Una frana di nome Italia
di Silvia Gaviglio
Ogni volta vittime e danni. Ma l’Italia è così. Pare obbligatorio dover accettare l’idea. In fondo non si possono spostare milioni d’individui stipati nelle zone più vulnerabili del nostro territorio. In fondo è noto che i cambiamenti climatici possono aver peggiorato eventi già presenti nel nostro ambiente, ma le alluvioni non sono certamente nate ieri. Ed è l’acqua la responsabile, che s’insinua perfida a trascinare a valle pendii ormai gonfi e instabili. Ma chi ha costruito là sopra una casa? E chi ha deciso che là sotto dovesse passare una ferrovia? E chi si dovrebbe occupare della manutenzione? Nessuno. Nessun responsabile per le conseguenze. Come non togliersi dalla mente le immagini di quel treno inclinato sulla linea Milano-Ventimiglia? E come non porsi tante domande? E’ evidente che fatti eccezionali possano sussistere con conseguenti gravi danni ma è possibile che questi ultimi siano tutti imputabili a fattori esterni e mai ad errori, come dire, umani?
Suonano pertanto squillanti e miracolose le parole di Gabrielli che spera di poter inserire a partire dal 2014 un corso di protezione civile tra le materie scolastiche. Le sue parole:“La regola più importante è quella dell’auto-protezione. Le comunità consapevoli? Diventano esigenti. Sia nei comportamenti individuali sia nella collettività”. Ed è evidente che la scuola è la vera base solida per costruire, menti e sostegni.
E’ disarmante pensare che la gente muore perché non è informata, perché i Comuni non hanno piani di emergenza. Importanti sono quindi le parole di Gabrielli, non solo perché la scuola prepara i potenziali costruttori, sismologi, ingegneri e amministratori di domani ma anche perché tutti i cittadini devono avere più consapevolezza del territorio che li circonda, curandolo, denunciando ciò che non funziona e non limitandosi alle polemiche inutili. I cittadini più preparati e consapevoli devono dialogare con le proprie amministrazioni, stimolarle eventualmente. Chi sa di più può davvero fare la differenza. La difesa del suolo esige la collaborazione di tutti perché il luogo dove abitiamo, dove lavoriamo non è di altri ma è affar nostro.
Essere consapevoli fa diventare esigenti, queste sono le parole del capo della Protezione Civile e non ci si può trovare che in assonanza con un’affermazione simile. Una inconsapevolezza che racchiude tutti i problemi di un paese che si sta lasciando andare e che si abitua giorno dopo giorno ad assuefarsi alle stesse notizie. Ed è un grande pericolo quello di accettare passivamente lo stato di cose. Di vedere e non parlare. I tamponi alle emergenze sono evidenti ma il vero investimento è, come sempre, la formazione e il continuo scambio di opinioni.
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