Di passaggio, fra terra e memoria


Di passaggio, fra terra e memoria

 

Nel suo libro Jenny Erpenbeck affronta una serie di temi suggestivi come l'orrore dei campi di concentramento, le storie di vincitori e vinti, il rapporto con la natura e con la casa, intesa come luogo fiisco ma anche metaforico. L'intervista....

 

 

 

passaggioIl libro - Una tenuta nelle campagne del Brandeburgo viene suddivisa tra le quattro figlie di un vecchio possidente terriero. La parte più modesta, un bosco su cui sorge una piccola casa con un grande giardino e l’accesso diretto al lago, è affidata all’ultimogenita, Klara, che proprio nelle acque di quel lago decide di togliersi la vita. Tra cessioni ed espropri, l’abitazione passa di mano in mano, testimone silenziosa di violenze e passioni, urla e sospiri dei suoi inquilini, tutti inesorabilmente alla ricerca dello Heim, di un luogo in cui sentirsi “a casa”. Undici le vite, undici i destini che si danno il cambio, incastrandosi come tessere di un raffinatissimo mosaico naturale, su cui però la storia lascia le sue indelebili impronte, dalla tragedia della guerra all’orrore dei campi di concentramento, dalla sofferenza dei vinti all’arroganza dei “liberatori”. A scandire il ritmo di questo racconto fuori dal tempo – ma dal tempo profondamente segnato – è la presenza costante della dodicesima tessera, il giardiniere, l’unico a credere soltanto nella natura e nell’alternarsi delle stagioni, il solo a prendersi cura della casa, con immutata devozione, fino alla fine.

L’autrice - Jenny Erpenbeck (1967), nata a Berlino Est ed erede di una dinasta di scrittori della DDR, ha una formazione accademica musicale e teatrale. È stata allieva, tra gli altri, di Ruth Berghaus e Heiner Müller. Il suo libro d’esordio, Geschichte vom alten Kind (Racconto della bambina vecchia, 1999), ne ha rivelato il precoce e originale talento, mentre il più recente Di passaggio, tradotto in una dozzina di lingue e straordinario successo di critica e pubblico, l’ha consacrata come uno degli astri nascenti della letteratura tedesca.

 

 

In questo libro ci sono molti personaggi ma, secondo la mia opinione, la vera protagonista è la casa stessa. C’è un luogo al quale ti sei ispirata per dare vita a questo posto? Da dove nasce la casa?

Nella casa, da cui ho tratto ispirazione per quella del libro, ho trascorso da bambina tutte le mie vacanze estive e talvolta anche quelle invernali – era la casa di campagna dei miei nonni. Ho amato molto quel luogo, in fondo mi sentivo più a casa lì che non nell’edificio di recente costruzione in cui trascorrevo le mie giornate a Berlino. Dopo la caduta del Muro la vertenza giudiziaria di reintegro promossa dai precedenti proprietari si trascinò per undici anni, e in quel periodo la casa rimase vuota. Non potevamo venderla, ma non avevamo nemmeno abbastanza denaro per lavori di manutenzione a fondo perduto. Per me fu molto doloroso assistere passo dopo passo al suo declino, al totale abbandono di un luogo, sempre così pieno di vita e al quale erano legati tanti ricordi. Mi è capitato di sognarla spesso, quella casa. Scrivendone ho potuto rielaborare la perdita, per me è stato un modo di prendere congedo da quel luogo, ma nel contempo anche un’occasione per consolidare il mio legame con esso. Abbiamo perso la causa, e di qui è nato il libro.

 

Il tempo che scorre è una presenza importante nel libro, qual’ è il tuo rapporto con la storia e la memoria?

Mi interessa il legame che le storie, e quindi il tempo, hanno con i luoghi. Credo nell’identità dei luoghi, un po’ nel senso che ci suggerisce il regista cinematografico Claude Lanzmann nel suo film sulla Shoah. Indipendentemente dal fatto che qualcosa venga distrutto o meno, io credo che la sua memoria abbia una sorta di impalpabile persistenza. Quando ho cominciato a occuparmi più nel dettaglio delle vicende che sono accadute o che sarebbero potute accadere nella nostra casa di campagna, quel luogo è diventato per me un punto d’incontro, un legame fra i diversi tempi. Mentre ne scrivevo, molte cose che ormai appartenevano di fatto al passato, sono tornate a essere per me il presente.

 

La casa è un luogo attraversato da molte vite in molti tempi, dall’inizio dello scorso secolo alla seconda guerra mondiale al dopo guerra. La casa può essere uno specchio o una metafora della storia della Germania?

Interessante in quel luogo, in cui tutti coloro che lo hanno abitato cercavano in fondo soltanto l’idillio e l’isolamento dal mondo, è proprio il fatto che, essendo vicino a Berlino, è stato inevitabilmente lo scenario di tutti i passaggi storici. Nei dintorni di Berlino, tanto più in riva a un lago così grande e così bello, è più che naturale che le elite delle diverse epoche vi si siano sempre ritrovate per la villeggiatura, c’erano artisti, politici, imprenditori di successo. Con i rivolgimenti sociali cambiavano di continuo anche le elite. L’idillio e l’isolamento dal mondo erano un’illusione.

 

C’è un personaggio del libro al quale sei più legata? E se la risposta è “sì” perché?

Durante le mie ricerche ho trovato le lettere originali della bambina ebrea Doris ai suoi genitori, lettere che mi hanno scossa moltissimo. Nel mio libro la figura di Doris, benché la sua vicenda sia ambientata a Varsavia, risulta essere quella che, con lo sguardo  della bambina sempre rivolto all’indietro, ha per me il legame più profondo con il luogo in riva al lago. Andando incontro alla morte, al nulla, è la figura che si allontana più di qualsiasi altra dal mondo reale, dunque dalla realizzazione dell’utopia, ma così è anche la più vicina all’utopia in sé e per sé. Scrivendo avevo la sensazione che il suo destino, a prescindere dalla cronologia, fosse sostanzialmente la fine del libro. Non può esserci congedo più radicale. Per questo diventa parametro di tutte le altre storie. Io avrei potuto essere Doris. Solo per caso sono venuta al mondo trent’anni dopo.

 

Il giardiniere rimane sempre fedele alla casa, la cura qualunque cosa accada. Forse rappresenta l’anima stessa della casa o del bosco che la circonda. Ti sei mai sentita legata così strettamente a un luogo?

Spazzare una casa, spaccare la legna, vangare il giardino – sono gesti che hanno una loro bellezza. E che restano. Si tramandano direttamente da una persona all’altra, al di fuori della Storia con la maiuscola, e grazie a questo elemento affatto concreto - il legame con le cose che si possono toccare, come le piante e gli attrezzi - acquistano una sorta di eternità. Con il suo lavoro il giardiniere diventa il vero padrone del giardino, più di tutti i diversi padroni di cui è stato alle dipendenze. Io stessa, ogni volta che  rastrello le foglie, sono molto felice, a prescindere dal luogo dove lo faccio, di lavorare a contatto con la natura.

Qual è il tuo rapporto con la scrittura? Ci sono ritmi giornalieri che segui in modo regolare?

Nostro figlio frequenta la quarta elementare. Io quindi lavoro cinque giorni la settimana, di sabato e domenica facciamo delle gite, giochiamo oppure io mi occupo per l’appunto di rastrellare le foglie. Trovo bello che la vita e lo scrivere siano strettamente legati. Al mattino, quando nostro figlio è a scuola, mi siedo alla scrivania e smetto quando devo andarlo a prendere. Nel frattempo, se ho bisogno di una pausa per riflettere, svuoto la lavastoviglie o stendo la biancheria. Talvolta, se ho molto da fare, lavoro ancora qualche ora la sera. Ma naturalmente il mio lavoro non consiste solo nello scrivere: leggo, faccio ricerche, parlo con la gente, visito delle località che mi fa piacere aver visto di persona prima di mettermi a scrivere qualcosa al riguardo. In ogni caso cerco comunque di dedicare tutti i giorni un po’ di tempo a quello che è il mio interesse del momento.

 

Quali sono i libri che consideri più significativi nella tua formazione intellettuale?

Fin da bambina leggevo molto volentieri gli autori dell’Ottocento, amavo molto Storm, Keller, E.T.A. Hoffmann, Stifter, e più tardi Kafka, Proust, Checov, Hölderlin, e anche l’Iliade e l’Odissea. Quando ho cominciato gli studi sul teatro si sono aggiunti i drammaturghi: Büchner, Shakespeare, Kleist.

 

Che libri vorresti consigliare ai nostri lettori?

Se intende autori viventi, gli austriaci Josef Winkler e Wolf Haas.

Sara Meddi - redattore.

Sara è nata 27 anni fa vicino Roma. Con ostinata tenacia si sta laureando in Lettere classiche alla Sapienza e, sempre con ostinata tenacia, lavora da qualche anno nell'editoria romana. È caporedattrice della rivista La stanza di Virginia.

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