Agenti letterari: Il Contrappunto
di Sara Meddi
Nota importante all'articolo!
In seguito alla pubblicazione della seguente intervista ci sono giunte diverse segnalazioni attendibili che, contrariamente a quanto lasciato intendere nell’intervista stessa, confermano i rapporti tra l’agenzia letteraria Contrappunto e case editrici a pagamento. La stanza di Virginia è profondamente contraria a questo tipo di politica editoriale e si scusa con i lettori assicurando che tutta la redazione svolgerà in futuro indagini più approfondite prima di pubblicare ogni forma di articolo che possa essere una pubblicità a editori, scrittori o agenti che promuovono questa forma di finta editoria.
Sara Meddi intervista Natascia Pane, responsabile dell’agenzia letteraria Contrappunto
Prima di tutto ti volevo chiedere questa cosa… ho spulciato un po’ la tua biografia sul sito di Contrappunto, ho letto che tu hai studiato al conservatorio e poi ti sei laureata in Lettere. Mi interessava sapere quale è stato concretamente il percorso che ti ha portato a diventare un agente letterario.
Ti rispondo con un termine che vuole essere molto paradossale, me lo accetti?
Be’, certo…
Caso! Quello che ho scritto sul sito è la purissima verità, sulla bacheca della Facoltà di Lettere c’era semplicemente un manifesto che sponsorizzava un corso per redattori editoriali e, da brava studentessa squattrinata che vedeva avvicinarsi la laurea e che si trovava a scegliere tra l’insegnamento e tra i mestieri precari della cultura, ho investito i soldi che avevo messo da parte dando lezioni di pianoforte in questo corso. Senza fare il nome del corso ti posso dire che è stata la scelta peggiore che potessi fare perché davvero non mi lasciò niente dal punto di vista pratico però mi lasciò la possibilità di capire tutto quello che non mi piaceva del mondo editoriale e anche durante lo stage che poi iniziai presso una casa editrice, stage che tra l’altro non terminai mai, erano più le cose che avrei cambiato che quelle che mi piacevano. Ed è da lì che è nato lo spunto perché discutendo con l’editore, anche un po’ presuntuosamente perché avevo 21 anni, lui mi disse “Be’, se tutto questo non ti piace puoi fare l’agente letterario”. E poiché già all’epoca non si riusciva più a dare importanza al singolo autore ho capito subito che il mio ruolo non poteva essere all’interno di quel tipo di redazione ma era nei servizi, e così è nata l’agenzia.
Quindi hai iniziato molto presto, a 21-22 anni, come agente…
Esattamente, ho lasciato lo stage, ho aperto subito la mia attività indipendente e mi sono messa a studiare… cioè ho certato di vedere anche quali fossero i modelli, che cosa significasse essere un agente letterario ecc ecc, e 10 anni fa le cose erano ancora più confuse di adesso anche se eravamo molti di meno…
Sì, anche se devo dire che nel molto affollato panorama editoriale italiano ho l’impressione che la figura dell’agente sia quella forse più carente.
Assolutamente sì, ma l’idea che mi sono fatta dopo 10 anni di attività è che le cose siano andate un po’ peggiorando. Io auspicavo già allora che nascesse un ordine professionale o perlomeno che nascessero delle restrizione per operare con quel termine e invece saprai benissimo che la prima persona che ha piacere a presentarsi come agente letterario oggi lo può fare.
Questo tutto sommato è valido anche per chi decide di fare l’editore.
Assolutamente sì, ma quantomeno l’editore un minimo di capitale per fare la produzione, anche solo per mandare in stampa i libri, lo deve avere. Mentre chi decide di fare l’agente non ha bisogno di nessun investimento iniziale che non sia la sua persona.
Sì, ma forse è questa la vera forza del mestiere…
Per come la vedo io sì, perché è tutto davvero orientato sulla persona, e sulla credibilità ovviamente della persona.
In dieci anni ti saranno passati tra le mani tantissimi testi e tantissimi autori. Riesci ancora a mantenere quel rapporto diretto che avevi all’inizio della tua attività?
Be’, ti dirò che la maggior parte degli autori che avevo nel 2002 sono gli autori che ho ancora oggi, new entries escluse ovviamente. Questo è bello perché, e ne parlavo proprio oggi con uno dei miei autori di vecchia data, si può crescere insieme.
Di quanti autori ti occupi al momento?
Quelli che sono, passami il termine, lo zoccolo duro dell’agenzia, quelli per intenderci che sono con me da tanti anni sono una quarantina ma considera che da diverso tempo abbiamo aperto anche le divisioni estere per portare sia i nostri autori all’estero che gli autori stranieri in Italia, e si è creato un rapporto stabile non solo con gli autori ma anche con le case editrici straniere per le quali gestiamo i cataloghi… che poi è l’attività di compravendita dei diritti che tradizionalmente fa un’agenzia letteraria e che io chiamo scherzosamente “lo scambio di figurine”, perché vedi durante le fiere tutti questi agenti seduti ai tavoli che si scambiano le schede direttamente sull’ipad. Ma questo “scambio di figurine” non ci piace tanto e alla fine il lavoro è sempre improntato, anche se ho delle collaboratrici che mi aiutano, a fare tutto con le mie mani e a farmi vedere in volto, ma ovviamente c’è un limite fisiologico a quello che io posso fare.
Allora… spiegandolo con le parole più semplici possibili: che cosa fa un agente letterario? Tu ti svegli la mattina e cosa fai?
La prima cosa che faccio e capire con chi mi dovrò relazionare nella giornata, che significa aprire il calendario, capire chi incontrerò fisicamente e chi non fisicamente e decidere quanto tempo sarò in grado di dedicare a ciascuno. Per esempio se ho otto appuntamenti in studio con otto autori diversi avrò un tipo di giornata se invece ho in programma di organizzare una fiera con le mie collaboratrici la giornata sarà del tutto differente. Quindi ci sono due cose fondamentali: stare tantissimo a contatto con la gente e stare tantissimo da sola, la magia sta nel trovare l’equilibrio giusto.
E più in generale di che cosa di dovrebbe occupare un agente letterario in questo momento storico? Un momento in cui si parla molto di print on demand, vanity press ecc ecc
Con molta semplicità bisogna essere 10 o meglio 100 passi avanti. Essere continuamente aggiornati sulle novità, come per esempio l’editoria digitale; comprendere in quali pieghe del sistema si può inserire l’autoproduzione, che in alcuni frangenti è a mio avviso da considerarsi tutt’altro che eretica, e non parlo della vanity press ovviamente; lavorare tanto, fino allo sfinimento, sull’estero non tanto perché sono necessariamente più avanti noi, anche se spesso è vero, ma perché i loro bisogni sono anche i nostri e viceversa… e poi ovviamente comunicare, cercare i colleghi, stare con i colleghi.
Cosa cerchi nei manoscritti che ti arrivano… e soprattutto c’è secondo te un tipo di voce che manca e della quale si avrebbe bisogno adesso in Italia?
Credo che ci sia bisogno di scrittori che sappiano parlare del dolore senza addolorare, cioè di quei scrittori che sanno entrare nelle pieghe più profonde della sofferenza senza per forza trascinarti giù mentre stai leggendo. Quindi di una scrittura assolutamente spietata e forte ma che riesce comunque a mantenere una concezione positiva, e questo è tanto più difficile quanto più l’autore si identifica con il protagonista. Quindi per farla breve c’è bisogno di storie vere.
Ho letto sul vostro sito che la prima valutazione dei testi è gratuita. Successivamente alla valutazione qual è la vostra politica economica nei confronti degli autori?
Esatto, la prima valutazione dei testi è da sempre per me considerata come un momento di conoscenza reciproca fra noi e l’autore… come una stretta di mano, per intenderci.
Quanto alla nostra politica economica, Contrappunto opera a parcella. A seconda del valore della firma che acquisiamo sul mercato, e a seconda del progetto di medio o lungo periodo operiamo a parcella, piuttosto che in formule miste a provvigione. Con gli autori che sono con noi da molti anni abbiamo anche rapporti di totale gratuità: è uno dei momenti più belli per sancire anche materialmente un rapporto di fiducia e affetto di lunga data.
Per concludere, qual è il vostro pensiero riguardo il fenomeno dell’editoria a pagamento?
Il mio pensiero riguarda quasi esclusivamente la grande confusione che ancora vive attorno a questo tema. E in questo momento alludo soprattutto alla confusione di alcuni editori che della battaglia contro l’editoria a pagamento fanno una bandiera dai contorni troppo sfumati. Cosa penserebbero se, come nella mia esperienza decennale, avessero collezionato proposte di pubblicazione a pagamento anche da case editrici italiane molto blasonate, dalle quale non si ci aspetterebbero certo simili compromessi?
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