“L’egoismo è inutile – Elogio della gentilezza” di George Saunders
di Daniela Marras
Recentissima, del mese di aprile 2014, è l’edizione italiana del libro “L’egoismo è inutile – Elogio della gentilezza” di George Saunders.
Si tratta di un agile volumetto che l’autore dedica alla memoria dei suoi nonni e che riporta un discorso tenuto da Saunders ai laureandi della Syracuse University l’11 maggio 2013 (discorso il cui titolo è lo stesso dell’intera opera nella versione italiana); riporta altresì un breve saggio, “L’uomo col megafono”, originariamente pubblicato in Italia nel 2009 sempre dalla casa editrice minimum fax col titolo “Il megafono spento. Cronache da un mondo troppo rumoroso” e, infine, un’intervista all’autore.
Dopo l’indice, seguono i “Titoli di coda”, due simpatiche paginette in cui sono riportati nomi e cognomi di chi, a vario titolo (compresi i correttori di bozze), ha collaborato alla realizzazione del libro di cui si tratta.
Il primo scritto riproduce, come dice l’autore, il discorso di “un vecchio barbogio, con gli anni migliori alle spalle, che durante la sua vita ha commesso una serie di errori tremendi (sarei io)” il quale, sempre con le parole dell’autore, “offre un consiglio di cuore a un gruppo di splendidi e gagliardi giovani che hanno davanti tutti gli anni migliori (sareste voi)”.
L’autore indica subito “una cosa utile” che si può fare con un anziano e che consiste nel chiedergli: “Se guardi indietro, che cosa ti dispiace?”. Saunders, con tono ironico, dapprima indica alcuni episodi poco piacevoli accaduti nel suo passato ma di cui non si rammarica per poi arrivare a una vicenda “vecchia” di quarantadue anni, risalente alla seconda media, che lo ha portato a realizzare che prova dispiacere per le volte in cui egli non è stato gentile. Capovolgendo la domanda, chiede: “Nella vita, chi ricordate con più affetto, con più innegabile simpatia?” per rispondere: “Le persone che sono state più gentili con voi, scommetto”. Ed ecco quindi il suo suggerimento: “nella vita, non sarebbe un’idea malvagia cercare di essere più gentili”. L’autore ritiene che riuscire in questo intento non sia facile perché “ognuno di noi viene al mondo con una serie di equivoci congeniti che probabilmente sono di origine darwiniana. Ovvero: (1) noi siamo al centro dell’universo (cioè, la nostra storia personale è la più importante e la più interessante, anzi, l’unica che conti); (2) noi siamo separati dall’universo (ci siamo noi, e poi, laggiù, tutto l’ambaradan: cani, altalene, lo Stato del Nebraska, le nuvole basse e, ovviamente, gli altri); (3) noi siamo eterni (la morte esiste, sì, bene: per te, ma non per me). L’autore chiarisce che “noi non crediamo davvero a queste cose – a livello razionale sappiamo che non sono vere – ma a livello viscerale ci crediamo, e campiamo di queste cose, che ci spingono ad anteporre i bisogni personali ai bisogni degli altri”. Saunders ritiene che essendo la gentilezza variabile, essa sia anche migliorabile: non coincide con la cortesia “(una strategia per non lasciarsi coinvolgere)” ma viene considerata, come chiarisce l’autore nell’intervista, come una “virtù preliminare” da contrapporre alla aggressività e alla conflittualità dell’ “Io contro il Mondo” o del “Noi contro Loro” che caratterizzano anche la nostra società. Sempre nel corso dell’intervista, Saunders espone “un concetto buddista molto bello: non si può coprire di tappeti tutto il pianeta, ma si possono indossare scarpe morbide. E cioè: se uno tiene in buone condizioni la propria mente, cresce anche la sua capacità di cambiare il mondo” e “se una persona è stata più fortunata delle altre e, usando il tempo e la libertà che ciò le mette a disposizione, scopre qualcosa che contribuisce a renderla più completa e più serena, allora parte della sua ‘missione’ dovrebbe essere portare fino in fondo quel percorso: perfezionarsi in quella cosa (che sia la scrittura, lo yoga, la scienza dell’alimentazione o una qualche pratica spirituale) e, così facendo diventare un esempio, un modello, e contribuire a diffonderla”. Ecco un suggerimento che appare pienamente condivisibile e varrebbe la pena cogliere e fare proprio, ciascuno trovando e indossando il suo paio di “scarpe morbide”.
Il saggio “L’uomo col megafono” venne scritto durante l’era di Bush ma risulta ancora attuale nella “situazione politica in Italia”, come si chiarisce nell’intervista. In esso, l’autore, con ironia pungente, prende di mira “un fenomeno tanto interessante quanto deprimente: i media seguono il denaro, e poi le idee politiche della gente seguono i media”. “Il presupposto da cui muovono i nostri mass media è ormai la necessità del profitto. Questo presupposto è stato spogliato da ogni implicazione morale... Perché il discorso aggressivo, ansiogeno, patetico, conflittuale sia più redditizio del suo contrario è un mistero... In ogni caso, quelli che in passato si chiedevano: ‘E’ una notizia?’ ora sembrano chiedersi: ‘Farà colpo?’... Seguono pagine efficaci sulle connessioni tra la logica del profitto e il mondo dell’informazione e anche della politica, correlazione che “sta trasformandosi sempre più in un sistema chiuso, che taglia fuori il cittadino”. “Esiste un antidoto?” si chiede Saunders. Ecco la sua risposta: “consapevolezza e messa in discussione della tendenza Megafonica. Ogni ben ponderata confutazione del dogma, ogni barlume di logica intelligente, ogni riduzione all’assurdo della prepotenza è l’antidoto”. E la gentilezza? Saunders chiarisce, nel corso dell’intervista in merito a questo secondo saggio, che essa “non è affatto una virtù debole”, come si era portati a pensare nell’America reaganiana e come ancora si pensa nella società dei giorni nostri, essa “è quella più difficile, quella che richiede maggiore forza e sicurezza”, basti pensare “a degli esseri umani straordinari come Buddha, Gesù, Lincoln, Gandhi, Madre Teresa... personaggi incredibilmente forti e coraggiosi”.
Non siamo e non possiamo essere tutti Madre Teresa o Buddha ma, come sopra detto, possiamo “tenere in buone condizioni” la nostra mente e dare spazio all’amore, al senso dell’umorismo, alla solidarietà, alla gentilezza che Saunders, pur se “schifato ed entusiasta” allo stesso tempo (la domanda dell’intervistatore era in tema di social network), ritiene siano “cose” che abbiamo dentro di noi e che esse possano trovar modo di manifestarsi pure nel mondo virtuale.
Come già detto, il libro è un volumetto dalle dimensioni contenute e dalla lettura agevole, ricco di ironia e autoironia, che apre al sorriso e alla riflessione allo stesso tempo. Del resto, come dice Saunders, “perché l’arte dovrebbe comportarsi come se non ci importasse di niente, o come se fosse tutto uguale?”.
“L’egoismo è inutile – Elogio della gentilezza” di George Saunders – Minimum Fax 2014
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