Nazim Hikmet, poeta dei sentimenti profondi
di Lorenzo Giacinto
Il talento assoluto del poeta turco, capace di trasmettere universi interi con la sola forza delle parole, non viene scalfito dal tempo che passa. La sua opera rimane immortale. Così come la forza dei suoi versi che raccontano delle sue navigazioni in mare aperto, attraverso l'oceano dell'esistenza...
Esistono poeti, nella letteratura di tutti i tempi e di tutte le latitudini, che suscitano un vero e proprio effetto di folgorazione, come se si toccasse con le mani un filo dell’alta tensione. Esistono pagine che sono un vero e proprio concentrato di vita, che sudano con la stessa febbre delle passioni umane, e che da quest’ultime traggono, inesauribili, il combustibile per bruciare.
Nazim Hikmet non è solo il più clamoroso successo editoriale di un poeta turco in Italia. E nemmeno, banalmente, la sua versione patinata riproposta puntuale ad ogni San Valentino. Quest’uomo, nato a Salonicco nel 1902, cresciuto all’ombra di un mondo destinato a sfaldarsi e di fronte al quale scelse la semplice fierezza delle genti anatoliche, è un magnifico esempio di attaccamento alla vita, mai infiacchitosi nonostante gli anni di prigione prima e di esilio poi, e le insidie di un cuore capriccioso.
Comunista, Hikmet, ma di un comunismo sempre di persone e mai di sterili proclami. Una fede politica vissuta con lo slancio, a volte ingenuo, di un giovane speranzoso, che non cadde mai nella retorica di uno schema che privilegiasse le parole ai fatti, i programmi politici alle vicende individuali.
Innamorato, Hikmet, di una terra che gli era entrata fatalmente nel sangue, la stessa terra dalla quale, per uno dei tanti paradossi del destino, fu costretto a stare per tanto tempo lontano. Innamorato, Hikmet, delle donne, al punto di dedicarvi tanta parte della sua opera, forse la più preziosa, certo quella che giunge più netta e rapida all’emotività dei lettori.
Le donne, la donna, l’amore. Qui, il poeta turco pare essere vicino ai surrealisti, alla concezione bretoniana dell’amour fou: la passione amorosa diventa, tout court, l’esistenza stessa, e ne detta i ritmi e i respiri, ne suggerisce i colori e gli odori, ne illustra le fasi lunari e le maree. Nei versi d’amore di Hikmet, senti una compressione di vita che si dibatte inquieta, come se un flusso inesauribile di sensazioni, ricordi,oggetti e luoghi fosse catalizzato da un unico e potente centro gravitazionale che l’attrae a sé: la donna amata.
L’amore non fu mai vissuto serenamente da Hikmet. L’esilio, cui la sua attività politica lo condannava, si frapponeva tra lui e il suo oggetto del desiderio, irrevocabilmente. Ma è proprio da questo slittamento fra la passione e il suo compiersi nel mondo, che nascono le pagine più vibranti del poeta. L’amore è spesso cantato con forti accenni di nostalgia, a volte vi si sovrappone, in una luce di rimandi ed echi. E la misura del sentimento amoroso è la distanza geografica, o la solitudine di una stanza d’hotel, la stazione vuota del tram, l’ondulare calmo dei treni. Ma talvolta succede, quando Nazim riesce a specchiarsi negli occhi della sua donna: l’amore diventa un calmo ricomporsi dagli affanni, una forma mentis totalizzante, renitente agli schemi e ai referti cardiaci. Quell’attimo, quasi un lampo di inaspettata verità, prima di un altro commiato, prima di un’altra partenza, un altro treno.
Così, mai l’amore può definirsi cosa compiuta, ma è, piuttosto, parafrasando lo stesso Hikmet, «l’avventura della nave che va verso il Polo». Ed è proprio in quell’avventura, tra evocazione nostalgica e attesa del compiersi dell’incontro, di ritorno dal Polo, che si colloca Hikmet, in una tensione emotiva che è la stessa ragion d’essere dell’amore.
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