Una donna val bene una rosa


“Vogliamo anche le rose" è un film documentario sulla condizione femminile nei mutamenti sociali fra gli anni '60 e '70. Ne abbiamo parlato con la regista Alina Marazzi, che ci racconta storie molto interessanti su quello che la De Beauvoir chiamava, con ironia ma anche malinconia, il "secondo sesso". Che, di fatto, non è secondo a nessuno. Anzi...

vogliamo anche le rose

“Vogliamo anche le rose” è un film sui cambiamenti sociali che interessarono innanzitutto le donne tra gli anni ’60 e ’70. Il film unisce, mescola e dà nuova forma a film, fotografie, fotoromanzi, show televisivi, riprese dei militanti e private, musiche d’epoca e stralci di diari. “Vogliamo anche le rose” non è tuttavia un documentario in senso stretto ma piuttosto una finestra su quella che era la vita solo quarant’anni fa, su quella che sarebbe potuta essere la nostra vita se non ci fosse stato quel grande movimento di presa di coscienza della dignità di genere che è riduttivo etichettare come “femminismo”.

Alina Marazzi, come aveva già dimostrato nel suo (sempre bellissimo) film “Un’ora sola ti vorrei”, è una regista di rara bravura nel ridare vita alle voci dell’epoca, nel dare forma e ritmo al materiale più disparato, e il risultato infatti è ben diverso da quello di un film che concede agli attori il ruolo di protagonisti, qui tutti noi siamo i protagonisti. Quanto è rimasto di quella rivoluzione e quanto ancora rimane da fare è la domanda che è impossibile non porsi alla fine del film. Dice Alina Marazzi: “Di quanto esigeva il celebre slogan ‘Vogliamo il pane, ma anche le rose’, con cui nel 1912 le operaie tessili marcarono con originalità la loro partecipazione a uno sciopero di settimane nel Massachusetts, forse il necessario, il pane, è oggi dato per acquisito. Ma le donne si sono battute per un mondo che desse spazio anche alla poesia delle rose. Ed è una battaglia più che mai attuale”.

 

 

 

Questa intervista è stata realizzata a febbraio, l'autrice si scusa con Alina Marazzi per il ritardo nella pubblicazione.

 

Ho visto qualche anno fa il tuo film “Un’ora sola ti vorrei” e poi ho visto anche “Vogliamo anche le rose”, che sono due film incentrati sull’essere donna, prima al singolare e poi in senso collettivo. Allora mi interessava capire qual è la tua opinione sul tema del femminismo e come sono nati questi progetti. Forse possiamo iniziare da questo?

“Vogliamo anche le rose” nasce da una mia volontà di riconnettermi con quegli anni, perché negli anni ’70 io ero una bambina, vivevo a Milano e ho dei ricordi di certe atmosfere, di certi ambienti però appunto essendo una bambina non gli ho davvero vissuti, eppure ne sono figlia. Nel senso che quello che sono come persona e come donna, il modo in cui vivo, le cose che faccio, il modo in cui penso mi viene anche da lì. E mi è venuta voglia, come dire, di tornare a riflettere su quegli anni dato che secondo me c’è stata un’interruzione, un non-passaggio del testimone, tra le donne della generazione prima della mia, che quindi sono state in prima linea, e le donne della mia età. Io sono nata nel ’64, quindi non sono esattamente figlia di quelle donne ma più una figlia minore, e quindi ho sentito questa mancanza di radicamento perché credo che oggi vengano dati per scontati certi valori e certi principi, che magari non vengono neanche messi in atto, e che non ci si interroghi più su da dove ci sono arrivati certi modi di pensare e anche certi diritti. E quindi il desiderio di fare questo film è nato da una riflessione personale, condivisa con donne della mia età. Tra l’altro  in quel periodo ho avuto dei figli e quindi mi sono confrontata con la dimensione della famiglia, della coppia con figli, e quindi con una situazione dove riemergono le differenze di genere. Mi sono chiesta: “Be’, ma questi comportamenti, questi stereotipi, legati alla concezione di maschile e di femminile, perché sono così radicati in noi che appena ci si ritrova in una situazione che richiede una gestione domestica vengono fuori queste dinamiche che ci riportano a dei modelli del passato? Perché se a livello razionale abbiamo tutta una serie di comportamenti da adottare col partener quando ci ritrova con una famigli si ritorna a un modello nel quale non ci riconosciamo?”. Non considero “Vogliamo anche le rose” un film sul femminismo, lo considero un viaggio attraverso quegli anni. E a me interessava, anche per quello che è il mio gusto e il mio stile, partire dai documenti.

 

Infatti quello che mi ha molto colpito del film è questa forma, che non è neanche quella del documentario nel senso classico del termine, perché questo non è certo un documentario alla History Channel”, che però ti permette di entrare davvero molto dentro le atmosfere di quel periodo. Quindi ti volevo chiedere come sei entrata in contatto con questo materiale e come hai fatto a decidere cosa volevi e cosa non volevi nel film.

A me interessava incontrare le testimonianze e i documenti perché è qualcosa che ho fatto anche con i miei lavori precedenti. Più che andare a incontrare le protagoniste di quel tempo, e quindi di fare delle interviste, mi interessava proprio far parlare i documenti di allora e quindi come prima cosa mi sono messa a fare delle ricerche negli archivi. Ho fatto ricerche audiovisive negli archivi Rai, alla Cineteca Italiana, negli archivi più informali dei filmati di famiglia e poi soprattutto nell’Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano, che è appunto l’archivio che conserva i diari delle persone comuni. Perché mi interessava entrare in contatto con storie di persone comuni, normali e capire che impatto avessero avuto gli avvenimenti di quegli anni. A Pieve ho trovato questi tre diari che coprono un arco di tempo che va dalla fine degli anni ’60 alla fine degli anni ’70. Sono i diari di tre donne di provenienze geografiche diverse che raccontavano come queste rivoluzioni avessero cambiato le loro vite: al ’68 risale il diario di Anita, una ragazza borghese che cresce a Milano in una famiglia cattolica e conservatrice; poi c’è il diario di Teresa, una ragazza di Bari, racconta l’esperienza di un aborto e infine c’è il diario di Valentina che è il diario di una donna romana impegnata politicamente e che si fa mille domande sul suo essere impegnata politicamente e sul rapporto con le compagne. Il fatto di aver fatto parlare nel film queste persone in prima persone è anche una scelta perché visto che in quegli anni si è dato per la prima volta importanza al racconto soggettivo mi sembrava coerente far parlare quelle donne in prima persona. In quel periodo per la prima volta le donne si sono trovate a parlare di se stesse e a condividere la propria soggettività con le altre e così hanno scoperto che i loro problemi non erano solo i loro, che erano condivisi, e così c’è stato anche un passaggio al sociale.

 

Guardando il film si ha l’impressione che gli uomini subiscano questo processo, che non ci sia un adeguamento che vada al di là delle conquiste legali. Cosa ne pensi di questo?

Be’, l’emancipazione femminile è un processo di rottura che coinvolge anche del ruolo maschile, anche tutto il discorso sull’omosessualità è nato in quegli anni. Evidentemente anche per gli uomini c’era la necessità di non doversi riconoscere per forza in un ruolo, che era quello del padre di famiglia. Quindi le donne hanno messo in moto e accelerato un processo che ha liberato anche qui uomini e, come sempre nei processi storici, c’è un momento di accelerazione e poi un momento di reflusso. Quello che è stato ottenuto a livello legislativo è stato una cosa ma nella quotidianità delle persone non basta che una legge sia cambiata per far sì che tutti si adeguino, tutt’ora viviamo in un mondo molto iniquo. Forse quello che a livello legislativo è accaduto in dieci anni ha bisogno di 50 o 100 anni per realizzarsi completamente. Sembrerebbe che oggi si sia tornati un po’ indietro, che si sia tornati a modelli di comportamento di genere più tradizionali rispetto a quegli anni che erano di rottura, ma questo succede in tutte le rivoluzioni. Quello di cui forse ci si dimentica è che noi siamo figli di quel momento e che non tantissimo tempo fa, solo quarant’anni fa, l’Italia era un paese molto diverso e le persone erano molto molto meno libere, le donne soprattutto ma anche gli uomini. Ascoltando le parole di quelle persone, attraverso i diari e i filmati, si ha la sensazione che quelle persone avessero una grande consapevolezza di chi fossero come individui e come soggetti sociali, si avevano dei ruoli sociali bene definiti ma si aveva anche un’urgenza molto forte di cambiare le cose che era condivisa da tutti. Oggi forse si un po’ più isolati e persi nelle nostre monadi, ci sono forse anche altri problemi e altre priorità che riguardano il lavoro e il futuro ma penso che ce le avessero anche allora queste priorità.

 

Infatti penso che la mia generazione abbia molto bisogno di riallacciarsi ai processi che ci hanno permesso di essere quello che siamo, e mi infatti chiedevo che impressione hai avuto riguardo l’accoglienza che il film ha avuto presso il pubblico soprattutto della mia età.

Il film è uscito anche in sala, non ha fatto solo il giro dei festival, e quindi per fortuna ha incontrato un pubblico abbastanza ampio, è uscito nel 2007 in un momento in cui c’era un’attenzione verso quelli che erano le battaglie affrontate negli anni ’70 perché in primavera c’era la campagna elettorale e si era tornati a parlare, anche in tv nel programma condotto da Ferrara, di legge 194, di aborto e di tutte queste tematiche. Quello che io ho visto, andando a presentare il film in diverse città e in diverse situazioni, nei cinema ma anche nei licei, è che c’è stata moltissima curiosità da parte dei giovanissimi di capire com’era l’Italia dei loro genitori e di cosa di parlava veramente in quegli anni. L’episodio dell’aborto per esempio non è legato solo a quel periodo, ma è qualcosa che riguarda anche noi oggi, e quindi è interessante interrogarsi sulla libertà di poter o meno fare questo tipo di scelta. Anche il linguaggio che il film ha utilizzato, che è quello di far parlare le persone, ho sentito che era molto comprensibile soprattutto per i giovani. C’è stata una fetta di pubblico più adulto, di persone che avevano vissuto quegli anni e che quindi si sono riviste, che hanno apprezzato il film in maniera nostalgica. Poi c’è stata la parte di pubblico costituita dalle donne più legate al femminismo storico che invece avrebbero voluto il femminismo al centro di tutto il film, e invece questo è un film che parla di tutte le donne e non solo di quelle impegnate politicamente, infatti solo uno dei tre diari è il diario di una donna attiva nel femminismo. Quindi il film è stato criticato da quelle femministe che vedono nel femminismo come il motore di questo processo, io invece non penso che questo processo di trasformazione e di liberazione fosse già in atto, che ha interessato tutta l’Europa e gli Stati Uniti e che in qualche modo deriva da tutte le battaglie per i diritti civili.

 

Ho visto anche il tuo film “Un’ora sola ti vorrei” che è un film bellissimo, insolito e secondo me molto difficile perché è un film su tua madre. Mi chiedevo se questi film si parlassero tra di loro, se l’indagine su questa figura femminile così importante, che è quella di tua madre, ti abbia spinto a interrogarti sulla femminilità in un contesto più ampio.

Sicuramente, sicuramente. Non dico che sono uno il proseguimento dell’altro ma i film sono sicuramente molto legati. “Un’ora sola ti vorrei” è un film che chiaramente nasce da delle urgenze e molto personali che sono quelle della restituzione della propria storia ma che ha comunque a che fare con un periodo storico e racconta la storia di una donna che rimane sola proprio nel momento in cui invece le donne hanno iniziato a rompere quest’isolamento, a parlarsi e a capire che il malessere che derivava dal sentirsi incomprese e inadeguate era un malessere di tutte. Quindi “Vogliamo anche le rose” prende il testimone da “Un’ora sola ti vorrei”. “Un’ora sola ti vorrei” racconta di una donna rimasta vittima di quest’isolamento e vittima poi di una malattia, mentre le donne di “Vogliamo anche le rose” hanno portato avanti questa cosa, hanno rotto questo isolamento e si sono parlate.

 

Da quello che so stai finendo un film sulla maternità…

Quindi siamo sempre lì…

 

Sì, siamo sempre lì. Non so se si può sapere qualcosa visto che il film non è ancora uscito…

Sì, il film è un film che è diverso dagli altri, non è un film di montaggio, non è un documentario ma è un film che parte da una sceneggiatura, ci ovviamente degli attori, ed è in part fiction e in parte accoglie altri materiali quindi ha sempre una forma ibrida. Il tema è quello della maternità e vuole un po’ mettere luce sulle zone d’ombra della maternità. E quindi vuole parlare di maternità in termini non così sereni e lineari ma parlare degli aspetti più conflittuali che riguardano il vissuto del materno, il rapporto con il bambino, il senso di inadeguatezza e di quanto il confronto con un’immagine, che poi è l’immagine appunto della madre che per quanto noi abbiamo messo in discussione ci portiamo sempre dietro in maniera… così… incombente. E appunto nel momento abbiamo un figlio ci si rende conto di quanto abbiamo comunque interiorizzato tutta una serie di immagini e di modalità di cui è difficile liberarsi.

 

 

Qui il link al trailer del bellissimo film di Alina Marazzi “Vogliamo anche le rose”:

http://www.youtube.com/watch?v=BykxkrmLuws

 

E qui il link al trailer di “Un’ora sola ti vorrei”:

http://www.youtube.com/watch?v=md6Wb1JXZvE

Sara Meddi - redattore.

Sara è nata 27 anni fa vicino Roma. Con ostinata tenacia si sta laureando in Lettere classiche alla Sapienza e, sempre con ostinata tenacia, lavora da qualche anno nell'editoria romana. È caporedattrice della rivista La stanza di Virginia.

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