Klimt – Alle origini di un mito
di Eleonora Mammana
“A ogni epoca la sua arte, all'arte la libertà”
Frontone del Palazzo della Secessione - Vienna
Domenica 13 luglio si è conclusa, a Milano, l'attesissima mostra su Gustav Klimt, organizzata in collaborazione con il Museo Belvedere di Vienna e curata dal suo vicedirettore, Alfred Weidinger.
Avevo già avuto modo di vedere, anni fa, ad Aosta, alcune opere di questo grande artista, ma si trattava solo di disegni (ne ha realizzati più di 3000!). Non vedevo l'ora, perciò, di trovarmi davanti ai suoi dipinti.
L'esposizione, che si proponeva di indagare i rapporti familiari e affettivi di Klimt, è stata suddivisa in sezioni, ciascuna riguardante un momento saliente della sua esistenza: la famiglia; la formazione presso la “Scuola di arti e mestieri” del Museo di Arti applicate, in cui il maestro apprende le tecniche più svariate, dal mosaico all'affresco, dalla pittura all'incisione; la “Compagnia delle arti applicate”, fondata con il fratello Ernst e il compagno di studi Franz Matsch; la Secessione e i dipinti per l'università di Vienna; i paesaggi; i ritratti e il nudo. Fra una sala e l'altra, poi, sono state strategicamente collocate le tele più rilevanti: Giuditta II (o Salomè, 1909) e Girasole (1906-1907), rappresentative del suo periodo aureo, e Adamo ed Eva (incompiuta, 1917-1918), uno dei suoi ultimi lavori. Da notare anche Ritratto femminile (1894), dove emerge la sua abilità ritrattistica, Dopo la pioggia (1898), Mucche nella stalla (1899) e Bosco di faggi (1902), esemplificativi del suo modo di dipingere i paesaggi, Acqua in movimento (1898) e Fuochi fatui (1903), nei quali si nota il suo interesse per la figura femminile, spesso ambigua e carica di erotismo.
Purtroppo nessun dipinto di quelli commissionati a lui e a Matsch dall'Università di Vienna per le sue sale ci è giunto, essendo bruciati in un incendio durante la seconda guerra mondiale. Sono rimasti, però, e qui sono stati esposti, alcuni disegni preparatori, che Klimt soleva realizzare prima di qualunque opera (a eccezione dei paesaggi), e qualche incisione. Il pittore doveva occuparsi delle allegorie della Filosofia, della Medicina e della Giurisprudenza, ma dopo un lavoro durato anni, decide di restituire il denaro ricevuto e di riprendersi i dipinti, per le accuse di immoralità ricevute. Infatti, invece di seguire le convenzioni dell'epoca e mostrare il trionfo della conoscenza sulle tenebre dell'ignoranza, esprime tutto il suo pessimismo cosmico, peraltro affrontando tematiche tabù come la malattia e la decadenza fisica. Nella Filosofia, infatti, gli esseri umani sembrano essere trascinati senza controllo su se stessi, persi, senza alcuna risposta esistenziale; nella Medicina, Igea, dea della salute, ieratica e indifferente, volta letteralmente le spalle a un'umanità dolente e impotente di fronte al fato; anche in Giurisprudenza, infine, il buio sembra avere la meglio sulla luce.
Un'intera stanza, invece, è stata dedicata alla ricostruzione del Fregio di Beethoven, un'imponente opera realizzata nel 1902 in occasione della XIV mostra della Secessione Viennese. Entrando, la sensazione è stata davvero quella di immergersi nell'opera d'arte totale, massimo ideale dei secessionisti; tre pannelli, infatti, riproducendo le pareti del padiglione Olbrich su cui Klimt aveva dipinto l'allegoria della “Nona Sinfonia” di Beethoven, avvolgevano lo spettatore, inondato dalle note del grande compositore tedesco. Obiettivo del movimento, ufficializzato nel 1897, di cui il maestro è stato tra i fondatori e il presidente, era restituire all'arte la sua libertà. Libertà dall'accademismo, dalla mercificazione, dalla rigida divisione fra arti maggiori e arti minori.
La mostra, nel complesso, perciò, ha offerto un piccolo assaggio del percorso artistico di Klimt, toccandone le tappe principali, ma, a mio parere, avrebbe potuto concedere un po' di più in termini di opere...
In primo luogo mi sarei aspettata qualche altro paesaggio, dato che questi costituiscono ben un quarto dell'intera produzione klimtiana. Quelli selezionati, poi, hanno mostrato alcune delle sue peculiarità, quali l'assenza della figura umana e, soprattutto, la scelta di focalizzare l'attenzione su un solo dettaglio, in primo piano, senza guardare lo sfondo nella sua ampiezza; i dipinti, infatti, sembrano “zoommati”: degli alberi del Bosco di faggi, ad esempio, non viene vista la cima, ma solo la parte centrale. Sono assenti, però, i caleidoscopici giardini di campagna che il maestro amava dipingere en plein air, di cui il Girasole fornisce solo un dettaglio.
In secondo luogo, attendevo alcuni dei ritratti più rappresentativi della pittura di Klimt, nei quali la plasticità dei volti e delle mani delle dame contrasta volutamente con la bidimensionalità dei decori ornamentali, come nel Ritratto di Emilie Flöge (1902), in quello di Fritza Riedler (1906), o nello spettacolare Ritratto di Adele Bloch-Bauer (1907). Magnifico sarebbe stato poter ammirare almeno uno dei dipinti successivi al 1909, caratterizzati dall'influsso delle xilografie e delle ceramiche giapponesi, come il secondo ritratto di Adele Bloch-Bauer (1912).
Posso dirmi soddisfatta, però, di aver potuto ammirare almeno Giuditta II, capolavoro del suo periodo d'oro e, soprattutto, massima espressione della sua “femme fatale” (insieme a Giuditta I, 1901). La figura femminile, altera e sprezzante, seminuda, con le labbra e gli occhi socchiusi, le mani contratte, impigliate fra i capelli di Oloferne, affascina lo spettatore, ma, insieme, gli trasmette un senso di inquietudine. Tutt'attorno si nota una profusione di oro e di decorazioni piane, geometriche, che paiono tessere di un mosaico; l'ispirazione proviene, infatti, proprio dai mosaici bizantini che Klimt ha visto a Ravenna nel 1903. Più che la pia vedova ebrea che ha sedotto e decapitato il capo degli Assiri per salvare la sua città, però, la donna raffigurata sembra Salomè, la bellissima figlia di Erodiade che ha chiesto la testa di Giovanni Battista solo perché questi non aveva ceduto al suo fascino. Talvolta, infatti, questa tela, come anche Giuditta I, compariva proprio con il titolo Salomè, protagonista, peraltro, dell'omonimo dramma scritto da Oscar Wilde e pubblicato nel 1893 con le illustrazioni di Aubrey Beardsley. Ad ogni modo, indipendentemente dal fatto che Klimt abbia voluto alludere all'uno o all'altro personaggio biblico, è indubbio che abbia inteso rappresentare la tipica “femme fatale” di fine secolo, la donna corrotta, irresistibile e distruttrice, in cui le tematiche di “eros e thanatos”, a lui tanto care, ben si fondono.
Sufficiente rilievo, poi, trovo che sia stato dato al tema principale delle opere di Klimt, la donna, se pure anche in questo caso sarebbe stato bello vederne qualche esempio in più. È, infatti, questa la protagonista indiscussa della sua produzione; sia essa raffigurata con le sembianze della “femme fatale”, come in Giuditta II (e I), o con quelle di una creatura magica e ambigua, dalla forte carica erotica, come in Fuochi fatui e Acqua in movimento (ma si vedano anche Bisce d'acqua I e II, 1904-1907, o Pesce rosso, 1901-1902, qua assenti) o sia essa colta nella sua intimità o nell'estasi del piacere, come nei diversi disegni di nudo (o in Danae, 1907-1908, purtroppo non presente nell'allestimento), o ancora sia dipinta accentuandone la sensualità e l'alterigia, come nei numerosi ritratti delle sue committenti. Non stupisce, perciò, che anche un soggetto paesaggistico come il Girasole, venga trattato come un ritratto femminile: il fiore, infatti, sembra un volto e le foglie che rivestono completamente il gambo, disegnando una sorta di piramide, fungono da abito. Quanto all'uomo, compare pochissimo nelle opere del maestro, e quando è presente, normalmente viene sovrastato dalla figura femminile, come in Adamo ed Eva, dove è il corpo abbondante di Eva a occupare gran parte della tela e della scena, lasciando la figura maschile in secondo piano.
Per concludere, credo che l'esposizione sia riuscita anche a fare emergere alcuni dei numerosi tratti che il maestro aveva in comune con l'Estetismo, il movimento sorto alla fine dell'800 all'interno del Decadentismo, il cui massimo rappresentante è stato Oscar Wilde. Non solo la predilezione per la “femme fatale”, tipico personaggio decadente (si pensi alla Salomè di Wilde, già citata prima), non solo il gusto per il piacere e la voluttà (si veda Il piacere, di D'Annunzio) non solo la tematica di “eros e thanatos”, ma anche il culto della bellezza e il concetto di “arte per l'arte”.
Se anche voi, pertanto, nel profondo, vi sentite, come me, un po' esteti, andate a vedere i capolavori di questo grande artista, e se non vi è possibile ammirarli dal vivo, potete pur sempre sfogliare alcuni dei magnifici libri che li raccolgono.
Klimt – Alle origini di un mito
di Eleonora Mammana
“A ogni epoca la sua arte, all'arte la libertà”
Frontone del Palazzo della Secessione - Vienna
Domenica 13 luglio si è conclusa, a Milano, l'attesissima mostra su Gustav Klimt, organizzata in collaborazione con il Museo Belvedere di Vienna e curata dal suo vicedirettore, Alfred Weidinger.
Avevo già avuto modo di vedere, anni fa, ad Aosta, alcune opere di questo grande artista, ma si trattava solo di disegni (ne ha realizzati più di 3000!). Non vedevo l'ora, perciò, di trovarmi davanti ai suoi dipinti.
L'esposizione, che si proponeva di indagare i rapporti familiari e affettivi di Klimt, è stata suddivisa in sezioni, ciascuna riguardante un momento saliente della sua esistenza: la famiglia; la formazione presso la “Scuola di arti e mestieri” del Museo di Arti applicate, in cui il maestro apprende le tecniche più svariate, dal mosaico all'affresco, dalla pittura all'incisione; la “Compagnia delle arti applicate”, fondata con il fratello Ernst e il compagno di studi Franz Matsch; la Secessione e i dipinti per l'università di Vienna; i paesaggi; i ritratti e il nudo. Fra una sala e l'altra, poi, sono state strategicamente collocate le tele più rilevanti: Giuditta II (o Salomè, 1909) e Girasole (1906-1907), rappresentative del suo periodo aureo, e Adamo ed Eva (incompiuta, 1917-1918), uno dei suoi ultimi lavori. Da notare anche Ritratto femminile (1894), dove emerge la sua abilità ritrattistica, Dopo la pioggia (1898), Mucche nella stalla (1899) e Bosco di faggi (1902), esemplificativi del suo modo di dipingere i paesaggi, Acqua in movimento (1898) e Fuochi fatui (1903), nei quali si nota il suo interesse per la figura femminile, spesso ambigua e carica di erotismo.
Purtroppo nessun dipinto di quelli commissionati a lui e a Matsch dall'Università di Vienna per le sue sale ci è giunto, essendo bruciati in un incendio durante la seconda guerra mondiale. Sono rimasti, però, e qui sono stati esposti, alcuni disegni preparatori, che Klimt soleva realizzare prima di qualunque opera (a eccezione dei paesaggi), e qualche incisione. Il pittore doveva occuparsi delle allegorie della Filosofia, della Medicina e della Giurisprudenza, ma dopo un lavoro durato anni, decide di restituire il denaro ricevuto e di riprendersi i dipinti, per le accuse di immoralità ricevute. Infatti, invece di seguire le convenzioni dell'epoca e mostrare il trionfo della conoscenza sulle tenebre dell'ignoranza, esprime tutto il suo pessimismo cosmico, peraltro affrontando tematiche tabù come la malattia e la decadenza fisica. Nella Filosofia, infatti, gli esseri umani sembrano essere trascinati senza controllo su se stessi, persi, senza alcuna risposta esistenziale; nella Medicina, Igea, dea della salute, ieratica e indifferente, volta letteralmente le spalle a un'umanità dolente e impotente di fronte al fato; anche in Giurisprudenza, infine, il buio sembra avere la meglio sulla luce.
Un'intera stanza, invece, è stata dedicata alla ricostruzione del Fregio di Beethoven, un'imponente opera realizzata nel 1902 in occasione della XIV mostra della Secessione Viennese. Entrando, la sensazione è stata davvero quella di immergersi nell'opera d'arte totale, massimo ideale dei secessionisti; tre pannelli, infatti, riproducendo le pareti del padiglione Olbrich su cui Klimt aveva dipinto l'allegoria della “Nona Sinfonia” di Beethoven, avvolgevano lo spettatore, inondato dalle note del grande compositore tedesco. Obiettivo del movimento, ufficializzato nel 1897, di cui il maestro è stato tra i fondatori e il presidente, era restituire all'arte la sua libertà. Libertà dall'accademismo, dalla mercificazione, dalla rigida divisione fra arti maggiori e arti minori.
La mostra, nel complesso, perciò, ha offerto un piccolo assaggio del percorso artistico di Klimt, toccandone le tappe principali, ma, a mio parere, avrebbe potuto concedere un po' di più in termini di opere...
In primo luogo mi sarei aspettata qualche altro paesaggio, dato che questi costituiscono ben un quarto dell'intera produzione klimtiana. Quelli selezionati, poi, hanno mostrato alcune delle sue peculiarità, quali l'assenza della figura umana e, soprattutto, la scelta di focalizzare l'attenzione su un solo dettaglio, in primo piano, senza guardare lo sfondo nella sua ampiezza; i dipinti, infatti, sembrano “zoommati”: degli alberi del Bosco di faggi, ad esempio, non viene vista la cima, ma solo la parte centrale. Sono assenti, però, i caleidoscopici giardini di campagna che il maestro amava dipingere en plein air, di cui il Girasole fornisce solo un dettaglio.
In secondo luogo, attendevo alcuni dei ritratti più rappresentativi della pittura di Klimt, nei quali la plasticità dei volti e delle mani delle dame contrasta volutamente con la bidimensionalità dei decori ornamentali, come nel Ritratto di Emilie Flöge (1902), in quello di Fritza Riedler (1906), o nello spettacolare Ritratto di Adele Bloch-Bauer (1907). Magnifico sarebbe stato poter ammirare almeno uno dei dipinti successivi al 1909, caratterizzati dall'influsso delle xilografie e delle ceramiche giapponesi, come il secondo ritratto di Adele Bloch-Bauer (1912).
Posso dirmi soddisfatta, però, di aver potuto ammirare almeno Giuditta II, capolavoro del suo periodo d'oro e, soprattutto, massima espressione della sua “femme fatale” (insieme a Giuditta I, 1901). La figura femminile, altera e sprezzante, seminuda, con le labbra e gli occhi socchiusi, le mani contratte, impigliate fra i capelli di Oloferne, affascina lo spettatore, ma, insieme, gli trasmette un senso di inquietudine. Tutt'attorno si nota una profusione di oro e di decorazioni piane, geometriche, che paiono tessere di un mosaico; l'ispirazione proviene, infatti, proprio dai mosaici bizantini che Klimt ha visto a Ravenna nel 1903. Più che la pia vedova ebrea che ha sedotto e decapitato il capo degli Assiri per salvare la sua città, però, la donna raffigurata sembra Salomè, la bellissima figlia di Erodiade che ha chiesto la testa di Giovanni Battista solo perché questi non aveva ceduto al suo fascino. Talvolta, infatti, questa tela, come anche Giuditta I, compariva proprio con il titolo Salomè, protagonista, peraltro, dell'omonimo dramma scritto da Oscar Wilde e pubblicato nel 1893 con le illustrazioni di Aubrey Beardsley. Ad ogni modo, indipendentemente dal fatto che Klimt abbia voluto alludere all'uno o all'altro personaggio biblico, è indubbio che abbia inteso rappresentare la tipica “femme fatale” di fine secolo, la donna corrotta, irresistibile e distruttrice, in cui le tematiche di “eros e thanatos”, a lui tanto care, ben si fondono.
Sufficiente rilievo, poi, trovo che sia stato dato al tema principale delle opere di Klimt, la donna, se pure anche in questo caso sarebbe stato bello vederne qualche esempio in più. È, infatti, questa la protagonista indiscussa della sua produzione; sia essa raffigurata con le sembianze della “femme fatale”, come in Giuditta II (e I), o con quelle di una creatura magica e ambigua, dalla forte carica erotica, come in Fuochi fatui e Acqua in movimento (ma si vedano anche Bisce d'acqua I e II, 1904-1907, o Pesce rosso, 1901-1902, qua assenti) o sia essa colta nella sua intimità o nell'estasi del piacere, come nei diversi disegni di nudo (o in Danae, 1907-1908, purtroppo non presente nell'allestimento), o ancora sia dipinta accentuandone la sensualità e l'alterigia, come nei numerosi ritratti delle sue committenti. Non stupisce, perciò, che anche un soggetto paesaggistico come il Girasole, venga trattato come un ritratto femminile: il fiore, infatti, sembra un volto e le foglie che rivestono completamente il gambo, disegnando una sorta di piramide, fungono da abito. Quanto all'uomo, compare pochissimo nelle opere del maestro, e quando è presente, normalmente viene sovrastato dalla figura femminile, come in Adamo ed Eva, dove è il corpo abbondante di Eva a occupare gran parte della tela e della scena, lasciando la figura maschile in secondo piano.
Per concludere, credo che l'esposizione sia riuscita anche a fare emergere alcuni dei numerosi tratti che il maestro aveva in comune con l'Estetismo, il movimento sorto alla fine dell'800 all'interno del Decadentismo, il cui massimo rappresentante è stato Oscar Wilde. Non solo la predilezione per la “femme fatale”, tipico personaggio decadente (si pensi alla Salomè di Wilde, già citata prima), non solo il gusto per il piacere e la voluttà (si veda Il piacere, di D'Annunzio) non solo la tematica di “eros e thanatos”, ma anche il culto della bellezza e il concetto di “arte per l'arte”.
Se anche voi, pertanto, nel profondo, vi sentite, come me, un po' esteti, andate a vedere i capolavori di questo grande artista, e se non vi è possibile ammirarli dal vivo, potete pur sempre sfogliare alcuni dei magnifici libri che li raccolgono.
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