Senza il mio nome
di Anna Bertini
Invito alla lettura della nuova silloge di Adriana Gloria Marigo.
Poesia è attitudine al pensiero difforme, alla frase in orlo che sfrangia il periodo, o in calce a rivelarne lo scurore, implica l’asse d’equilibrio tra mente e cuore * Adriana Gloria Marigo, Minimalia.
Senza il mio nome, è il titolo della nuova opera poetica di Adriana Gloria Marigo, della quale voglio parlarvi disponendo di questo spazio.
Mi accosto a quest’opera non come critico, con il linguaggio proprio di quella disciplina che non mi appartiene né mi è consono, ma come lettore, e soprattutto, come estimatore della parola dell’autrice, alla quale mi sento legata grazie al meccanismo del “riconoscimento”; lo stesso per tramite del quale mi sono espressa su queste pagine un anno fa circa su Grace Paley. Ad Adriana Gloria sono riconoscente perché lo scambio con lei ha maturato consapevolezze di scrittura che mi mancavano; da lei mi sento riconosciuta, perché ha potuto identificare nel mio esprimere una vicinanza interiore e di creazione che le ha permesso di redigere la nota introduttiva alla mia silloge Profusioni, pur esistendo una sostanziale differenza tra i nostri due modi di espressione poetica. Questo tributo non lo sento come un “dovere di scambio” in alcun modo: lo vorrei ascrivere a quelle comunioni artistiche, quelle conversazioni proficue tra creativi che rimandano al passato, quando il sostenersi e lo scambiarsi intorno alla parola erano parte del processo del divenire autoriale.
Senza il mio nome è un titolo che alcuni hanno sentito come ammantato di arcano, e che ha stretta attinenza invece con la scelta di liriche che l’autrice colloca in questa sua terza raccolta poetica, andata in stampa alla fine dell’anno 2015 per i tipi di Campanotto Editore. Nella lettura è ben rinvenibile il motivo di questa apparente “mancanza di firma”.
Già in “Crescendo l’ora rovente”:
Tutto il tempo affinare il nome
Sull’acuta menzogna esacerbare
di stelle la trafittura d’ossido
crescendo l’ora rovente
farsi sciolta ogni cosa adveniente
primo d’implicanze ancora
essente il nome
e poi nella chiosa al volume;
*
Perdimi, lasciami
ove più non si intessono
fronda e nido -
indietro, alla morgana
mangia i semi di Persefone
dimentica la specie che sono
la cucitura eccellente
sulla veste di festa –
vivere ti è consentito
senza il mio nome.
La Marigo ci porta fuori dal “nominabile”, identificabile e catalogabile in modo certo, prima del tempo o fuori da esso, laddove i fenomeni sono accolti in una vasta naturalità che prelude ogni nascita, ogni eugenetica.
Non vi è un’umanità che è tale perché differenziata, eretta ed eletta, calzata e vestita, e più avanti ancora, distinta a tramite de “la cucitura eccellente sulla veste di festa”, ma esiste un’umanità che si sente appartenente ad un tutto, alla tessitura “di fronda e nido”, che percepisce la rivelazione stellare allo stesso modo della temperatura del giorno che fa “sciolta ogni cosa adveniente”, che è viva come Proserpina quando esce dagli inferi e determina la gemmazione vitale della natura.
Essente il nome, arrivano le “implicanze”, la menzogna che ci separa dal tutto. L’autrice ci invita quindi ad entrare in questo suo cosmo come scalzi, senza nome, prima di esserci nutriti dei semi di Persefone, che ci ancorano all’Ade e alla nostra mortalità. Prima del nome, si è in un tutto, immortali. E si può comprendere appieno il messaggio polifonico del creato, al quale siamo legati tramite un cordone ombelicale che veicola gli strumenti per decifrarlo.
È una natura, come dice Flaminia Cruciani nella sua nota introduttiva, “di sacralità pagana” , nella quale la Marigo si colloca con devozione alla ricerca “dell’invisibile che schiude la parola”.
In: “Di presente acceso”:
Presto sciogliamo le ombre
delle ore acute alla misura
lenta d’umana attesa
presto andiamo ai voti
della luce e da oscure lettere
per numinoso nominare
sorgesse bruciante parola.
O anche a seguire:
*
Evidente l’incuria della parola
alleva un serpentario
facile di morso e veleno
sfoca la soglia al sentimento
in più densa scoria
aggruma contorce involve
il balsamo del terebinto
bianco di taglio
d’issoppo il medicamento
La parola quindi innalzata a rito, bisognosa di numi tutelari per non essere profanata, svilita, per non generare sentimenti bruti, perché essa non sfochi “la soglia al sentimento”.
Comprendo il “lento di umana attesa” proprio come un peggiorativo dovuto all’allontanamento dalla fusione tra lo spazio fisico e quello metafisico, dove il tempo scivola di lato e non più può rallentare, impedire la visione globale e catartica, dove non c’è bisogno di ricorrere alle piante bibliche, il terebinto, l’issopo con le loro stupende assonanze, per curarsi da ciò che “aggruma, contorce, involve”.
La silloge Senza il mio nome ha una potenza epica. È un cosmo splendidamente autarchico ma allo stesso tempo onnicomprensivo. Non ti fa entrare facilmente, ma quando hai scoperto la parola d’ordine e puoi attraversare il limine ti stupisce con visioni, veggenze e rivelazioni, perché in quella dimensione tutto può essere descritto e letto, niente ti deve tirare in basso, togliere la voglia di danzare insieme al creato, far sentire impotente di fronte a una fenomenologia che schiaccia;
“Amor Coeli”
Sovrastati dal suono della luce
Non ci trattengono basse correnti
dove motteggia sempre vero
il tonfo della specie
bassura transitiva di minimo
non accettabile all’inquieto
malleolo in danza.
È la liberazione - certamente ben collocata anche in chiave psicanalitica – dall’ego, che ci permette di avvicinarsi alla parola in modo nuovo, non lontano dal sentimento ma scevro dalla connotazione autoreferenziale.
Nell’interpretazione formale e superficiale del fenomeno invece, la parola si sbiadisce e contemporaneamente perde impeto, forza liberatrice, non consente il volo puro “come a Samotracia la Nike”, la vittoria del sé nella riappropriazione dell’anelito liberatorio, la folgorazione energetica universale che ci fa potenti, luminosi:
*
Fu per l’esiguità di sostanza
La ridondanza di forma
che la parola s’appassionò
alla beltà scandalosa
di un emistichio
dispiegate le ali come
a Samotracia la Nike.
La convinzione di proporre una lettura che nutre e “ala” mi fa qui chiamare l’attenzione del lettore su Senza il mio nome, un’opera non facile, non immediata, ma capace di lasciare segni profondi su chi - abbandonata ogni remora - vi si accosti con necessarie doti di semplicità e apertura.
Adriana Gloria Marigo vive tra Padova e Luino. Dopo gli studi universitari in pedagogia a indirizzo filosofico, ha insegnato nella scuola primaria. Attualmente cura la presentazione di libri e saggi di poesia; scrive recensioni per la rivista online Samgha e, nella stessa rivista, è ideatrice e responsabile della rubrica di poesia “Porto Sepolto”; ha collaborato con Polo Psicodinamiche Prato nell’ottica della relazione tra letteratura e psicoanalisi e con Sebastiano Aglieco in un progetto di poesia per la scuola primaria; scrive nel blog Compitu Re Vivi. Da settembre 2015 è curatrice della collana di poesia Alabaster per Caosfera Edizioni, Vicenza.
Ha pubblicato le sillogi Un biancore lontano - LietoColle, 2009, L’essenziale curvatura del cielo - La Vita Felice, 2012, Impermanenza – plaquette di una poesia illustrata dall’autrice per le edizioni PulcinoElefante, 2015, Senza il mio nome – Campanotto Editore, 2015.
Predilige la diffusione della poesia in una dimensione multidisciplinare e all’interno di altre espressioni artistiche, quali pittura e fotografia: nel giugno 2014 ha presentato a Castelfranco Veneto il lavoro poetico sulle fotografie di viaggio di Imaire De Poli nell’evento “Di Terra e Arte” del Centro di Ricerca Artistica Immaginario Sonoro.
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