Aspettando novembre prossimo
di Anna Bertini
Lei non risponde mai quando i ragazzi la prendono in giro vedendola sulla strada di fronte all'oratorio dei Cappuccini. Parlottano tra di loro facendo commenti su di lei, e lo fanno per farsi sentire.
"Il nonno la porta al mare la domenica, e le compra anche il Corrierino!”
“Il vestito pare nuovo, chi gliel’ha cucito?”
“Non certo la matrigna, non la può sopportare”
Tiene stretto il “Corrierino dei Piccoli”, e cammina davanti a loro esile ed alta, con la testa fiera.
"Vuoi una menta?" le chiede quello che si chiama Enrico: ha un debole per lei ma non lo dice, per non venir deriso dagli amici. In risposta lei scuote la testa senza voltarsi. Rimane impassibile, non c'è segno di sprezzo o rabbia nei tratti nobili del suo volto.
Il collo lungo ed esile potrebbe essere cinto con una sola mano, e la testa è una piccola sfera, perfetta, quasi geometrica. Dato che è bionda sembra una straniera.
"Allora non è così cattivo il nonno...." dicono.
Per fortuna non ha sentito, è rientrata sul vialetto di casa giusto in tempo perché una folata di vento si portasse via la possibile ferita.
Rimane ad attenderlo appoggiata al muretto di cinta, vicino al cancello. Non sa se aprire già il Corrierino prima che lui arrivi, potrebbe sfogliarlo un po’, ma no, preferisce rimandare a quando sarà sulla spiaggia. Allora si siederanno sul pattino, lui leggerà il quotidiano e lei centellinerà il suo giornaletto; curiosa com'è e assetata di letture cercherà di far sì che le resti da leggere tutta la settimana.
Se avranno fortuna la giornata non sarà ventosa, la sabbia non volerà tra le pagine stropicciando i giornali, e negli occhi, arrossandoli. Se avrà fortuna lui sarà di buon umore, compreranno il gelato, faranno qualche passo lungo la battigia fino all'ultimo stabilimento balneare prima della foce.
I compagni si sono allontanati, li vede entrare nell'Oratorio dall’altra parte della piazzetta. Prima della morte della mamma ci andava pure lei.
Finalmente suo padre esce di casa; ha messo il vestito scuro perché rispetto agli altri è in miglior condizione, ma certo a lei dispiace che indossi proprio quello. Porge lui il quotidiano e abbassa gli occhi. Ci sono formiche tra i sassi del vialetto, ai suoi piedi.
Lui fa cenno con la testa e così si avviano alla fermata del trenino.
Suo padre saluta due uomini all'altezza del chiosco dei fiori; lei abbassa gli occhi.
Salgono a bordo, il trenino è già arrivato, è abbastanza affollato, c'è il sole, un sole ancora flebile di fine inverno ma capace di riscaldare un poco l'aria.
Sa che sul trenino suo padre si addormenterà, lo fa ogni volta purtroppo; succede perché non hanno argomenti di cui parlare spensieratamente, c’è il fantasma della mamma in mezzo a loro. Lei sa già che qualcuno seduto vicino le dirà poi come al solito: "Tuo nonno si è addormentato ragazzina. I nonni! Cosa non farebbero per i nipoti, si levano di buon mattino per portarvi al mare, e magari hanno dormito solo un paio d’ore". Lei si sforzerà di un sorrisetto e abbasserà gli occhi.
Suo padre si è svegliato all'altezza della pineta, peccato non abbia potuto vedere le vele alla foce dell'Arno, erano molte e andavano veloci.
Vorrebbe chiedergli di scendere alla prossima fermata, di rimanere in pineta, in via eccezionale. Ha visto le vele andare veloci, c'è vento sul mare, il suo giornalino si stropiccerà, la disturba sentire le pagine ruvide tra le mani. La pineta è protetta e poi ieri ha piovuto, dopo la pioggia è fragrante, è piacevole leggere anche se c'è ombra.
Lui si è appena svegliato e ha uno sguardo contrito, allora lei non dice niente e la fermata della pineta se la lasciano alle spalle, cominciano gli stabilimenti balneari. Tra poco è la loro volta, si preparano, scendono.
Al suo fianco deve camminare lenta; il viale sta dritto davanti a loro tratteggiato di tamerici, al termine si vedono già le cabine. Queste sono belle, hanno cominciato a rinfrescarne la tinteggiatura a strisce verticali bianco e menta. Grazie alle cabine dimentica la pineta ed è contenta di recarsi alla spiaggia. Però le tamerici si agitano al vento, come piccoli piumini o come lievi struzzi: in un film all'oratorio ha visto gli struzzi, si muovono gli alberi come il piumaggio di quegli uccelli. Il vento viene da terra e porta tutto verso il mare, e comunque è molto educato, solleva piccole ciocche di capelli verso la bocca, appena una polverina sulle labbra, e la sabbia rimane a vorticare in basso nell'aria che confina con la sua superficie, a pochi centimetri da terra.
Suo padre continua a tacere, poi saluta l'uomo accovacciato tra gli attrezzi della rimessa, sfiora passando un barcone di legno biondo, in attesa di essere incatramato.
Il loro pattino sta sempre allo stesso posto, o forse appena più vicino alla battigia adesso che l'inverno sta per finire.
Siedono uno accanto all'altra, lui col cappello, lei con le ciocche bionde che continuamente raggiungono le labbra. Dietro le loro spalle ogni tanto sbatte una tenda di tela tesa tra due file di cabine, e in lontananza si vede qualcuno che cammina verso la foce, lento, per andare forse ad osservare i pescatori di anguille con le loro reti a bilancia.
La panca è asciutta e salata, ruvida al tatto, e gli scalmi arrugginiti non portano remi. I piedi affusolati del pattino fatti apposta per scivolare sull'acqua posano sulla sabbia risparmiando in sé la loro agile forma, affondando appena, tra i granelli.
Dopo essersi guardata attentamente intorno, dopo aver chiuso negli occhi quel paesaggio mansueto e le forme del vecchio pattino che li accoglie, adesso si volta verso di lui attendendo poche parole ma vede che è distratto, e allora inizia a leggere.
Appena la prima pagina ha crocchiato al vento per aprirsi sente il volto di lui diretto sul suo profilo, e capisce: l'attesa che separa lo sguardo dalle parole è in rapporto diretto con qualcosa di doloroso, difficile da esprimere. Dentro di sé sente una fuga, ma la frena, si prepara.
"A Novembre prossimo ti nascerà un fratello, è per questo che la matrigna ingrassa. Io non ho più da essere felice, tu sì lo dovrai amare, lo capisci, non c'entra lui con tutto ciò che è successo".
Lei non risponde, è una ragazzina che difficilmente risponde. E ora stringe forte i denti, le fanno quasi male.
“Mi sono pentito, per tua madre. Era giovane, non sapeva niente della vita, ho sbagliato io a chiederla in moglie a suo padre. Erano poveri, sua madre da poco era morta. Un uomo come me, uno storpio e lei, una bambina. Speravo nel tempo, la gratitudine, ma non si ama per gratitudine. E’ stata onesta, non ha mai detto di amarmi”.
Lei lo guarda un istante, poi ha paura. Getta lo sguardo tra le pagine, uno sguardo scuro, tagliente.
“Un fratello sì, lo si può amare. Certo che non son discorsi da fare a te, sei una ragazzina, ma lo sei poco, e anche questo è colpa mia. A Novembre ti nascerà un fratello, ora si dice fratello ma poi magari è una bambina, come te. Quando parlerà, io sarò già vecchio. Lo son già ora, un vecchio cattivo.” Fa una pausa, toglie il cappello, si asciuga la fronte con il fazzoletto. Lo rimette.
“Sei vuoi fare qualcosa per quest'uomo che è tuo padre, non dico di difendermi, ma non glielo insegnare che sono cattivo, lo capirà quando sono morto. Anche se è figlio della matrigna è tuo fratello. Si cresce male con un padre che è stato in galera. Tu lo sai. A te poi, ho tolto la madre. La legge mi ha assolto ma non la mia anima, lo devi sapere. Te lo devo”
Sembra che abbia finito, la pausa ora è lunga, ma lo sguardo di lei resta infilato nel giornalino. Poi si gira un poco a guardarlo, con gli occhi grandi grandi e tristi. Lui si toglie ancora il cappello e lo appoggia sul grembo.
"Lo so che ti dicono che sono tuo nonno, e si vergognano della tua compagnia”.
Chiude il Corrierino e si alza di scatto. La fuga dallo stomaco le è scesa nelle gambe, ha bisogno di piegare le ginocchia, di progredire coi passi, di sentirsi lontano, da lui, da tutto.
E così si trova ad affondare le scarpe nella sabbia cedevole lungo il fronte del mare, impetuosa e troppo veloce, con un'espressione inaccessibile sul volto.
Lui si è alzato e la segue a fatica accelerando un poco, trascinando quella gamba rigida e esile lungo il confine dell'acqua, lo sguardo disfatto posato come una carezza impossibile sulla figura decisa e gracile di lei, che procede col suo giornale stretto tra il braccio e il busto, a passi troppo ampi persino per le sue lunghe gambe piena di potenza.
Lei ferita, fuggiasca. Lui che prova ancora a sveltirsi, inciampa.
Vorrebbe andare ancora avanti, ancora avanti, ma si è accorta che lui non la segue e allora si volta un momento continuando a procedere, ma poi si ferma. Si gira.
Non si era accorta di come sono grandi le sue scarpe, di come sono goffe. Non lo aveva mai visto così. Crollato su se stesso, i pantaloni sporchi di sabbia e mare, il cappello vicino alla mano e la mano affondata come un ancoraggio sotto la prima sabbia. Non lo aveva visto mai indifeso; non la guarda, non parla, non vede niente, non c'è niente. Lui non sa più dov’è.
Torna indietro verso di lui, gli si avvicina, si china. Comincia a scuotergli i vestiti e lo aiuta a sollevarsi, lentamente. La gamba esile è scivolata di lato come fosse di un burattino, lei la ricompone vicino a lui. Non l'aveva mai toccata, quella sua gamba che lo ha condannato a essere diverso.
Quando si accorge che avverte una piccola energia lo invita a muoversi, a riprendere le forze, a ritrovare la sensazione di essere lì con lei, al loro mare. Non c'è nessuno intorno, nessuno li ha visti, erano soli, lui e lei, le loro ingombranti sfortune: la bambina silenziosa e bionda come una straniera, e suo padre, il vecchio.
Procedono passo dopo passo, scanditi e silenziati dalla sabbia come tocchi di una campana sorda, incedono verso il pattino, non si fermano, lo superano.
Sul tavolato tra le cabine si sente un rumore di passi diversi per peso e ritmo rimbombare nel vuoto. E poi il viale tra le tamerici, piccole folate ventose: gli struzzi-alberi danzano davanti agli occhi un piccolo teatro che li accompagna alla fermata del trenino.
Sopra al treno, in silenzio ma senza dormire, lui ben sveglio di fronte a lei che gli indica il sole alto sulla foce e le vele controvento che faticano a rientrare nel bacino del fiume.
Dal chiosco dei fiori che sta per serrare si incamminano verso casa attraversando le cinque file di case operaie dove viveva la famiglia di sua madre, e dal piccolo ponte sul fosso attraverso i campi raggiungono le villette. A brevi passi sulla ghiaia del vialino, oltre il cancello, lei lo tiene per una manica della giacca fino sulla porta e poi dice: "Vado all'oratorio, a guardare. Sai, non va bene il vestito scuro per il mare, ci vuole una camicia di vigogna coi pantaloni da giardino.”. Lui le fa cenno di sì con la testa ed entra in casa. Lei si avvia.
Arrivata all'oratorio si piazza davanti al portone e guarda i compagni che giocano con la palla, restando fuori.
Quello che si chiama Enrico la vede e la raggiunge.
"Che ci fai qui fuori?" domanda.
"Aspetto Novembre prossimo" le viene da rispondere.
"Che vuol dire?" dice lui.
Lei ha negli occhi ancora i colori del mare, lui si volta per essere sicuro che gli amici non lo guardino.
Si avvicina all'orecchio di lei e mormora: "Posso portarti la cartella domani?"
Lei fa di no con la testa e aggiunge: "Pero' accetto la tua menta!"
"Non ne ho più!”, risponde lui deluso.
"Non fa niente… sai, mi nasce un fratellino, ma forse, è una bimba, anzi te lo dico già ora, è una bimba, come me”.
Correndo, torna verso casa.
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