A teatro con Bertolt Brecht
di Francesca Girardi
La rappresentazione teatrale diventa il luogo in cui si impara a conoscere meglio se stessi. Non è solo partecipazione passiva, ma coinvolgimento totale che raduna domande, riflessioni, stimoli...
Nella vita talvolta condividiamo le idee di singoli ai margini della collettività e talvolta siamo partecipi di una collettività che trascura i punti di vista dei singoli.
“Imparare a essere d’accordo”: quanto possono far pensare queste parole pronunciate dal Grande coro, ovvero tre omini di carta apparsi per brevi istanti in una rappresentazione teatrale…
Una sera, tramite un passaparola, mi è capitato di incontrare Bertolt Brecht o per meglio dire: il teatro di Brecht.
Avete mai sentito parlare di dramma didattico? È una rappresentazione teatrale che, contrariamente a quanto il termine didattico possa far pensare, non è solo inteso come insegnamento, è molto di più.
Tra il 1929 e il 1931, anni in cui sull’Europa soffiava un’aria di crisi che investiva non solo la politica, ma anche le diverse realtà sociali, Brecht si occupò attivamente a questa forma teatrale trasformando le rappresentazioni in uno strumento utile per avvicinare lo spettatore all’attore, rivolgendosi così sia al singolo sia alla collettività.
I drammi messi in scena sono volti a far partecipare attivamente gli spettatori alla ricerca di finali diversi ma che rispondano a un’importante esigenza: trovare il giusto agire nel bene di entrambi, ovvero il singolo e la società.
Se anziché dire “sì” pronunciamo “no”, cosa può accadere? Talvolta si è d’accordo con una decisione perché la si condivide veramente, oppure solo perché è conforme all’espressione “in questa situazione si prevede che ci si comporti così “?
Attorno a queste domande, o meglio riflessioni, ha ruotato l’interessante e originale serata che mi ha visto spettatrice della messa in scena del dramma didattico “IL CONSENZIENTE E IL DISSENZIENTE”.
Ve la descrivo in tutto il suo svolgimento.
La rappresentazione ha inizio: le gentili note di un trombone regalano una rivisitazione blues dell’aria del PROMETEO di Beethoven e accompagnano in scena l’attrice, che inizia a presentare al pubblico i diversi personaggi del dramma. Recita parti di dialogo con diverse tonalità di voci e poi passa all’azione. Un semplice tavolo assume le sembianze di un palcoscenico dove omini bianchi di carta, ovvero i protagonisti del dramma, prendono vita dando inizio a “IL CONSENZIENTE”.
Rapidamente e con leggiadria si svolge la trama: dietro a una casa di carta, si trova un figlio e sua madre, colpita da un’epidemia che ha coinvolto il paese. Bussa alla loro porta il maestro, venuto non solo per accertarsi delle condizioni di salute della donna, ma per comunicare che andrà alla ricerca di medicine per guarire la malattia. Ecco quindi che il bambino intraprendente rincorre il maestro e, incurante del difficile viaggio, chiede di aggregarsi alla spedizione pur di trovare le medicine necessarie a guarire la madre.
Il viaggio ha inizio su uno sfondo rigorosamente di carta che ripropone montagne dai tenui colori pastello. A un tratto, gli omini di carta bianca si fermano concitati e si interrogano sul comportamento più adatto al problema che improvvisamente devono affrontare: il bambino è stremato e non riesce più a proseguire. Subito appaiono sulla scena tre omini di cartoncino, Il grande coro, ed esordiscono così: “Imparare a essere d’accordo, molti dicono di sì e tuttavia non esiste accordo. A molti non è chiesto nulla, altri sono d’accordo nell’errore… Perciò prima di tutto bisogna imparare a essere d’accordo…”.
È una sorta di voce fuori campo che distoglie per brevi secondi l’attenzione da quanto sta per essere rappresentato. La loro presenza viene poi subito inclusa nella scena sostenendo la necessità di comportarsi “nel modo in cui ci si aspetta che ci si debba comportare in questa situazione”. Così, gli studenti che partecipano alla spedizione, incalzano il maestro affinché espliciti al ragazzo la decisione da seguire: abbandonarlo e procedere nel viaggio.
È meglio sacrificare il singolo per proseguire nella ricerca della cura utile alla società. Il maestro di carta bianca si avvicina al bambino e lo informa di come la situazione dovrebbe essere risolta. Il bambino dice “Sì” e gli omini di carta procedono il loro cammino abbandonando il bambino al suo destino.
Subito dopo ha inizio il “IL DISSENZIENTE”.
La stessa mano muove quelli che sembrano gli stessi omini di carta con quella che apparentemente sembra la stessa trama finché, nel momento di difficoltà, quando il maestro propone l’atteggiamento adeguato alla situazione, il bambino dice “No” e, dopo attimi di esitazione, tutti tornano al villaggio senza medicine, ma con il bambino. Proprio in questo attimo finale la mia mente si ricollega a quanto esplicitato dal Grande coro: imparare a essere d’accordo. E rifletto. Certo, il concetto non è poi così difficile e impossibile da seguire, l’espressione essere d’accordo si legge facilmente e si metabolizza subito. Tuttavia, sono le sfumature coinvolte nel pronunciare queste parole a non essere di immediata recezione.
Cosa vuol dire essere d’accordo? Significa rispettare una decisione, magari sostenuta dalla maggioranza anche se non la si condivide pienamente? Essere d’accordo significa condividere un punto di vista, ben illustrato nei dettagli, con tutti i pro e i contro, e quindi essere d’accordo anche se inizialmente, e forse anche dopo, nel profondo, non ci convince veramente …
Si è d’accordo perché si ritiene di doverlo essere oppure di poterlo essere? E mi chiedo ancora: si può o si deve talvolta essere d’accordo? È una possibilità o un dovere?
Con le mie riflessioni, che a inizio rappresentazione non erano presenti nemmeno nel più nascosto angolo della mente, mi accorgo di essere partecipe della rappresentazione e di aver superato quel limite invisibile tra spettatore e attore.
Nel frattempo il dramma didattico è terminato e l’attrice riporta alla memoria vicende reali e contemporanee, nelle quali c’è stato il sacrificio di una vita per salvarne altre, attualizzando così quello che poco prima era solo una rappresentazione teatrale del XIX secolo, che metteva in scena l’angoscioso rapporto tra individuo e collettività.
Dopo i meritati applausi e su invito dell’attrice, il pubblico diviene protagonista e ha inizio il dibattito tra gli spettatori. Questa è stata la parte più originale: persone sconosciute, singoli, hanno iniziato a discutere su quanto Brecht fosse lungimirante nel proporre questo dramma didattico e hanno così regalato le loro riflessioni alla collettività.
Molteplici sono stati i punti di vista espressi, le ipotesi su quanti finali diversi il dramma avrebbe potuto avere e soprattutto: pesa di più la responsabilità del singolo sulla collettività, oppure quella della collettività sul singolo?
Riflessioni che non hanno una risposta certa e sicura perché tutte sono possibili e condivisibili.
Quanto il grande coro, lì raffigurato da tre cartoncini bianchi, è presente nella vita di tutti giorni? E quanto siamo disposti a discostarci da esso per seguire una strada totalmente diversa?
Quanto ci sentiamo studenti che abbandonano un loro compagno per andare a salvare la collettività e quanto ci sentiamo l’omino di carta stanco che decide di sacrificarsi per lasciare il posto agli altri? Oppure la collettività ci prende sulle sue spalle e ci riaccompagna a casa.
Il bello è che, queste riflessioni e il dramma didattico di Brecht, possono essere l’inizio di confronti e discussioni tanto nell’affrontare temi sociali importanti, quanto nell’affrontare una semplice quotidianità un po’ complicata …
(IL CONSENZIENTE E IL DISSENZIENTE di Bertolt Brecht.
Attore, regia e animazione dei personaggi: Annamaria Soldo)
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