinarsi ai Balcani sia dal punto di vista sociale che culturale. Pensiamo per esempio al cinema, prima di Kusturica questi erano luoghi ampiamente sconosciuti, e un discorso analogo può essere fatto per la letteratura. Noi siamo tra i primi a elaborare un preciso progetto editoriale specifico in questa direzione.
C’è un autore che è centrale nel vostro catalogo, un autore che secondo voi rappresenta la casa editrice?
Questo è un punto molto importante. Noi cerchiamo di essere una casa editrice di autori più che di singoli libri, cerchiamo sempre di fare un percorso di più titoli di un autore, perché è l’unico modo per dare continuità a un progetto e approfondire uno stile. E’ il nostro modo per legarci agli autori e poter dire: “Siamo stati i primi a scoprirli e a pubblicarli e quindi ce li teniamo stretti”.
Penso a due autori in particolare del nostro catalogo: Miljenko Jergović, che è tra i pochi già conosciuti in Italia perché già pubblicato da Quodlibet, da Scheiwiller e da Einaudi e perché ha vinto il premio Grinzane Cavour con Mama Leone. Noi l’abbiamo recuperato perchè è uno degli autori più grandi e rappresentativi della ex Jugoslavia. Nato a Sarajevo ma croato d’adozione, è in grado di raccontare con un intreccio unico di pathos e ironia la storia della sua nazione. Il suo libro più recente pubblicato da noi, Al dì di Pentecoste, è un epos che usa la struttura del noir e del giallo per raccontare tutto quello che è stata la ex Jugoslavia.
Un altro autore centrale nel catalogo della casa editrice è David Albahari. La sua scrittura rincorre il pensiero, è secca, ossessiva e veloce ma allo stesso tempo sa essere molto profonda. Finora abbiamo pubblicato tre suoi libri, quasi una trilogia: uno, Zink, è il libro per il padre, uno, L’esca, è il libro per la madre e il terzo, Ludwig, è il libro per l’amicizia.
Per i motivi di cui parlavo non è facile arrivare a questa letteratura, ma quando cominci a leggerla non ti stacchi più perché è qualcosa di nuovo, e questo è il feedback principale che ricevo dai nostri lettori.
Infatti ti volevo proprio chiedere come è stata la risposta dei lettori alla vostra casa editrice. Sappiamo quanto sia difficile mandare avanti una casa editrice ma in positivo o in negativo c’è stato qualcosa che vi ha sorpreso?
Quando siamo partiti, quasi cinque anni fa, era una scommessa. Oggi posso dire che noto, soprattutto
alle fiere e in particolar modo alla fiera di Roma, che la gente torna al nostro stand dicendo “Ah, già l’anno scorso vi abbiamo notato…” e, cosa ancora più significativa, “Adesso vi troviamo in libreria!”.
La visibilità è decisiva per un editore, perché non essere visibile equivale a non fare i libri. Anzi è peggio! Perché sai di averli fatti, sai che sono libri bellissimi e tuttavia li vedi rimanere lì, fermi!
Ora invece c’è un aumento di fan, chiamiamoli così, di lettori forti che si affezionano ai libri Zandonai. Dopodiché…e questo è un appello…diventate fan su Facebook! Perché da lì diamo un sacco di notizie sui nostri libri e avvenimenti. E questo è quello che volevo dirvi, dal cuore!
Accogliamo e diffondiamo l’appello! Un’ultima domanda. Com’è fare editoria alla periferia del mondo editoriale italiano, in Trentino?
Questa è una domanda che tanti mi fanno perché in effetti è un’anomalia. Certamente ci aiutano le tecnologie, che ci permettono di essere un po’ dovunque. Ma questo non basta, perché si sente la differenza tra Milano e Roma, le grandi capitali dell’editoria italiana. Ovviamente lì c’è più fermento, più vitalità e un’atmosfera sicuramente diversa.
Allo stesso tempo questa marginalità è una condizione che ti porta a lottare per entrare, ad essere più creativo, ad immaginare e a dar forma a uno scenario diverso. È una battaglia giornaliera per avvicinarsi a quell’orizzonte che ricerchiamo. E’ comunque necessario rimanere in contatto con gli altri editori, Milano e Roma sono sempre dei punti di riferimento. Poi tra editori ci si conosce, soprattutto tra piccoli e medi editori. E, se devo essere sincera, trovo anche una certa solidarietà.
Volevo anche chiederti se c’è un editore che hai preso come riferimento. O comunque una storia editoriale che ti ha segnata nella tua vita da editore.
Diciamo che, per l’indirizzo mitteleuropeo, Adelphi è da sempre un nostro punto di riferimento. Ovviamente non intendiamo neanche lontanamente accostarci ad Adelphi, ma rimane comunque un modello importante. Poi come esempi virtuosi abbiamo Voland, e/o e Iperborea, che hanno scoperto e diffuso una nuova letteratura in Italia.
Ultimissima domanda! Come vi rapportate con il fenomeno dell’editoria digitale?
Siamo stati tra i primi a pubblicare ebook, fondamentalmente perché credo che questo allarmismo rappresenti un falso problema. E’ successo nella musica come nel cinema, i supporti cambiamo continuamente. Tuttavia il romanticismo dell’editoria rimarrà per me legato alla carta: cambieranno le tirature, si abbasseranno di molto, ma il libro per me resterà sempre un oggetto cartaceo.
D’altra parte l’importante è che si legga. Se i ragazzi, che sono la risorsa più importante che possiamo avere, nascono già “digitalizzati” e riescono a cogliere meglio la lettura attraverso la tavoletta, ben venga! L’importante non è il supporto ma il contenuto e la sua qualità.
E il lavoro dell’editore, che non è quello dello stampatore, non cambierà, anzi potrebbe avere delle grandi prospettive. Se oggi spesso non ci possiamo permettere di stampare immagini o appendici, in un futuro prossimo sarà possibile sfruttare l’ipertestualità per fare libri sempre più ricchi, con video, link, immagini. E magari il mondo dell’editoria troverà una nuova voglia di ricrearsi.
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