Cristiana, mon amour
di Marina Bisogno
Cristiana, mon amour
La notte era molto tranquilla, e in quelle notti, quando il traffico si va diradando, il passante si accorge che sopra la strada c’è la luna, neanche fossero state tirate le tende del cielo così da mettere allo scoperto il firmamento, come in campagna (V. Woolf, Notte e giorno).
Già da qualche sera le luci del lido “Sirena” avevano ripreso ad illuminare la spiaggia. L’estate stava per esplodere di nuovo, e presto i vacanzieri sarebbero tornati ad affollare il litorale.
Erano anni che Cristiana lavorava al lido come barista. Puntuale, a maggio, Salvo, il padrone, le telefonava per proporle il solito contratto stagionale, e lei che aveva bisogno di soldi, accettava volentieri. Per tre mesi se ne stava dietro al bancone a spillare birra o a servire cocktail “Sempre meglio che lucidare i gabinetti” diceva. Le piaceva pescare tra le bottiglie affastellate sullo scaffale, scegliere il bicchiere e shakerare, shakerare forte per accontentare i clienti. Da là dietro aveva elaborato una visione tutta personale del mondo, della gente. Sul fondo dei boccali da lucidare, a fine serata, restavano barlumi di vita appena trascorsi, malinconie amiche, amori lontani da dimenticare a tutti i costi. Lei li poteva sentire, li poteva toccare, quasi restassero impigliati nello straccio, mentre le vacanze passavano in un lampo, come una scia di luce fugace, destinata a dissolversi ancor prima di riuscire a scorgerla.
Di mattina, il bagnino aveva preso a rastrellare la sabbia, tracciando le file per sistemare gli ombrelloni. Lei era al Sirena da tre giorni, e da tre giorni non aveva fatto altro che trascinare pacchi, scaricare bottiglie di ogni specie e aggiornare la lista dei fornitori. Le dispense erano praticamente vuote da un anno e doveva rimediare. Il lavoro non era ancora intenso, e di sera poteva ancora godersi l’illusione della tranquillità. Nel bar c’era un vecchio juke box che Salvo aveva trovato in qualche fiera dell’usato. Introdusse un euro e scelse “Because the night” di Patty Smith. C’era solo la voce possente della cantautrice a farle compagnia. Fumava appoggiata alla ringhiera della terrazza sulla spiaggia. Ad ogni boccata allungava bene le labbra, quasi stesse per pronunciare una parola. Ma stava zitta. Aveva la sensazione di vagare in uno spazio nero e assoluto, dove si concentravano ridde di pensieri impazziti. Un’accozzaglia che in genere le procurava un gran mal di testa, inutile, perché vi soccombeva inerte. Anche in quel momento era come assente. Sentiva solo l’odore di mare, che per lei era anche quello della libertà. La libertà di poter scegliere, di poter essere se stessa e crescere. Notò che sulla battigia era ammarrato un pedalò, mentre il mare si stagliava immenso verso l’orizzonte, sotto un tetto di stelle. Le sembrava la metafora perfetta di quei giorni prima del caos, la sintesi di uno stato emozionale intimo e impenetrabile. Tutto quello che durante l’anno appena trascorso l’aveva condotta al Sirena acquistava di colpo un valore nuovo, quasi sconosciuto. Il viso, le mani, gli occhi tremanti di Fabio quando si erano detti addio sotto il portone in una sera tiepida di fine marzo scomparivano col ghiaccio nel bicchiere di gin. I pianti, i bocconi amari, le promesse infrante erano passi per un cammino di rinascita, che toccava necessariamente l’estate. Le notti che avrebbe passato a sgobbare, il fragore notturno delle onde, il silenzio del primo pomeriggio nelle strade del villaggio le avrebbero suggerito le risposte e risvegliato nuovi interrogativi. Lo sapeva e aveva solo voglia di vivere.
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