Quello sguardo altrove
di Francesca Pacini
La vera libertà è solitudine
(E. Junger)
C'era una volta una pecora che, insieme alle altre, viveva in un recinto spazioso ma, ovviamente, circoscritto. La pecora, inquieta, percorreva la staccionata circolare annusando odori nuovi che venivano dallo spazio intorno. Uno spazio, che alle pecore faceva paura. Ma lei sentiva profumo d'erba fresca, freschissima, diversa dalle solite pappe preparate per il suo gregge, e ascoltava rumori soavi di ruscelli freschi, gioiosi. Voleva vedere. Provò a chiamare le altre, a convicere le pecore a uscire fuori, tutte insieme, per un'escursione di gruppo. Ma le altre pecore risposero: "Noooo, noooo" belando disperate "Là fuori c'è il lupo, e tante brutte cose che non conosciamo. Mille pericoli e ostacoli, brutti mostri cattivi". Ma la nostra pecora non si rassegnava e un bel giorno oplà, saltò il recinto e si inoltrò in quelle terre sconosciute. Terre meravigliose, piene di meraviglie. Terre espanse, libere, selvaggiamente scintillanti di infinite promesse. Tutta felice, la pecora conobbe le acque più fresche dalle quali si abbeverò, brucò l'erba più tenera, si appisolò all'ombra di alberi accoglienti sotto un sole nuovo.
Poi tornò nel recinto per raccontare alle altre tutte le belle cose che aveva visto e vissuto. Ma le dettero della pazza. C'era il lupo, fuori, e molte cose brutte, sconosciute. Non era quella la verità. Era una bugiarda. Una folle.
Così iniziarono a isolare la povera pecora pazzerellona, a farla sentire sbagliata.
E lei, lei continuò a vivere i suoi giorni in cattività, finché il ricordo di quell'infinito si fece sempre più flebile.
Un giorno i pastori, vedendola così pallida, malaticcia, priva di vita, le aprirono la porta del recinto per farla uscire, a patto che non rientrasse mai più. Ma lei, lei, spaventata, si rintanò in un cantuccio fissando con occhi rassegnati e atterriti quello spazio infinito che le aveva regalato i momenti più belli della sua vita.
Chiuse gli occhi, tristissima, e si mise a dormire.
Le pecore "nere" vengono sempre ostacolate, spogliate delle loro visioni, dei frutti prolifici derivati dalla ricerca, dallo spostamento dei soliti, vecchi confini.
E così vivono nella solitudine, nell'emarginazione. Non capite, spesso non volute, cercano di mantenere vivo il ricordo degli spazi interiori nei quali hanno assaporato la libertà dell'essere.
Alcune di loro riescono a mantenere gli occhi vigili. E non si arrendono. Cercano, cercano, finché non salteranno di nuovo la staccionata. Altre, invece, non ce la fanno. Si adattano alle misure ristrette della loro cattività. E quando qualcuno apre per loro la porta del recinto che le tiene prigioniere, scelgono di restare nella mediocre quotidianità dei giorni misurabili e consolidati.
Ma, dentro, sanno. E la loro malinconia ogni giorno farà i conti con la memoria della perduta libertà. E, chissà, un giorno forse, tenteranno di saltare ancora.
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