La passione di Francesca
di Sara Meddi
Chi lavora nel mondo dell'editoria lo fa per vocazione, visto che i soldi non sono e non saranno mai molti. Come Francesca Pieri, ex ufficio stampa di Newton Compton ora legata a nuovi progetti editoriali. Una donna con una importante esperienza alle spalle in un settore che richiede una forte preparazione. Qui ci racconta di un mestiere non sempre facile, ma certamente assai stimolante...
Cara Francesca,
sembra che ogni lavoratore dell’editoria abbia una storia professionale diversa. Tu come sei arrivata a fare questo lavoro? Puoi parlarci della tua formazione e della prima “gavetta”?
Ho studiato lettere con passione e coltivando questa passione ho cercato di costruire il mio percorso professionale. Dopo due anni di collaborazione a un progetto di ricerca universitario, ho frequentato alla Luiss una scuola di specializzazione dedicata al Management della cultura. Da lì ho sostenuto uno stage alla Casa delle letterature, istituzione del Comune di Roma. Ne sono seguiti anni importanti che mi hanno avvicinato al mondo dell'editoria, nell'organizzazione delle prime due edizioni di Letterature, festival internazionale di letteratura promosso dal Comune di Roma, e poi della seconda edizione di Più libri più liberi, fiera nazionale della piccola e media editoria. Così ho incontrato quello che è stato il mio primo editore, Sergio Fanucci, e da lui ho avuto il mio primo incarico di ufficio stampa. Da lì ha preso avvio il resto. Sono dieci anni che mi dedico a questo lavoro.
Al di là della formazione accademica quali pensi che siano le qualità necessarie per essere un buon ufficio stampa?
Interesse per i contenuti: prima leggere e poi chiamare un giornalista, è la regola d’oro! E poi… Buona dialettica (è pur sempre un lavoro di comunicazione e mediazione). Capacità di entrare in relazione con interlocutori diversi (autori, giornalisti, agenti, librai…). Curiosità: si possono trovare stimoli, sollecitazioni, spunti, chiavi d’interpretazione nei luoghi più disparati, dai siti internet ai social network, dalla stampa, alla radio, la televisione; entro i circuiti di dibattito editoriale e letterario in senso stretto, come inaspettatamente tra le righe di un pezzo di costume, nel manifesto che annuncia l’uscita di un film o una mostra. Versatilità, intesa come capacità di utilizzare registri diversi, individuare interlocutori adatti a ogni singolo argomento; affrontare argomenti e interessi diversificati. Aggiornamento e nel senso di capacità di fiutare le direzioni in cui si muove la comunicazione e da un punto di vista dei mezzi (si è passati strumenti convenzionali - carta strampata, radio e tv - alle testate on line, blog, social network in un tempo brevissimo). È fondamentale inoltre tenere sempre uno sguardo aperto su quanto succede all’estero sia per quel che riguarda il mercato editoriale, sia per la maniera in cui è gestita la comunicazione; a su quanto fanno gli altri editori, i diretti concorrenti come quelli che fanno cose totalmente diverse dalle nostre!
Puoi parlarci di una tua giornata tipo? Come si svolge la quotidianità di un ufficio stampa in casa editrice?
La giornata tipo di un ufficio stampa include alcuni passaggi insostituibili: lettura dei giornali e dei principali siti di informazione. Un po' di tempo dietro a social network, sguardo sugli interessi personali. Aggiornamento in generale sugli assetti di redazione e sui palinsesti radio tv.
C’è poi la posta ordinaria che stabilisce urgenze e priorità.
Parte di tempo riservata ai libri a cui si sta lavorando (il tempo della lettura che spesso ci accompagna a casa), a conoscere gli autori, a studiare piani di comunicazione.
C’è poi il telefono, altro strumento fondamentale che consiglio sempre di utilizzare in maniera sensata e parsimoniosa. L’assillo è deleterio, da non confondere mai con l’incisività e l’efficacia di una buona strategia, di un’appropriata mediazione dei contenuti.
Ci sono poi i libri da spedire, le schede stampa da elaborare. Riunioni di redazione, presentazioni. L’invio dei comunicati.
E un sacco di imprevisti!, preferibilmente fuori dall’orario di lavoro… copertine che non sono arrivate, interviste che saltano, libri dispersi nelle redazioni dei giornali, sulla scrivania dei giornalisti…
Nel tuo lavoro c’è stato un libro che ti ha regalato particolari soddisfazioni?
Due in particolare, entrambi legati agli anni di lavoro con la Gallucci editore (http://www.galluccieditore.com/index.php?c=home). Nel 2005 ho avuto l’onore e la fortuna di lavorare al primo libro per ragazzi di Rita Levi Montalcini, Eva era africana, Ricordo ancora le due pagine di intervista firmata da Natalia Aspesi. Al tempo Gallucci era agli inizi. Pochi libri in catalogo, ambizioni già evidenti; un lavoro da pionieri. E poi la sua partecipazione alla fiera internazionale del libro per ragazzi di Bologna: un cerimioniale della fiera mobilitato per lei; i bambini che pendevano dalle sue labbra, la televisione. Una grandissima soddisfazione, un’occasione irripetibile.
Nel 2008 c’è stata poi La creazione di Carlo Fruttero, il suo primo componimento per bambini, una produzione importante che ci portò direttamente da Fabio Fazio. Un successo editoriale e di critica unico.
Devo dire di essere stata fortunata: nel corso degli anni ho fatto incontri meravigliosi, Scarpelli e Monicelli che hanno portato Brancaleone ai bambini, artisti di fama internazionale come Fabian Negrin e molti altri ancora. A ciascuno di loro devo un pezzo della mia crescita, della mia maturità. Di questo sono molto riconoscente al mio mestiere.
Durante la tua esperienza che idea ti sei fatta dell’editoria romana? Quali sono i punti di forza e di debolezza rispetto all’editoria milanese?
Conosco molto bene il mondo dell’editoria romana, gli entusiasmi che lo animano, lo slancio che lo accompagna e che lo distingue in iniziative e novità. Ho visto nascere e crescere progetti editoriali, marchi, casi letterari; un fermento che non si è esaurito, tuttaltro: è di pochi mesi l’avvio del L’Orma editore tanto per citarne uno. D’altra parte non potrebbe essere diversamente in un contesto così pieno di sollecitazioni e vitalità culturale. Ma non metterei l’editoria romana in relazione all’editoria milanese nei termini di un confronto. Contesti talmente diversi, un diverso modo di interpretare l’impresa editoriale. Due mondi che ho visto nel tempo avvicinarsi, al di là dei luoghi comuni che rinfacciano a Roma una certa vocazione salottiera in confronto a una Milano più efficiente e attenta ai conti. Non dimentichiamo che Roma ospita decine e decine di marchi editoriali, un festival internazionale e da più di un decennio la fiera della piccola e media editoria, un evento di respiro nazionale. È evidente l’aspirazione a emanciparsi da certo provincialismo che potrebbe all’apparenza patire in confronto alla realtà culturale e imprenditoriale milanese. Al momento poi soffrono entrambe una crisi che sta consumando un sistema.
Negli ultimi anni si è affermato sempre di più il ruolo dei social network. Come deve rapportarsi un ufficio stampa rispetto a questo fenomeno? Come cambiano i rapporti rispetto alla stampa tradizionale?
Come ho detto all’inizio, bisogna stare attenti a questo genere di cambiamenti; farsi trovare pronti a coglierne opportunità senza enfatizzarne il ruolo, ma dirigendo flussi di comunicazione di volta in volta attraverso i canali emergenti (sempre nuovi, sempre in mutazione) e rivolgendosi quindi agli interlocutori che ciascuno di essi riesce a definire in maniera più o meno netta. Facebook, Twitter, Youtube e tutti gli altri hanno potenziato e diversificato la comunicazione; hanno rafforzato gli strumenti a disposizione e offerto la possibilità di gestire la comunicazione in maniera dinamica e autonoma, calibrando e mediando contenuti di volta in volta secondo le possibilità che ciascun titolo, ciascun autore presenta. Se a questo si aggiunge una crisi dell’editoria tradizionale, argomento spinoso e complesso che non sfioro nemmeno, e un incremento delle iniziative dei singoli (firme giovani, firme storiche) che gestiscono siti di informazione, blog, pagine tematiche. Occorre sapersi districare all’interno di una rete fitta di possibilità e di strumenti senza disperdersi. L’ufficio stampa non può prescindere da questa pratica e da un confronto del genere. Il rischio di essere obsoleti è sempre alle porte.
Tu hai avuto la fortuna di lavorare sia nell’editoria per l’infanzia che in quella per adulti. Come cambia in questi due casi il lavoro dell’ufficio stampa?
Partiamo da una considerazione banale ma necessaria. Sono dimensioni progettuali molto diverse, fasce di lettori differenti, ma si muovono entrambe sullo stesso mercato commerciale e di comunicazione; soprattutto afferiscono entrambe alla stessa categoria: letteratura! Questo è il presupposto da cui parto e che ho avuto sempre presente. Se metto in relazione il mio lavoro nell’editoria per ragazzi e a quello svolto nell’editoria per adulti, non trovo differenze di sostanza, d’impegno, di prospettiva. Evidenzio invece lo sforzo che mi accompagna costantemente, ovvero trattare ogni libro come un progetto singolo, differenziare gli interlocutori, uscire dai canali ordinari e tentare sempre strade nuove, essere insomma propositiva. Quello che rilevo invece è un vantaggio (forse un valore) che l’editoria per l’infanzia mantiene intatto su quella per adulti: una dimensione creativa e sperimentale molto più forte e dinamica.
Detto ciò, per rispondere sinteticamente alla domanda: no, non cambia il lavoro di ufficio stampa. La capacità di mediare contenuti e generi differenti sta tutta nel proprio talento professionale.
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