La dittatura del video


vVideocracy – Basta apparire è un documentario che incide, penetra come un coltello. Racconta gli orrori della televisione italiana, con il suo avvilente sottobosco femminile esibito in vetrina. Donne disposte a tutto. Ovviamente, non ha fatto piacere al ghota di Rai e Mediaset che ne hanno ostacolato la pubblicità. Eppure siamo riusciti a vederlo lo stesso. E perfino a intervistare Erik Gandini, il suo implacabile autore.

 

di Sara Meddi


Sara Meddi intervista Erik Gandini, regista del documentario Videocracy – Basta apparire

Erik Gandini è nato a Bergamo nel 1967 ma vive in Svezia dall’età di diciott’anni. Documentarista di successo ha esordito nel 1994 con Raja Sarajevo, racconto in presa diretta della vita di un gruppo di ragazzi nella Sarajevo in guerra, da allora ha vinto numerosi premi e riconoscimenti. Videocracy – Basta apparire è il suo ultimo lavoro, un’analisi senza filtro e senza bandiera della televisione italiana, un horror movie come lo definisce orgogliosamente il regista. Un film di cui Rai e Mediaset si sono rifiutate di trasmettere il trailer, e non perché in esso c’è un attacco al governo, o almeno non solo, ma perché Videocracy parla di ognuno di noi, dei nostri valori sociali, dei nostri idoli e delle nostre ambizioni. Se sarete abbastanza coraggiosi da riconoscervi (anche solo un poco) nei consumatori passivi di questo show business vi scoprirete, dopo Videocracy, più liberi di chiudere il telecomando nel cassetto.


Nel tuo documentario tu hai preso come figura esemplificativa della persona che desidera entrare in televisione un ragazzo, Riccardo, e questo ragazzo a un certo punto del documentario si lamenta che per le ragazze è molto più semplice perché basta scendere a qualche compromesso. Durante le ricerche che hai fatto per il film e durante le riprese del film hai avuto modo di farti un’idea su questo luogo comune del “compromesso”? Secondo te corrisponde a verità?

Nel caso di Riccardo per me era molto interessante che lui si considerasse come vittima rispetto alle donne, dando l’immagine quasi di una lotta fra poveri. Chi, come me, guarda le televisione da fuori vede le donne veramente come le grandi vittime, esibite come cimeli, come esseri non pensanti in questi programmi, devono stare lì esclusivamente per motivi estetici. Che lui vedesse questa presenza femminile come una minaccia alla sua carriera dà l’idea come l’anormalità diventa normalità, di fatto la sua è una logica contorta quando dice ah, per le donne è molto più facile perché ce ne sono molte di più rispetto a noi ragazzi. La cosa che mi interessava di più era che se ci fosse stata una ragazza a dire io scenderei a compromessi sarebbe stato scontato, facile, quasi da stereotipo, invece è interessante che sia un ragazzo a dirlo. A un certo punto lui dice io sì che sarei disposto a fare un compromesso, una volta, perché questo mi garantirebbe una carriera in televisione. Questo suo essere disposto a sacrificarsi, come dice lui stesso, è chiaro che è un sentimento diffuso tra tutti i giovani che “devono” capitalizzare su quello che hanno. Se il corpo è l’unica cosa che hai per avere più potere nella loro vita, l’unica cosa sulla quale investire per il tuo futuro, è chiaro che la metti in gioco. Ma è anche chiaro che è molto triste perché, nel caso specifico della televisione italiana, è chiaro che dietro questa logica c’è un sistema totalmente patriarcale basato sull’idea che il pregio di una donna è quello di eccitare gli uomini. Mi è capitato molte volte in questi mesi di fare delle interviste con dei giornalisti stranieri che mi chiedono come mai le donne italiane accettano il sogno della velina o l’idea di andare in televisione per fare carriera? Io cerco di trasmettere l’idea di “normalità” che c’è qui, ovvero che dopo trent’anni diventa “normale” per una donna in Italia, vedendo come chi ha fatto carriera in televisione ha avuto tutti i privilegi che ci sono e in più la possibilità di fare altre carriere (in politica per esempio), che la televisione o l’esporre il proprio corpo in televisione diventi il salto in avanti per realizzare i propri sogni. Il sogno non è fare lo “stacchetto” delle veline, lo “stacchetto” diventa un mezzo. Se vuoi fare il ministro degli esteri anziché andare all’estero a fare un corso di scienze politiche ti conviene andare in televisione, questa è una logica contorta che gratifica solo la metà della popolazione, ovvero gli uomini.

Vivendo all’estero da tanti anni come paragoni il modello della donna nella televisione svedese rispetto a quello della televisione italiana?

Non è solo un modello diverso ma è all’antipode, perché la Svezia in questo momento è coinvolta nel progetto, che è abbracciato da tutti indipendentemente dall’appartenenza politica, di creare una società basata sull’uguaglianza dei sessi. Questo è un progetto fortissimo in ogni strato della società per cui si cerca in ogni sede di avere il 50% di uomini e il 50% di donne. È così anche nel cinema, l’istituto cinematografico svedese che è l’ente che finanzia molti progetti cinematografici svedesi, soprattutto quelli “non commerciali”, ha deciso qualche anno fa di porsi come obbiettivo quello del 40% di film prodotti e diretti da donne. E poiché non è facile trovare così tante donne che fanno questo mestiere ogni anno l’istituto cinematografico si vergogna per non aver raggiunto il risultato delle “quote rosa”. Così quando il mio film è uscito in Svezia l’immagine della donna italiana in televisione ha sconvolto più che mai, più che in ogni altro paese, perché in Svezia l’idea che una donna sia usata in uno studio televisivo per essere svestita è semplicemente improponibile, così come che la conduzione dei programmi sia fatta solo da uomini, perché è molto forte l’idea che in ogni ambito, culturale o politico, ci debba essere una proporzione di metà donne e metà uomini. Posso farti un esempio di come sia forte questo sentimento in Svezia: un paio di anni fa su un canale commerciale della televisione svedese è andato in onda un programma che ha fatto molto scalpore, “Mogli fedeli a Hollywood”, in questo programma venivano riprese queste donne sposate a ricchi uomini residenti a Hollywood, insomma donne “molto poco svedesi”. Una di queste donne, Anna Anka, è diventata molto famosa in Svezia perché in questo reality aveva dichiarato, cito testualmente, che una moglie deve essere sempre disponibile se il marito vuole fare sesso, e per questa cosa è diventata famosa come “un’espatriata molto strana”, perché nessuna donna svedese avrebbe mai detto una cosa del genere.

In un’intervista a Current hai dichiarato di essere stato contento all’uscita del film che questo fosse stato considerato come un “horror movie” perché questo significava che qualcuno ancora si scandalizzava delle situazione della televisione italiana, in particolare delle donne nella televisione italiana. Secondo te guardando questo film che idea si può fare il pubblico della femminilità italiana?

Guarda è ricorrente in tutti i paesi in cui il film è uscito questo tipo di interpretazione che dice ah, sembra uscito da un altro pianeta; e anche la componente della “paura” è ricorrente, la gente che ha visto questo film l’ha definito un “horror movie”. Sono contento perché è quello che volevo trasmettere, perché è facile nell’analisi che si fa all’estero dell’Italia parlare dei processi a Berlusconi, queste cose di tipo più giornalistico; a me interessava parlare dell’Italia attraverso le piccole cose di costume e di morale non attraverso i “grandi scandali” o i “grandi eventi” come il bunga-bunga ecc. Comunque posso farti l’esempio di una proiezione a Londra, c’è stato un dibattito alla fine del film e il pubblico si è chiesto come mai la donna nella televisione italiana ha un ruolo così “scemo”?; una ragazza italiana, una delle tante accademiche trasferitasi all’estero, ha risposto quando vivi in Italia e lo vedi tutti i giorni ti abitui e diventa normale. E questa è una cosa frequentissima nel mio lavoro di documentarista, sia che tu ti stia occupando di Iraq o di Guantanamo o di qualsiasi altra cosa, le persone che fanno e vedono le cose dall’interno trovano quello che fanno assolutamente normale. L’essere umano è così, si adatta, ed è chiaro che se per trent’anni l’immagine della donna è stata quella della “velina” questo diventa normale. Ed è anche un grave segno di chiusura questo. Le riprese del film seguivano una prassi, dovevamo fare richiesta per riprendere le dirette dei programmi, fare le interviste ecc; molte volte mi è successo che mi dicessero ah, è chiaro che voi volete venire a filmare la televisione italiana perché è la televisione più bella del mondo, e io dentro di me pensavo questa è davvero una “bolla”, se tu per esempio scrivi italian tv su You Tube ti rendi conto che è un genere; viene fuori tutto quello che è più bizzarro, volgare, kitsch ecc.

Tu hai parlato della televisione commerciale degli ultimi trent’anni ma io ho l’impressione che anche prima, sin dalla nascita della televisione in Italia, la donna non sia mai stata qualcosa in più di una “velina”, probabilmente erano delle veline più vestite, più garbate, meno volgari. E la peculiarità della televisione italiana secondo me è che non ha mai cercato una duplicità, è sempre stata molto maschile.

Sì, molto. E infatti la responsabilità di questo non è solo di Berlusconi. La responsabilità di queste cose è di tipo “redazionale” direi, chi lavorava a questi programmi in tutti i corridoi, Rai e Mediaset, ha una grande responsabilità che non si sono mai presi. Io posso citarti questo regista del Grande Fratello, Fabio, uno anche di “sinistra”, che mi ha detto noi che siamo la parte creativa della tv commerciale abbiamo questo detto tra di noi “la televisione è bello farla, è brutto guardarla”. Questo è interessantissimo secondo me, questa frase raccoglie tutto un approccio tipico di chi ha fatto le cose peggiori nella storia dell’umanità, tutte queste persone dicono io ho fatto solo il mio lavoro.

Secondo te quale modello di informazione in questo momento può essere alternativo alla televisione in Italia?


Senza dubbio internet. Questo sembra un po’ “l’acqua calda” ma è chiaro che è così, il canale televisivo più grande del mondo è You Tube. Adesso internet in Italia ha una diffusione più bassa rispetto al resto dell’Europa ma è chiaro che sta crescendo e può avere la stessa esplosione che ha avuto la televisione commerciale nei primi anni ’80, che ha avuto successo perché offriva quello che la gente voleva e adesso sta succedendo lo stesso con internet.

Sara Meddi - redattore.

Sara è nata 27 anni fa vicino Roma. Con ostinata tenacia si sta laureando in Lettere classiche alla Sapienza e, sempre con ostinata tenacia, lavora da qualche anno nell'editoria romana. È caporedattrice della rivista La stanza di Virginia.

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