Lʼultimo giorno di un condannato a morte


Victor Hugo – Newton Compton Editori – Aprile 2014

 

HugoLa Newton Compton Editori ha di recente pubblicato alcuni testi, classici e meno classici, a prezzi contenuti e che tutti possono permettersi. Tra questi “Lʼultimo giorno di un condannato a morte” di Victor Hugo, pubblicato per la prima volta nel 1829.

Lo scritto di Hugo è preceduto, in questa edizione, dallʼintroduzione-saggio “Lʼultima notte della vita” di Arnaldo Colasanti nonché dalla Prefazione dello stesso Hugo alla quinta edizione del marzo 1832 e dalla “specie di prefazione in forma di dialogo” che accompagnava la terza edizione.

Come chiarisce lʼautore, “Lʼultimo giorno di un condannato non è altro che unʼarringa, diretta o indiretta, per lʼabolizione della pena di morte... è lʼarringa generale e permanente per tutti gli accusati presenti o futuri... E perché lʼarringa fosse vasta quanto la causa, egli ha dovuto – e per questo Lʼultimo giorno di un condannato è così fatto – sfrondare ovunque nel suo soggetto il contingente, lʼaccidentale, il particolare, lo speciale, il relativo, il modificabile, lʼepisodio, lʼaneddoto, lʼevento, il nome proprio, e limitarsi (se questo si può dire limitarsi) a patrocinare la causa di un condannato qualsiasi, giustiziato un giorno qualsiasi per un crimine qualsiasi. ”Egli si prefiggeva di “dare il suo colpo di scure... allargare... il taglio aperto da Beccaria, sessantasei anni” prima, con la sua celebre opera Dei delitti e delle pene.

Lʼopera di Hugo avvince sin dallʼincipit, ça va sans dire:

“Condannato a morte!

Sono cinque settimane che convivo con questo pensiero, sempre solo con esso, sempre agghiacciato dalla sua presenza, sempre curvo sotto il suo peso!

Un tempo, perché mi sembra che siano anni piuttosto che settimane, ero un uomo come un altro. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto aveva la sua idea. La mia mente, giovane e ricca, era piena di fantasie.... Era sempre festa nella mia immaginazione. Potevo pensare a ciò che volevo, ero libero.

Ora sono prigioniero. Il mio corpo è in ceppi in una cella, la mia mente è prigioniera in unʼidea. Unʼorribile, una sanguinosa, unʼimplacabile idea! Non ho ormai che un pensiero, una convinzione, una certezza: condannato a morte!”.

E così, dalla rievocazione dellʼemanazione della sentenza, fino alla sua esecuzione, il lettore viene, con sapiente ma leggera maestria, trasportato nellʼultimo viaggio mentale, volutamente ossessivo, del condannato a morte. E, se prima della sentenza, di fronte alla possibilità, prospettatagli dallʼavvocato, di una condanna ai lavori forzati a vita, il protagonista esclama indignato: “Ma che dite signore?... piuttosto cento volte la morte!”, lo stesso protagonista, avanti nel suo viaggio, si trova a pensare: “La grazia! La grazia! forse mi faranno la grazia. Il re non ce lʼha con me. Si vada a cercare il mio avvocato! Lʼavvocato, presto! Le galere mi vanno bene. Cinque anni di galere, e che tutto finisca – oppure venti anni – oppure lʼergastolo, con il ferro russo. Ma la grazia della vita!

Un forzato è qualcosa che cammina ancora, che va e viene, che vede il sole.”

Ebbene, egli, il condannato, si trova a realizzare che la vita è preferibile alla non-vita, che esserci è meglio che non-esserci, che lʼesistere è auspicabile più del non-esistere e che, per quanto la vita, lʼesserci, lʼesistere possano essere duri, implacabilmente difficili e desolanti, al limite, allʼapparenza almeno, della propria dignità, essi hanno invece valore in sé, essi sono un valore!

Sappiamo tutti che siamo destinati alla morte, per alcuni questa è lʼunica certezza della nostra esistenza, certezza e destino che, di per sé, danno valore al peso contrapposto, alla vita appunto, finché dura.

La Vita per la Vita quindi, valore principe, valore cardine per tutti coloro che ritengano essere parte di una società e non di un “club di suicidi”, come è stato autorevolmente detto.

Ma, nelle nostre società “moderne”, al giorno dʼoggi, perché si dovrebbe leggere questʼopera di Hugo, la sua “arringa” nella forma di non-arringa?! Egli non perora la sua causa con tesi, antitesi e riflessioni filosofiche, etiche e politiche: egli lascia che il suo protagonista esponga tutti i suoi pensieri angosciati e angoscianti, facendo leva più sulle emozioni che sulla razionalità, più sul “cuore” che sul “cervello” - si potrebbe dire -, scelta che sicuramente favorì la “presa” sui lettori e il successo dellʼopera.

Di certo non si ha la pretesa, in queste poche righe, di dar conto del ricco dibattito relativamente alla pena di morte, compreso il confronto, che pure è stato ed è da taluni prospettato, in tema di costi materiali tra detta pena e il carcere a vita...

Tuttavia, non si può non sottolineare che ancora in tanti, troppi, Paesi “evoluti”, la pena capitale è al giorno dʼoggi prevista dalle leggi statali e tanti, troppi, individui si vedono privati del loro bene primario per mano dello Stato medesimo.

Ebbene, noi tutti, discendenti di Caino, siamo chiamati, più o meno di sovente, a compiere scelte e a soppesare opportunità, mettendo sulla bilancia del nostro processo decisionale valori, principi, beni diversi, valori, principi e beni che spesso se non coincidono, almeno coinvolgono o sfiorano, il valore, il principio, il bene della Vita.

Magari pensiamo che sostenere “Nessuno tocchi Caino” perché lontano da noi non si ricorra più alla pena di morte, sia sufficiente per esonerarci da scelte di valore nella nostra esistenza quotidiana; magari lasciamo che altri compiano queste scelte, decidendo al posto nostro; magari riteniamo che certi valori, certi principi, certi beni, siano “acquisiti” e non siano in pericolo nelle nostre società... magari...

Ecco la risposta al perché leggere lʼarringa-non-arringa di Victor Hugo: per dare una scossa alle nostre coscienze sopite, perché ci si interroghi, perché si dubiti e perché si cerchino risposte, auspicabilmente personali e non preconfezionate, il che non vuol dire che tali risposte non siano e non possano essere condivise e condivisibili.

Potrebbe essere considerato fuori moda, al giorno dʼoggi, parlare di valori, principi e beni: il valore su cui tutti si è dʼaccordo è il valore dei soldi, non solo quale potrebbe essere definito da un esperto di economia e finanza, ma soprattutto come bene con cui pesare tutti o quasi, gli altri “beni” della nostra esistenza, in modo così “connaturato” che quasi non ci si pensa più. Ad esempio, basti riflettere un momento sul bene “lavoro”, bene posto a caposaldo della e dalla nostra Costituzione: è scontato che unʼattività lavorativa venga “retribuita” col denaro e si è portati a pensare che tanto più unʼattività lavorativa è retribuita, tanto più essa sia, o debba essere, considerata “di valore” e di prestigio, personale e anche sociale. Non così, invece, se la stessa attività non viene “retribuita” in termini monetari, sia essa lʼattività di una casalinga o sia essa la stesura di una recensione per diletto (da “dilettante” appunto, il che letteralmente può voler dire da “incompetente”, “inesperto” così come da “appassionato”, “amatore”).

Per concludere, ritorniamo alle parole di Victor Hugo il quale, nella sua Prefazione, espone anche alcune vicende “contingenti” sulla discussione parlamentare in Francia in tema di abolizione della pena di morte:

“Quattro uomini dellʼalta società, quattro uomini a modo... avevano tentato, nelle alte regioni politiche, uno di quei colpi audaci che Bacone chiama delitti e che Machiavelli chiama imprese. Ora, delitto o impresa, la legge, brutale per tutti, punisce questo con la morte.... Che fare e come fare?... Ci fosse almeno una ghigliottina di mogano!

Bene! non resta che abolire la pena di morte!

Ed ecco che la Camera si mette all’opera.

avremmo preferito che la Camera scegliesse unʼaltra occasione per proporre lʼabolizione della pena di morte.

Che cosa è successo? che, dal momento che voi non eravate sinceri, gli altri hanno diffidato di voi. Quando il popolo ha visto che volevano imbrogliarlo, se lʼè presa con lʼintera questione senza fare distinzioni, e, cosa notevole! ha preso le parti di quella pena di morte di cui pure sopporta tutto il peso.

Il processo dei ministri fu portato a termine. … Le quattro vite furono risparmiate. Ham fu scelta come giusto mezzo tra la morte e la libertà. … Non si parlò più di abolire il supplizio capitale e, una volta che non fu più necessaria, lʼutopia ridivenne utopia, la teoria teoria, la poesia poesia.”

Questa vicenda, su cui vale la pena soffermarsi, appare significativa perché fa luce sui meccanismi politici e sociali che stanno alla base di tante decisioni che ci riguardano, decisioni dei politici appunto e pure del popolo, “popolo” si spera e non “massa”, “gregge”, ma questo è un altro discorso ancora...

Daniela Marras -

Nata e cresciuta in Sardegna, classe 1969. Laureata in Giurisprudenza con una tesi in Filosofia del diritto, giudicata di "particolare valore", dopo una significativa e gratificante esperienza all'estero, a Edimburgo, che le è restata nel cuore, si è trasferita dapprima a Milano e poi a Pavia per motivi di lavoro.

Appassionata di lettura e viaggi e amante della scrittura, ha pubblicato la raccolta di poesie "Nell'attesa" e una breve raccolta di racconti, tirandoli fuori dal cassetto. Nell'inserto estivo de "L'Unione Sarda" del 9 agosto 2000, è stato pubblicato, anonimo su richiesta dell'A., il racconto "L'enigma del teschio" selezionato da Massimo Carlotto. Nel 2001 ha ricevuto il Diploma di Merito per la Menzione d'Onore in occasione del Premio di Poesia "Faustino Onnis". Nel 2004 la poesia "Fiumi" è stata pubblicata nella raccolta del premio "Chiare fresche e dolci acque" a Morbegno.

Nonostante le batoste della vita, non si perde d'animo e confida ancora nel futuro...

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