Artisti dimenticati: Drieu La Rochelle


rochelle

Uno scrittore francese che ha diviso molti, come fa sempre un carattere forte. La sua esistenza è stata caratterizzata da scelte radicali, e da una vita mai banale. Opera letteraria ed esistenza si rincorrono, segnando un destino irrevocabile...

 

Tentare di descrivere in breve il carattere ed il destino di Drieu è impresa difficile, sia per la straordinaria varietà dell’uomo, sia per una serie di giudizi contrastanti sullo scrittore. Pierre Drieu La Rochelle nasce a Parigi nel 1893 da genitori di origine normanna. Come Flaubert, si definisce un barbaro, un figlio del nord, rimanendo sempre molto legato alle sue origini. È figlio, forse nipote, della sconfitta di Sedan e ha alle spalle una tradizione militare più che lusinghiera: il bisnonno è stato valente guerriero prima della Rivoluzione e poi dell’Impero e a lui si deve l’aggiunta del cognome nobiliare La Rochelle. L’infanzia e l’adolescenza lo accomunano ad altri due grandi scrittori del passato, Stendhal e Baudelaire.

Lo avvicina al primo il fragile equilibrio familiare turbato da scenate di gelosia e continui litigi tra i genitori; verso il secondo lo spinge una forte vocazione alla ribellione e alla solitudine, oltre che un intenso sentimento carnale nei confronti della madre. La nascita nel 1903 del fratello Jean costituisce per Drieu uno dei punti fermi della sua vita. Nel 1907 la sua maturazione fa un passo decisivo: visita per la prima volta l’Inghilterra, che eleggerà più tardi come patria d’adozione, e ha il primo incontro con il Nietzsche di Così parlò Zarathustra. Il filosofo tedesco, insieme a Barrès, influenza profondamente la vita e la poetica di DLR. La lettura di Schopenhauer alimenta le sue inclinazioni, perseguite con costanza, verso la filosofia orientale. Si iscrive, nel 1910, dopo un ciclo di studi contraddistinti da una scarsa attitudine alla disciplina didattica ma anche da un forte ascendente caratteriale, all’Ecole des Sciences Politiques della Sorbona. Vuole percorrere le orme di altri scrittori che hanno intrapreso una luminosa carriera politica, come Chateaubriand e Claudel. Le sue ambizioni vengono però frustrate all’esame di stato finale, il cui verdetto è negativo. Spiegherà più tardi nel Récit secret di essere stato bocciato per il disordine pericoloso del suo spirito. Comincia a scrivere in questo periodo dei sonetti estetizzanti che denunciano un certo gusto dannunziano per il preziosismo, la sensualità e la morbidezza dei toni. La produzione poetica, del tutto tralasciata in campo accademico e critico, non lascerà segni profondi, anche se più volte Drieu ribadirà la sua predilezione per il verso: uno scrittore che scrive in prosa sognando la poesia, alla quale non verrà però mai ammesso. Il 1913 registra il suo primo tentativo di suicidio, confermando in maniera profetica la sua vocazione all’autoeliminazione. Nel frattempo, presentendo le sirene della guerra imminente, si arruola nell’armata francese sperando inutilmente di ottenere un posto nella cavalleria (L’homme à cheval è una delle sue opere più celebri).

Al principio della guerra La Rochelle viene mandato al fronte: l’esperienza bellica lo segna profondamente e gli fornisce materiali e sensazioni che verranno trasfusi nei libri successivi, quando scopre nelle trincee una imprevista attitudine al comando, una forte spinta virile al cameratismo, oltre che un coraggio di fronte alla morte di cui darà prova più volte. La partecipazione al conflitto, vissuta con un misto di attrazione e repulsione, sarà considerata in maniera ambivalente, a volte vagheggiata quasi miticamente e rimpianta, altre volte condannata aspramente perché sintomo di una società malata e dominata da una perversa tecnologia. Tale ambiguità è al centro di un’opera considerata tra le più riuscite, La comédie de Charleroi (1933), composta da quattro racconti che narrano retrospettivamente alcune vicende belliche svoltesi appunto a Charleroi, luogo in cui l’artista venne più volte ferito. Anche se il narratore è un ex-combattente ora nelle vesti di segretario, è facile leggere l’opera in chiave autobiografica, soprattutto poiché le tematiche che emergono, tra cui la necessità del comando, l’identificazione in un capo carismatico che sembra addomesticare la morte, saranno quelle che orienteranno magneticamente parte della sua poetica. Finita la guerra Drieu si rituffa con vitalità nel tessuto sociale parigino, sfruttando il fascino che esercita nei confronti della donna. Si fa largo nei circoli cittadini esibendo atteggiamenti da dandy, vivendo effimere relazioni amorose e bruciando soldi ed amicizie.

Emerge in modo prepotente la centralità della donna nella vita e nell’opera dello scrittore. Forse anche per via di una omosessualità repressa, essa è vista in maniera contrastante, sicuramente mai pacifica. L’homme couvert des femmes, Gilles, Le feu follet, ci consegnano un’immagine della donna che oscilla tra bellezza celestiale e profonda carica erotica, tra esigenza di un amore sincero e una egoistica volontà vampiresca di annientare l’altro. Alla base di tutto risiede, comunque, una vena profondamente misogina e insieme un’inquietudine esistenziale che sembra possa essere risolta con la vicinanza di più donne, cambiate, lasciate e riprese come fossero giri di altalena. Gli anni del dopoguerra sono ricchi di stimoli culturali. E’ la stagione delle avanguardie, del dadaismo e del surrealismo, a cui La Rochelle si avvicina incuriosito dalla forte volontà di rottura con la tradizione, ma che non assimilerà mai nella forma: lo stile, infatti, rimarrà sempre nitido, luminoso, impeccabile, quasi neoclassico. Stringe un’amicizia fraterna con uno degli alfieri del surrealismo, Aragon, dal quale si separerà bruscamente anni più tardi per incompatibilità irrisolvibili, non solo dal punto di vista politico. Alimenta e mantiene sempre vivo invece il legame con Malraux, amico sincero e leale avversario politico. Una fotografia del tempo lo immortala emblematicamente solo, appoggiato ad un muretto di staccionata, vestito elegantemente: è di bell’aspetto, sebbene la calvizie cominci irrimediabilmente a manifestarsi, gli occhi socchiusi mentre fuma, non troppo convinto, una sigaretta; ha l’aria di un uomo solitario e allo stesso tempo tranquillo, capace di gestire un destino infausto con un abile aplomb da camuffatore. Comincia a interessarsi di politica, accordando i suoi favori prima ad una forma di socialismo di destra e poi a Doriot , considerandolo l’uomo giusto per la Francia. Appoggia le nuove forme di dittatura, per ragioni che verranno esplorate in un altro capitolo di questa trattazione, quello dedicato al Drieu intellettuale. Nel 1930, sulla scia della commozione seguita al suicidio dell’amico Jacques Rigaut, scrive la sua opera più importante, Le feu follet, seguito da uno straziante epitaffio, Adieu à Gonzague, documento scottante nel quale vengono ancor più difesi i motivi che conducono al suicidio.

Il decennio che va dal 1930 al 1940 è caratterizzato, oltre che da una nebulosa militanza politica, da una vita sentimentale piuttosto attiva. Incontra Victoria Ocampo che paragonerà più tardi a Madame de Stäel e al suo rapporto con Benjamin Constant. Nel 1935 conosce invece quella che DLR identificherà con la donna della sua vita, Christiane Renault, altrimenti detta Beloukia: il carteggio esistente tra i due testimonia un amore intenso ma anche sofferto, destinato a durare fino al 1945, anno della morte dello scrittore. Tenta più volte, senza successo, di togliersi la vita. Nel 1940, un anno dopo lo scoppio della guerra, da lui accolta con un iniziale entusiasmo che andrà sempre più diminuendo nel corso degli anni, allo scrittore viene affidata la direzione della rivista letteraria più prestigiosa di Francia: la Nouvelle Revue Française. Sarà a capo della rivista fino alla primavera del ’43, un periodo durante il quale il lavoro redazionale e di raccolta delle informazioni lo annoia non poco. Preferisce intraprendere viaggi in Europa e ritagliarsi periodi temporali più o meno numerosi per coltivare la propria natura solitaria. Grazie a doti profetiche di cui non è mai stato sprovvisto e ad una lucidità mai minacciata dalle passioni, Drieu si rende conto di aver sposato la causa di coloro che saliranno sul patibolo, sconfitti. Coerente fino in fondo, decide di non rinnegare la sua scelta, portandola anzi fino alle estreme conseguenze, cambiando più volte domicilio, accompagnato sempre dalle tante donne della sua vita, e sembra sganciarsi in maniera più netta dalla politica, privilegiando il suo lato più intimista. Si immerge con interesse nella filosofia orientale, elaborando un inconsueto quanto originale sincretismo religioso tra il misticismo indiano e il fiore della tradizione filosofica occidentale: in sintesi, egli sembra affascinato da tutto ciò che segna o dovrebbe portare ad un violento distacco dall’umano, in un percorso formativo che avrebbe come compimento la percezione di un “io” sganciato dalla propria individualità, in accordo con la multiforme e varia esistenza naturale.

Nel 1944, alla vigilia della sua morte, redige il Récit secret, sorta di testamento spirituale nel quale egli rivisita la sua esistenza dall’ottica della morte volontaria e dell’accettazione stoica della solitudine. Nel 1945, sapendosi braccato dagli alleati che hanno emanato un mandato di cattura contro di lui, decide di togliersi la vita, stavolta riuscendovi, pur di evitare un penoso processo. Viene sepolto, dopo una frugale cerimonia commemorativa alla presenza di pochissime persone, nel cimitero di Neuilly.

La parabola esistenziale di Drieu La Rochelle dura cinquantadue anni, un arco di tempo durante il quale lo scrittore ha “bruciato dietro di sé quasi tutte le delicate navi d’arte, d’amore e d’amicizia che si era costruito per sopravvivere”. Per una sorta di masochismo indefesso, o forse a causa di una perfezione alla quale voleva avvicinarsi sempre di più, amava soffermarsi su quanto di negativo abitava in lui, criticava impietosamente i suoi libri, in un processo di automiglioramento che però era sempre destinato a naufragare. Viveva per sottrazione, coltivando una severa disciplina interiore che potesse infine farlo ammettere in una società che però non aveva più le premesse ed i contorni giusti: per questo scelse di percorrere la via del dandismo, per distinguersi dalla massa esasperante che ribolliva di odio e sudore.

Il suo volersi distinguere (e anche estinguere) si palesava però in maniera del tutto educata, quasi affettata. Tutti ricordano di lui la timidezza fiera, la cortesia d’altri tempi, l’educazione non d’apparenza. Il suo destino si sviluppa su due piani: il primo è quello che riguarda l’esistenza pura, la vita vissuta, dove l’avventura della guerra e dell’amore sono state determinanti per la maturazione dell’uomo e dello scrittore. Gli anni del primo dopoguerra, i famosi “Roaring Twenties”, quelli che hanno visto nascere e imporsi nel firmamento letterario angeli tristi, come Fitzgerald, Hemingway, hanno offerto a La Rochelle su un piatto d’argento amicizie, donne, soldi che egli ha regolarmente dileggiato quasi attuando su se stesso una sorta di crudeltà di ritorno. Quanto più Drieu amava e si avvicinava agli altri, tanto più denunciava inversamente le proprie debolezze, come se lo spostamento d’attenzione e d’affetto verso gli altri scoprisse pericolose falle nella sensibilità dello scrittore. Divorando avidamente tutto ciò che gli concedeva la Parigi degli anni Venti, egli assecondava il suo tentativo di completamento interiore agganciandosi al mondo esterno, ma nello stesso tempo sentiva profonda la necessità di una purezza altrove: sta proprio in questa contraddizione di fondo parte della inquietudine esistenziale dello scrittore, nella coesistenza in lui di un lato solare, epicureo, aperto alla vita e alle sue possibilità, e di un altro invece notturno, che ne metteva a nudo tutte le debolezze e gli errori. Ciò forse aiuta a spiegare quello che è il secondo piano su cui va valutata l’esistenza dello scrittore: l’attività politica, il cui scopo era quello, illusorio, di riuscire a dominare gli uomini e le passioni del suo tempo, assieme al tentativo di porre un freno a quella decadenza ch’egli avvertiva in Europa. Il carattere profondamente fragile, altalenante e malinconico di Drieu, sia nel campo ideologico che in quello della vita di tutti i giorni e dei rapporti con gli altri, lo spingeva a cercare una sponda che tenesse, che non si sgretolasse di fronte ai colpi d’ariete del destino. Per una deformazione caratteriale, però, per un vizio di forma, l’argine cui aggrapparsi si negava paradossalmente quando sembrava più vicino: per questo, mai nella sua esistenza, Drieu ebbe netta la sensazione di aver raggiunto finalmente un traguardo, il quale anzi slittava inesorabilmente promettendosi dietro mille nuovi slanci, punti di partenza, inizi. Carlo Bo parla, a proposito dello scrittore, di una coscienza negativa: “Sapeva esattamente tutto quello che non aveva. Proprio su questo non va giudicato come uomo e interpretato come scrittore”.

Drieu cercava l’amore, ma il suo cercare si arenava sulle moltiplicazioni del piacere che la vita gli offriva; Drieu cercava un’amicizia pura, ma il richiamo del solitario gli ruggiva inesorabilmente in petto un attimo prima che egli si compromettesse con l’alterità. Così il rimpianto di una felicità passata aveva la meglio sulla prospettiva di una felicità futura, il tempo del sogno disilluso si schiudeva ancor prima che il sogno si esaurisse, il bilancio di fallimenti prevaleva sempre sul bottino pieno, il silenzio gli bloccava l’urlo liberatore ancor prima che questo si potesse far strada verso l’esterno. Il gusto della cenere, della sconfitta, reale o immaginaria o cercata forzando anche la verità, lo serrava sempre alla gola. Si capisce allora il motivo per il quale Drieu, che aveva “fallito” la sua vita, non avrebbe dovuto fallire con la morte, l’unico sbocco naturale che ai suoi occhi avrebbe potuto far ricombaciare tutto, come un deus ex machina avrebbe potuto investire finalmente di una luce compiuta quanto vi era di oscuro nel passato di Drieu.

Proprio come Cesare Pavese, Ernest Hemingway, Henry de Montherlant, ha preferito alle lusinghe della vita quelle della morte, pagando però un pegno forse inesorabile: l’aver trasferito la propria scia sulla pagina scritta. La sua letteratura, ad eccezione di quella politica, è fatta di vita vera. Forse è questa la cifra peculiare della poetica dello scrittore in questione: l’aver interrogato in ogni suo libro i diversi aspetti della propria personalità, cercando di sondarne gli umori più nascosti. D’altra parte, in un’opera giovanile, L’état civil, lo scrittore si chiedeva se sarebbe mai stato in grado un giorno di mettere per iscritto qualcosa che non gli fosse passato prima per le vene. Lo stesso Le feu Follet, tracciando gli ultimi istanti di vita dell’amico suicida Rigaut, racconta anche in maniera nitida gran parte delle angosce di Drieu: il sangue come vita e l’inchiostro come unico punto di contatto tra vita e letteratura, ma anche sangue che vorrebbe diventare vero strumento di scrittura per sancire, una volta di più, la sua compromissione.

Per dirla con Pirandello “o si vive o si scrive”, poiché l’atto della creazione svolge un ruolo compensatore laddove la vita stenta a decollare. Drieu se ne accorge ben presto e constata che per scrivere su se stessi bisogna smettere di vivere, e che per scrivere sugli altri bisogna immobilizzarli come in una fotografia. L’incontro, fortemente caldeggiato e atteso come una sorta di catarsi o epifania tra sangue e inchiostro, è destinato a non risolversi felicemente e ad orientarlo ancor di più verso l’eliminazione di se stesso. Suonano così, lapidarie e straordinariamente sincere, le parole che sgorgano dalla penna dello scrittore: “Per scrivere non ho vissuto, non ho vissuto che per scrivere, e oggi posso scrivere soltanto che non ho vissuto”.

Lorenzo Giacinto -

Romano, ma con spiccata propensione al cosmopolitismo. Laterale, eversivo, surrealista, ironico ed autoironico. Amante dei fuochi fatui e, come Lamartine e Loti, smodatamente attratto dall'Oriente. Gli piacciono tanto i dipinti di Modigliani, i film della Nouvelle Vague, i tramonti di Istanbul.

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