“Ragazze mancine” – Stefania Bertola


ragazze mancineUna giovane donna sta piangendo nella sua Panda parcheggiata davanti all’autogrill di Novara Est quando una ragazza piombatale in macchina con una bambina in braccio le intima di partire immediatamente.

Così inizia l’ultimo, esilarante romanzo di Stefania Bertola.

I destini di due donne diametralmente opposte si incrociano portando entrambe a cambiare la loro personale visione della vita. Adele, 32 anni, laureata in Lettere, non ha mai lavorato e ha sposato un ricco imprenditore biellese con l’unico scopo di esserne mantenuta per potersi dedicare alla cultura, o al “piacere di studiare”, come dice lei. Una mattina, però, si sveglia e si scopre senza più un marito, “povera come la pece” e con un grosso cane. L’uomo, infatti, in bancarotta, è fuggito all’estero con l’amante, lasciando la moglie senza un soldo e con il cane della nuova fidanzata.

Eva, 28 anni, è andata via di casa a 17, ha una bambina di un anno, di padre incerto, è abituata ad accettare ogni sorta di lavoro per sopravvivere e da quando ha trovato un medaglione su una spiaggia pensa di esserne protetta dalla cattiva sorte.

Tanto Adele è abituata a dipendere dagli altri quanto Eva ha sempre contato solo sulle proprie forze.
Eppure, questi due mondi così differenti si incontrano e imparano, loro malgrado, a convivere.
Proprio quando Adele, infatti, sta cercando di liberarsi del cane portandolo in un canile, Eva sta fuggendo dall’autogrill in cui una donna l’ha fermata sostenendo, a ragione, che il medaglione che porta al collo le appartenga. È così che le due ragazze si scontrano e in men che non si dica si trovano a condividere una casa, qualche lavoretto, una bambina e un cane. A rendere la faccenda ancora più interessante, poi, ci pensano due fratelli, assoldati dalla madre, la donna dell’autogrill, affinché le recuperino il ciondolo di cui sopra, attorno al quale si snoda tutta la vicenda.

Insomma, l’intreccio, ambientato a Torino, è un turbinio di situazioni improbabili, equivoci e colpi di scena in cui prendono vita personaggi che sembrano caricature: il pianista dongiovanni dalla doppia identità, l’imprenditore tutto dedito al lavoro, il conte fedifrago incapace di sopravvivere senza la moglie, avvocato divorzista in carriera, la snob, avida e un po’ isterica, nota studiosa di poetesse serbe ma segreta ammiratrice dei romanzi rosa.

Lo stile di Stefania Bertola è inconfondibile: frizzante, ironico, a tratti umoristico. Spassosissime certe esclamazioni della proprietaria del gioiello, la studiosa: “Perché sei un deficiente, un idiota, sei un cretino come e più di tuo fratello, siete un branco d'inutili imbecilli e se lo sapevo mi facevo sterilizzare a quattordici anni!” (cap. Prendi e taci).  

E poi è impossibile non immedesimarsi ora in Adele, ora in Eva. Chi non ha desiderato almeno una volta nella vita, come Adele, di potersi dedicare alle proprie passioni senza preoccuparsi di lavorare? Chi, del resto, al contrario, più spesso di quanto avrebbe voluto, non ha fatto il conto, come Eva, di quanto si può risparmiare facendo la spesa al discount?

Ma ciò che rende ancora più apprezzabile questo romanzo è la capacità di trattare con grazia e leggerezza temi quali la precarietà del lavoro e l’imprevedibilità della vita. E per di più, riesce a trasmettere un buon insegnamento: ci si può, e ci si deve, rimettere in gioco anche a trent’anni. Perché a volte “Succede qualcosa che scompagina la nostra vita, e invece di cercare di rimetterla insieme esattamente com'era prima, forse conviene accettare la rottura, buttare i pezzi, e provare una vita nuova. Altrimenti sei come quelli che quando si rompe una bellissima tazza di porcellana la aggiustano con l’Attak.” (cap. Mark Ryden).

Un libro da leggere tutto d'un fiato, per rilassarsi, divertirsi e, perché no?, per riflettere un po’ sul nostro modo di vedere la vita.

 

“Ragazze mancine” – Stefania Bertola, Einaudi - 2013

Eleonora Mammana -

A dieci anni ho deciso che da grande avrei studiato il latino e il greco, così i miei genitori mi hanno  iscritta nella prima sezione sperimentale della mia città che insegnava il latino nella scuola media come materia curricolare; a tredici ho scelto di frequentare il Liceo Classico; a ventuno ho conseguito una laurea triennale in Lettere Classiche a Vercelli, con una tesi su un papiro di Stesicoro, e a ventiquattro una laurea specialistica in Filologia e Letterature dell'Antichità a Torino, occupandomi delle testimonianze a Ibico. Adoro Euripide, Shakespeare e Emily Brontë. Mi piace leggere per la possibilità, che la lettura offre, di vivere un numero incommensurabile di vite. Amo la “bella scrittura” e il “parlare bene”, ho pertanto da sempre il difetto di correggere qualunque espressione scritta che “suoni male”. Mi lascio coinvolgere dai capolavori del cinema, i colossal in particolare, con tutta quella profusione di scenografia e costumi. Ho ereditato da mio nonno la passione per l'opera lirica, fra tutte la Turandot, e da mio padre l'amore per l'arte. Ballo da sempre, danza moderna prima, caraibica ora. Mi incuriosiscono la moda e il make-up. Impazzisco per gli animali per il loro dare amore incondizionatamente. Il mio tempo libero cerco di trascorrerlo con le persone a cui voglio bene. Non sono mai completamente soddisfatta di me stessa. Mi piace mettermi in gioco e  imparare sempre qualcosa di nuovo. Sono orgogliosa e testarda, non sopporto l'ipocrisia e la mancanza di rispetto. Alla mia mamma devo la forza di volontà che mi ha sempre permesso almeno di provare a fare ciò che desidero.

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