I Promessi sposi, la Passione e il gatto che non voleva stare solo
di Eleonora Mammana
Massimo Brusasco
Lineadaria Editore, Biella 2015
Di prassi, quando si scrive la recensione di un libro, si parte da una breve sinossi per poi fornire una valutazione complessiva dell’opera. In questo caso, invece, vorrei iniziare esprimendo il mio giudizio sull’autore. Ho avuto, infatti, l’onore di leggere questo testo per la prima volta quando ancora era un manoscritto in valutazione, peraltro privo di finale, e sono rimasta davvero colpita dall’abilità di questo scrittore. Mai, infatti, mi era capitato tra le mani un inedito che non necessitasse di un, se pure lieve, lavoro di editing: solo qualche svista di poco conto e alcuni errori di battitura. Per il resto, un testo assolutamente impeccabile in termini di organizzazione dell’intreccio, complesso per la quantità di “attori” implicati, ma assolutamente coerente; per lo stile, caratterizzato da dialoghi incalzanti ed esilaranti; per il linguaggio, allusivo e pregno di buffi giochi di parole (“Preghiamo per il nostro fratello, ma anche per il fratello del nostro fratello e sua cognata, che è moglie del fratello”, pag. 5). Nulla, poi, sembrava lasciato al caso, dalla scelta dei nomi dei protagonisti, Bertone, Bertino e Bertana, ai riferimenti ai Promessi Sposi, che si rispolverano sempre volentieri; dall’omaggio alla Passione di Sordevolo, all’anniversario dei duecento anni dalla sua prima rappresentazione (per chi non ne avesse mai sentito parlare, il più grande spettacolo corale in Italia interpretato da attori dilettanti, dedicato alla Passione di Cristo), agli intrighi che intrecciano le vicende dei vari personaggi e che solo nelle ultime righe dell’ultima pagina si svelano, tenendo il lettore con il fiato sospeso fino alla fine. (Vi lascio immaginare, pertanto, l’impazienza che ho provato nell’attendere di ricevere la conclusione del romanzo!)
Ma veniamo ora al contenuto del libro: Barlume di Sotto, un fantomatico paesino di montagna di quattro anime, rischia l’estinzione a causa dei frequenti suicidi che vi si verificano. Per di più, essendo privo di ogni servizio, dalla farmacia al medico alla banca, i suoi cittadini non hanno grandi motivi per rimanervi e i forestieri non ne hanno affatto per recarvisi. Come se non bastasse, da tempo, ladri e truffatori si prendono gioco della sua ingenua popolazione, in particolare della povera, anziana, Luigina. Quando anche il prete, essendo stato rapinato, decide di lasciare la cittadella, a Bertone, il sindaco del paese, disperato giunge, però, una notizia che gli infonde nuova speranza: Sordevolo, un paesino del Piemonte altrimenti sconosciuto esattamente come Barlume, è diventato famoso grazie allo spettacolo che ogni cinque anni vi si rappresenta, la Passione di Cristo. Bertone, perciò, decide, dopo essersi recato con il vicesindaco Bertino e con il professor Bertana a vedere di persona questa grande messinscena, di fare qualcosa di simile anche nel suo paese, per farlo conoscere e ripopolarlo. Non volendo, però, rappresentare qualcosa di cruento, decide, su suggerimento del professore, di trasporre I promessi sposi, facendone stravolgere la trama per privarla di qualunque elemento negativo, con l’intento di trasmettere messaggi esclusivamente e inequivocabilmente positivi. Bertone, infatti, non conoscendo affatto l’opera manzoniana, ritiene che la peste sia un elemento troppo negativo e che “bravi che non sono bravi”, l’Innominato che rapisce la casta Lucia e una monaca non proprio proba siano personaggi troppo ambigui per una comunità come quella di Barlume, “semplice, devota” e che “non capirebbe certe cose”.
Così iniziano le rassegne stampa, la raccolta fondi, il casting (scena spassosissima, da pag. 133), e si sceglie una testimonial d’eccezione per promuovere l’evento, Angela Lansbury, la protagonista de La signora in giallo, che tutto il paese segue con dedizione. Per contattare l’illustre signora, naturalmente, si susseguono altri comici equivoci. Verrà, infatti, ingaggiato un barlumese trasferitosi in America, Frank, che altri non è, però, che un boss mafioso che, più che ad aiutare gli ex-compaesani a trovare la “Signora in giallo”, è interessato a studiare il luogo ideale per nascondere la merce che traffica; e quale posto migliore di un paese sperduto e abitato da gente semplice e sprovveduta? A Barlume arrivano perciò due suoi scagnozzi per sondare il terreno, spacciandosi per collaboratori della Lansbury inviati al paesello per prepararne l’arrivo. Vi lascio immaginare gli ulteriori, brillanti sviluppi. A condire il tutto non mancano le tresche: il sindaco Bertone se la fa con la segretaria, il vice Bertino con la moglie del sindaco, la moglie di Bertino non si sa con chi, ma si diverte anche lei; ma anche gli inganni: il professore si prende gioco di Bertone e della moglie per guadagnare 500 euro, Bertino accetta una mazzetta dall’impresa che dovrà asfaltare la strada che recherà i visitatori allo spettacolo e Terenzio, giornalista barlumese, accetta due banconote dal sindaco per evitare di pubblicare sul giornale i furti accaduti in paese. A voi scoprire come si chiude la vicenda.
Dalla trama si evince che il romanzo è una sorta di giallo comico, se così si può definire, in cui suspence e colpi di scena sono conditi con scene degne delle migliori commedie (la più esilarante è quella della cena a casa di Bertino, durante la quale i commensali, per non trovarsi in 13 seduti a tavola, si alzano a turno adducendo le scuse più assurde, pp. 155 e ss.). Il testo, in effetti, ha davvero molto del teatro. Come ho già detto, i dialoghi la fanno da padrona e le parti narrative sono proprio solo elementi di raccordo tra un “atto” e l’altro. A questo punto va detto che il nostro autore (che ha già pubblicato due romanzi: Palla tonda teste quadre, Albatros, 2011 e Sognavamo le ragazze cin cin, Edizioni Il Filo, 2008), giornalista di professione (per Il Piccolo di Alessandria), speaker radiofonico (per le emittenti locali Radio Voce Spazio e Radio Alex), conduttore del talk show teatrale Il Salotto del mandrogno (presso il circolo Casetta di Alessandria), da tempo scrive per il teatro e il cabaret, oltre a essere lui stesso attore e regista (collabora col duo cabarettistico Marco e Mauro, con Federica Sassaroli e con la Compagnia Teatrale Fubinese, oltre a cimentarsi some cabarettista col trio Valter Ego). La sua vena comica, del resto, si percepisce anche durante le presentazioni dei suoi libri, alle quali partecipa sempre con acume e simpatia.
Ed è proprio l’acume uno degli altri aspetti che mi hanno colpito di questo romanzo e del suo autore. La vera protagonista di quest’opera, infatti, è la vita di paese, le cui peculiarità vengono colte in profondità: la spontaneità, l’abitudinarietà, i luoghi comuni, la gerarchia.
I personaggi, ingenui e sempliciotti, presentano tratti caricaturali, ma l’occhio con cui vengono ritratti è benevolo e l’intento è unicamente quello di far sorridere: nessun sarcasmo, al massimo lo sguardo sornione di chi, in fondo, in questo mondo è cresciuto e ne apprezza le qualità.
Concludo lasciando un assaggio dell’animata discussione tra Bertone e Bertana, durante la quale il sindaco impone al professore di riscrivere i Promessi Sposi affinché siano più comprensibili per la pia comunità:
“[...] Questo è un paese di devozione. Non lo possiamo sconvolgere con sta storia della peste, con quello che non vuole fare il matrimonio, con questi bravi che sono cattivi. Sarebbe opportuno, pertanto, che i bravi fossero bravi e che la peste non ci fosse”.
“E l'Innominato?”.
“Chi è?”.
“Il signore locale, quello che fa rapire Lucia”.
“Ah, c'è pure un rapimento?”.
“Sì, lo ordina l'Innominato”.
“Ecco, non me lo nomini nemmeno. [... ]” p. 84
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