Conversando di letteratura allʼUniversità della Terza Età
di Raffaelina Di Palma
Il corso di “Conversazioni letterarie” dellʼUniversità della Terza Età dellʼanno accademico 2007/2008, era particolarmente interessante.
Il programma verteva sulla poetica dellʼermetismo e la letteratura tra le due Guerre e comprende tre tra i poeti più noti della nostra poesia contemporanea: Quasimodo, Ungaretti e Montale.
A chi come me ha la passione per la lingua italiana e per la poesia, queste lezioni danno uno stimolo emozionale intenso e un valore intellettuale di alto livello; sono lezioni interessantissime, attraverso le quali riesco a relazionare lo spazio tra sentimento e realtà: segmenti che uniscono molto bene passato e presente.
Mi hanno suscitato un profondo interesse, in modo particolare, le poesie e gli scritti di Giuseppe Ungaretti, il quale in uno di questi, datato 1963, così scrisse: “La mia poesia è nata in realtà in trincea. La guerra improvvisamente mi rivela il linguaggio. Cioè io dovevo dire in fretta perché il tempo poteva mancare e nel modo più tragico...[…]
In fretta dire quello che sentivo e quindi, se dovevo dirlo in fretta, lo dovevo dire con poche parole e se lo dovevo dire con poche parole lo dovevo dire con parole che avessero avuto unʼintensità straordinaria di significato”.
In quel contesto, così tragico, della Prima Guerra Mondiale, il poeta fa acquisire alla parola un profondo significato e dà un senso quasi sacro, da cui attinge la forza per superare la brutalità di quei terribili momenti vissuti in trincea.
Anche dopo la fine della guerra, in ogni suo verso è sempre nella parola che sente la necessità e il desiderio di far nascere e di rinnovare ogni volta quellʼignoto, magico strumento che porta lʼindividuo a chiedersi perché, se il mistero torna a galla dalla coscienza, è in grado di illuminare il mondo?
Sempre la parola, ha il potere di riassumere la magia, lʼattesa, la rivelazione, la fatica del vivere quotidiano, liberandola dalla retorica; remota, nuda come filigrana dalla quale traspare la sofferenza: un atto dʼamore come risposta alla violenza.
La poesia ne è la più alta espressione: scavata dalla solitudine, nel vorticoso cammino della vita, può rappresentare una fonte di luce persino quando le difficoltà si accavallano; essa ha la facoltà di dominare e di recuperare con la ragione, per raggiungere, pur se in pieno deserto, quellʼoasi dʼamore dove ognuno sogna di sostare, prima o poi, anche se soltanto per un brevissimo istante.
La poesia, insieme con la speranza, è nel foglio bianco del futuro; per capire e dare il pieno, profondo significato ad ogni singola parola ci vogliono amore, rispetto, civiltà, abnegazione... soltanto con il suo dono, pur se cadiamo in ginocchio, saremo in grado di addolcire un poco le nostre e le altrui solitudini.
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