Il Dottor Živago: esistenza individuale e collettiva
di Giusy Aliperti
“Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita.”
Un romanzo storico come Il dottor Živago va assaporato. È uno di quei libri che vanno letti con la coscienza di star leggendo qualcosa di importante, qualcosa di unico, una testimonianza di qualcosa che noi, oggi, non possiamo neanche immaginare.
Nel turbinio della vita sopraggiunge la morte: fin dalla sua prima pagina il Dottor Zivago presenta la dicotomia che tiene in vita il romanzo, l’alternarsi vicendevole di un’esistenza sempre segnata da opposte vicissitudini. L’affannoso amore per la vita del suo protagonista, Juri Andrevic Zivago, che impariamo a conoscere e ad amare lentamente, si scontra perennemente con l’afflato della morte che imperversa nel romanzo, scuotendo i personaggi costretti a reinventarsi pur di sopravvivere. L’incedere luttuoso del protagonista apre l’opera:
“Andavano e sempre camminando cantavano eterna memoria, e a ogni pausa era come se lo scalpiccio, i cavalli, le folate di vento seguitassero quel canto”.1
La scomparsa della madre di Zivago dà il la a una storia di amore e guerra, raccontata e dilatata in venti anni; da scenario lo specchio di un paese, la Russia, che si confronta con i demoni interni, la Rivoluzione, ed esterni, la Grande Guerra.
Sembra semplice riassumere il Dottor Zivago, ma non lo è. L’opera si avvale di una complessa struttura personaggesca e con incredibile profondità e verosimiglianza cala i personaggi nel vortice della storia, mostrando magistralmente come storia individuale e storia collettiva siano in fondo un tutt’uno e come, senza necessità di scomodare psicologi ed economisti, le esistenze si intersechino dipendendo le une dall’altra, all’alba di un grande sfondo, senza le quali non sarebbero state quel che sono diventate. Il coro di voci che compone il romanzo parte da lontano: segue un giovanissimo Juri e una giovanissima Lara in vite che sono apparentemente parallele, ma che la storia farà diverse volte incrociare, sfiorare per poi legare fino al tragico e finale dissolvimento.
L’avventura del giovane medico contiene elementi contrastanti: per un verso è possibile notare una sorta di acquiescenza di Zivago nei confronti dell’esistenza, un pacifismo spesso confondibile con l’inettitudine (anche il matrimonio con Tonia sarà effettivamente combinato e non scelto), dall’altra si evincono invece rimasugli di una mente sempre viva e protesa alla conoscenza. Una conoscenza in questo caso dualistica. Di un dualismo che il lettore intenderà sempre in maniera ottimistica e mai al contrario: ambizione di Jura è conoscere lo scibile umano, l’arte come la medicina, la letteratura come la scienza. Emblematico è il passo presente nella parte seconda del libro in cui viene citato Faust, che assurge a simbolo e ad esempio dell’eterna condizione dell’uomo proteso verso il tutto, ma costretto a dover ammettere di non poter conoscere ogni cosa:
“Come vorrei, accanto al lavoro, alla fatica campestre o alla pratica medica, produrre qualcosa che resti, qualcosa d’importante, opera d’arte o scienza che sia! Ogni uomo nasce Faust per comprendere tutto, tutto provare, tutto esprimere. Perché Faust fosse scienziato ci fu bisogno degli errori dei predecessori e dei contemporanei. Nella scienza ogni passo avanti si fa in base alla legge della repulsione, abbattendo gli errori dominanti e le false teorie.”2
La quiete fisica funge da contraltare al suo animo sempre ben disposto verso qualsiasi forma vivente. Unica scossa dal proprio esasperante pacifismo è la conoscenza di Lara: la incontra per caso negli anni e uno strano torpore lo risveglia, ogni volta, dalla propria quiete. In quell’incedere progressivo e vitale del sentimento, si fa strada a poco a poco l’amore di Jura, fino a diventare assoluto e necessario. In maniera diversa si dispiega invece l’esistenza di Lara: angelica per forme e modus vivendi, è costretta a scendere a compromessi con la vita fin da subito. Diventa amante dell’avvocato Komarovskij, sposa il giovane Antipov senza confessargli la verità sul suo passato, convincendolo anzi a cambiare paese.
La sua esistenza sembra portare scompiglio ovunque si trovi, in opposizione a quella del giovane Jura che regala serenità a chi lo circonda.
Il primo incontro tra i due si verifica dinanzi ad un tetro evento:
“Jura si guardava in giro e vedeva le stesse cose che poco prima avevano colpito lo sguardo di Lara. […] Una candela ardeva sul tavolo, una candela ardeva…” sussurrò Jura fra sé. Era il nascere di qualcosa di confuso, di ancora informe. Forse il seguito sarebbe venuto da sé, senza sforzo. Ma non venne.”3
Jura e Lara sono sempre portati ad allontanarsi; la giovane donna lascerà la città per Juratin arrecando un’inconsapevole infelicità nel giovane marito Antipov, “non era lui che Lara amava, lo capiva, ma solo la propria nobile missione verso di lui, la personificazione del suo sacrificio.”4 Da questo momento i fatti narrati si immergeranno maggiormente nella storia del Novecento. Ed è nella storia, nei suoi avvenimenti probanti del secolo nuovo che i due protagonisti si rincontreranno. La Prima Guerra Mondiale prepotentemente accompagnerà e guiderà Lara e Jura nel loro scontro e nella nascita del loro amore: “Il vento muoveva le pagine delle lettere e dei giornali. Si udirono dei passi leggeri. Jurij Andrevic sollevò gli occhi. Era entrata Lara.” 5
Impossibile non riconoscere nel protagonista Zivago un alter-ego di Boris Pasternak. E se alter-ego può apparire un’iperbole, allora è possibile affermare di riconoscere in Zivago una serie di matrici di pensiero appartenenti a Pasternak; come non notare la continua ribellione, il continuo sarcasmo nei confronti delle idiosincrasie interne al comunismo e al suo agire?
“Voi siete sin d’ora invitato alla mia fucilazione”, sono le parole che Pasternak utilizza quando consegna il manoscritto a Sergio D’Angelo, consulente della casa editrice Feltrinelli per l’Unione Sovietica. L’opera è ideologicamente inaccettabile per gli standard russi. Lascia trapelare le lotte interne che si tenevano nel partito comunista, espone mediaticamente agli occhi del mondo un cambiamento poco limpido rispetto a ciò che appariva. Il Kgb segue e spia per anni Pasternak, ma – emblematica della storia che accompagnò lo scrittore – è la sorte che gli toccò quando vinse il Nobel: osteggiato nel suo Paese, non poté ritirarlo e morì due anni dopo in solitudine. 6
E’ quindi impossibile non riconoscere all’interno del romanzo i continui rimandi, il continuo allontanarsi dell’autore/protagonista al modus operandi comunista:
“Questo nuovo era la guerra, col suo sangue e i suoi orrori, la sua barbarie e la vita randagia che imponeva. Erano le esperienze maturate e la saggezza di vita che la guerra insegnava. Erano le città lontane dove la guerra lo aveva sbattuto e gli uomini con i quali l’aveva fatto incontrare. Era la rivoluzione, non già la rivoluzione idealizzata nelle università, maniera 1905, ma l’attuale rivoluzione, nata dalla guerra, sanguinosa, la rivoluzione dei soldati, che se ne infischiava di ogni altra cosa, diretta dai soli esperti di quella furia degli elementi, i bolscevichi.”7
“Finché l’ordine delle cose aveva permesso ai privilegiati di fare stranezze e capricci a spese dei non privilegiati, come era stato facile prendere per originalità e per segno di carattere la stravaganza e il diritto all’ozio di cui la minoranza godeva, sicura della pazienza della maggioranza!”8
“Tutti hanno la mania di verificare se stessi sulla prassi, e gli uomini di governo, invece, per mantenere la leggenda della propria infallibilità, fanno di tutto per voltare le spalle alla verità. La politica non mi dice nulla. Non mi piacciono gli uomini indifferenti alla verità.”9
Altre due sono caratteristiche evidenti nel romanzo: il richiamo all’evangelismo di Tolstoj e la corrispondenza esatta tra mondo fisico e mondo interiore. Il lungo e perenne inverno dell’opera è lo stesso inverno che spegne e contrae l’animo dei personaggi.
Fin dalle prime pagine, lo zio del giovane Jura, NikolaJ Nikolajévich Védéniapin, ex sacerdote, scrittore e filosofo, si fa promotore di un cristianesimo vicino agli uomini, lontano dai tumulti dei preti, capace di avvicinare tutti gli esseri umani per pietas ed egualitarismo. Nobile è la storia e la vita che sceglie di tendere a Dio. Non a caso Pasternak aveva amato Tolstoj e nei suoi anni giovanili gli aveva dedicato pensieri e riflessioni. L’opera è nutrita di sensibilità cristiana per l’accettazione della propria sorte e nel rifiuto della guerra come forma di violenza necessaria per arrivare ai propri scopi.
“C’era la pomposa, morta eternità dei monumenti di bronzo e delle colonne marmoree. Solo dopo Cristo, i secoli e le generazioni hanno potuto respirare liberamente. Solo dopo di lui, è cominciata la vita nella posterità e l’uomo non muore più per la strada, ma in casa sua, nella storia, nel pieno di un’attività consacrata a vincere la morte, dedito lui stesso a questa impresa.”10
Dio che si fa uomo, il panismo che diventa panismo cristiano: Dio in tutte le cose del creato e non solo nell’alto dei cieli.
“Ed ecco che in quell’orgia pacchiana d’oro e di marmi, venne lui, leggero e vestito di luce, ostentatamente umano, volutamente provinciale, galileo, e da quel momento i popoli e gli dei cessarono d’esistere e cominciò l’uomo, l’uomo falegname, l’uomo agricoltore, l’uomo pastore tra un gregge di pecore al tramonto, l’uomo il cui non nome non suonava minimamente fiero, l’uomo celebrato con riconoscenza da tutte le ninne nanne materne e da tutte le gallerie di pittura del mondo.”11
Il Dottor Zivago fu l’unica opera di grande successo di Boris Pasternak (le altre si inseriscono nelle correnti letterarie “modaiole” del secolo): pubblicata per la prima volta in Italia, ha avuto un seguito di portata mondiale. È stato negli anni tradotto in più di venti lingue. L’opera, nel suo apporto finale, si avvale di composizioni poetiche composte dall’autore che, nel romanzo, saranno invece frutto della vena letteraria di Jura, composte nel corso degli anni. Il romanzo non manca – pur non rinnegando lo statuto insindacabile di capolavoro – di mostrare anche una certa vena di romanzesco. Romanzo e romanzesco si tengono insieme con un equilibrio magistrale; il romanzesco (basti pensare al finale dell’opera, la figlia di Lara e Juri, lavandaia durante la Seconda Guerra Mondiale che racconta la propria sorte a Gordon e Dudorov, amici di vecchia data del defunto padre) non intacca il romanzo (il verosimile che non necessita di connessioni e trame sentimentali troppo ardite da feuilleton) che si avvale di una struttura magniloquente, di una scrittura sempre salda e di una sinfonica componente immaginifica. Lo scenario pungente della Russia innevata accompagna, oltre che i personaggi, anche i lettori, è lo specchio di animi sempre oscillanti, sempre pensierosi, di desideri e sofferenze. Paesaggi ed animi sono perpendicolari. Nel suo significato più imminente e profondo, Il Dottor Zivago mostra senza censure l’inutilità e il paradosso di un movimento e di una rivoluzione che furono incapaci, nel quotidiano, di arrecare giovamento – inteso come levigare le sofferenze e distendere la gioia – ad un popolo che si ritrovò poi oppresso dai suoi stessi santi:
“Si accorsero allora che solo la vita simile alla vita di chi ci circonda, la vita che si immerge nella vita senza lasciar segno è vera vita, che la felicità isolata non è felicità”12.
1 B. Pasternak, Il Dottor Zivago, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 9
2 Ivi, p. 233
3 Ivi, p.70
4 Ivi, p. 91
5 Ivi, p.105
6 La storia è raccontata da Paolo Mancosu in Zivago nella tempesta e segue l’intricata vicenda di pubblicazione del romanzo
7 B. Pasternak, Il Dottor Zivago, cit. p.133
8 Ivi, p. 142
9 Ivi, p. 213
10 Ivi, p. 15
11 Ivi, p. 41
12 Ivi, p. 143
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