Se una notte d'inverno
Nessuno sa di noi, Simona Sparaco
di Antonella Sgueglia
Luce è una donna che porta dentro il dolore dell'abbandono, il vuoto dell'assenza. La mancanza dell’affetto di una madre che non ha mai imparato ad abbracciarla, poi la morte del padre e ora l'incomprensibilità di un gesto atroce che nessuna donna vorrebbe compiere. Il feto che porta in grembo è troppo corto, il bambino rischia di non farcela, affetto da displasia scheletrica. Troppe complicazioni e urge una decisione fatale: mettere o no al mondo un figlio con problemi di udito o affetto da nanismo. Come reagire ad una notizia simile? Ormai è giunta alla ventinovesima settimana e in Italia non è lecito interrompere la gravidanza.
Il suo dottore suggerisce un parto prematuro cosicché il feto smetta da solo di vivere, eventualità che accada anche in seguito al parto spontaneo. Parole forti che incendiano lo stomaco del lettore, a cui un medico è preparato e che pronuncia con facilità, proprio come Luce si è sempre mostrata fredda e professionale nella sua rubrica giornalistica. Adesso, però, è la sua vita ad essere sconvolta dalla quale prova a distaccarsi riempiendo la propria mente con dell'altro, soffermandosi su particolari di poco conto; tutto pur di non accettare una realtà sbagliata che sembra non aver deciso lei stessa. Quanti usano questo espediente ingannandosi maggiormente sicché presto riaffiora la cruda realtà a cui non si è mai abbastanza preparati.
La narrazione si muove nei ricordi di Luce tra quelli infantili a quelli adolescenziali per poi giungere al momento cruciale della decisione. Né lei né suo marito vogliono mollare, combattono fino alla fine consultando vari specialisti ma è soprattutto Luce che si affanna in gesti disperati forzandosi di bere più latte perché forse si può ancora sperare, Lorenzo può ancora nascere. Impossibile per una donna accettare che l'impegno di sette mesi sia stato nullo, che Lorenzo non c'è più, strappato alla vita in un ospedale di Londra. Una donna distrutta che non riesce a guardarsi né accettarsi; in fondo è una stanza vuota, come quella del bambino che non entrerà mai in quella casa, oltre ogni previsione iniziale.
Un romanzo forte, che irrompe nella mente con immagini atroci che fanno impallidire. Nelle pagine si avverte la tenacia mista al dolore di una verità inaccettabile. In queste situazioni la donna teme sempre di non aver seguito le regole e si rimprovera cercando di recuperare. Ma Luce è stata perfetta, non ha colpe.
Un innesto di sensazioni penetranti arricchite dalle lettere che Luce riceve per la rubrica giornalistica di cui si occupa, richieste di ascolto, di un consiglio. Ma quanto fa male osservare il mondo da una stella – come scrive una lettrice affettuosa – perché ci si trova troppo in alto per mischiarsi con gli altri che guardano la stessa situazione dal basso? Due punti di vista troppo lontani per confrontarsi e confortarsi a vicenda e nessuno capisce l’altro.
E dei due coniugi cosa ne sarà? È possibile ripartire dal principio dopo un evento tragico? In fin dei conti, come ammette la protagonista, “L’amore è una ferita che non guarisce mai, sempre sul punto di riaprirsi.”
Nessuno sa di noi, Simona Sparaco, Giunti, euro 10,20
Il no di Franca e la libertà di tutte
di Daniela D'Angelo
Il no di Franca e la libertà di tutte
Daniela D'Angelo
Niente ci fu, di Beatrice Monroy, edizioni la meridiana, pagine 112, euro 13,50
Chi è Franca Viola? Chi oggi ricorda la sua storia?
È la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore, diventando un simbolo dell' emancipazione delle donne italiane.
Franca Viola è una adolescente e vive ad Alcamo, siamo nella Sicilia del dopoguerra. I particolari di questa storia, però, si sono sbiaditi, sono andati perduti, spazzati via dal tempo e dalla discrezione della protagonista che ha rilasciato sempre poche interviste e che anche oggi vuole restare in disparte. Ma la memoria, per le donne, è un luogo di riflessione in cui ognuna ritrova se stessa: la memoria di ciò che è e il sogno di ciò che vuole essere. La memoria condivisa può fare molto di più: può rendere consapevoli collettivamente, portare alla luce, cavare fuori dal buio e dal silenzio. E fa diventare le donne e le loro storie una forza di cui tenere conto, una voce da ascoltare. A questo punto non ci sono solo le donne, ci siamo tutti, e ci sono i fatti. Ed è da qui che vogliamo partire, dai fatti accaduti.
Il 26 dicembre 1965 all'età di 17 anni, Franca Viola viene rapita da un corteggiatore di cui ha sempre rifiutato le avances. Si tratta di Filippo Melodia, imparentato con la potente famiglia mafiosa dei Rimi. Filippo, aiutato da dodici amici, trascina con la forza la ragazza in un casolare e qui viene stuprata più volte. Da quel casolare Franca uscirà solo una settimana dopo, grazie a un blitz dei carabinieri. È il 2 gennaio 1966.
Franca, non più vergine, avrebbe dovuto sposare il suo rapitore, per riscattare il suo onore e quello della sua famiglia. Questa era la consuetudine locale, "sostenuta" dalla legge. All'epoca, la legislazione italiana, in particolare l'articolo 544 del codice penale, ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto matrimonio riparatore, contratto tra l'accusato e la persona offesa; la violenza sessuale era considerato oltraggio alla morale e non reato contro la persona.
Ed è a questo punto che Franca Viola si ribella. Dice no al matrimonio riparatore. Il padre di Franca finge di accettare un accordo per liberare la figlia, avvisa i carabinieri e fa arrestare Melodia. Il no di Franca Viola ha creato un precedente, e diventa simbolo di crescita civile del nostro Paese. L'acceso dibattito politico che all'epoca ne scaturisce porta solo nel 1981 alla cancellazione del matrimonio riparatore in caso di violenza sessuale. Poi sulla vicenda cala una cortina di silenzio.
Adesso c'è questo libro di Beatrice Monroy, Niente ci fu, a ricordare quella vicenda che cambiò il costume, e a consegnare una voce alle donne e agli uomini che vogliono essere liberi.
Catalogo dei giorni felici
di Francesca Pacini
Davanti a un libro di poesie ci si interroga sempre sul valore dei versi, oggi, in un mondo che preferisce i banchieri e "uccide" i poeti.
Alcuni di loro, però, non ci stanno. E si fanno sentire. Il loro è un sussurro, non è un grido. Eppure, se lo incrociamo, si fa sentire, lasciando la sua traccia profumata.
Le poesie di Daniela D'Angelo sono veramente intense ma allo stesso tempo leggere, volano sulle ali di parole usate bene, meditate, combinate fra loro secondo felici alchimie.
Raccontano di cose piccole, quotidiane, che diventano momenti "eterni"
grazie alla sensibilità di chi li vive, e ne percepisce la qualità.
Gioie e malinconie, "tagliole e campanelli" sulla porta dell'esistenza, che altro non è se amore.
Il quotidiano diventa un'occasione per aprire spazi inediti fatti di sensazioni, echi e richiami in cui la misura sobria fissa in pochissime immagini una condizione dell'anima, in cui la tristezza è sempre lucida.
E trafigge.
Il "Catalogo dei giorni felici" è un libricino che, ne siamo certi, sarà aperto più e più volte, a cercare di nuovo, scorrendo con il dito, quella poesia che magari oggi, all'improvviso, ci somiglia tanto, e ci dona consigli, ci accompagna, alleata del nostro viaggio.
Pagine che da subito diventano intime, come l'amica con la quale ci confidiamo da sempre.
“Impressioni in penna”… leggendo Erri De Luca…
di Giovanna Vannini
Da lui mi sento presa per mano e insieme a lui ogni volta viaggio, nel “suo” viaggio. La pagina finisce, la pagina si volta e mentalmente assaporo, rielaboro ogni sua parola e lo vedo e lo sento accanto a me, cercando di rimettere insieme come posso, i suoni della sua voce.
Succede, succede per via di quel suo modo di scrivere in prima persona, a voler senza volerlo sottolineare il distinguersi dalla terza; in uso dei tanti, dei troppi.
Se hai deciso di conoscerlo, di provare ad entrarci un po’ in confidenza, leggilo nei suo libri uno dopo l’altro, ascoltatelo nelle orecchie, nelle sue frasi brevi, nei tempi sospesi, in quell’andamento lento in cui prosa e poesia s’alternano, in lingua “madre” (la sua), e un italiano raffinato e crudo che al bisogno preciso ritrovi.
I suoi racconti, le sue storie, sono cantici, odissee personali, narrate da più punti di vista, diverse tra un manoscritto e l’altro, comunque legate a doppio filo con la vita che dentro ci scorre, dove testo e sottotesto si scambiano linfa, si scambiano i ruoli.
E’ un cammino quello che compio con lui ad ogni lettura; a volte sono al suo fianco, a volte un passo indietro, ma sempre rapita, incantata dal suo verbo, curiosa di imbattermi nella prossima emozione in attesa.
Sottolineo le sue frasi e a distanza di tempo le ricerco, e rileggo quei suoi intimi passaggi che ora miei si sono fatti, stimolando il vedere, il sentire, del mio umile “artigianato scrittoreo”.
Grazie menestrello della parola scritta, pittore di simboli grafici, musicista di vocali e consonanti, che all’anima fanno capo, sempre…
Una barca nel bosco di Mastrocola
di Immacolata Iavazzo
Una barca nel bosco di Paola Mastrocola.
In questo libro è narrata la storia di un ragazzo adolescente, cresciuto in un piccolo villaggio di pescatori, figlio di un pescatore. È la storia di un ragazzo come ce ne sono tanti, o forse no. Forse no, non ce ne sono tanti come Gaspare Torrente. Innamorato dello studio fin da piccolo, interessato alla conoscenza delle cose, acuto osservatore, appassionato del latino, traduce Orazio dall’età di tredici anni. Gaspare ha un sogno: diventare latinista. E allora la mamma per permettergli di studiare lascia la piccola isola, una vita monotona e lo porta a Torino. Gaspare nella grande città è solo, è vulnerabile, imparerà presto che la scuola non insegna ma uccide la voglia di apprendere, si guarda intorno e non trova nessuno con cui confrontarsi davvero. Si sente sempre più lontano da tutti, fuori dagli stereotipi predefiniti, sempre più “una barca nel bosco”. Si scontra con la realtà fatta di vestiti tutti uguali, del gruppo, e se non ne fai parte non sei nessuno, così pur di non essere preso in giro inizia a non tradurre più. Gaspare è semplice, di animo sensibile e buono, e rimane sopraffatto da quel mondo che proprio non gli piace. Stando lontano dalla sua isola la riscopre. Senza poter parlare con suo padre, che è rimasto lì per lavorare, attraverso i suoi silenzi, si rende conto di quanto invece lo conoscesse, di quanto le sue piccole abitudini gli manchino. Non diventa un latinista, non diventa niente. Il suo genio, il suo ardore culturale si bloccano, questo mondo non è per quelli come lui... Ma qualcosa succede, una nuova passione lo avvolge, lo rapisce e come in una favola d’altri tempi lo porta fino alle radici più profonde della sua essenza. Riscopre la semplicità delle cose vere, capisce l’importanza del suo essere diverso, migliore, speciale rispetto alla massa e riscopre il bello della vita in un modo del tutto inatteso, al limite del possibile. Una barca nel bosco, di Paola Mastrocola, è questo: una favola moderna, dove un animo semplice incontra una realtà ipocrita ma riscopre il bello grazie alla passione per le cose essenziali e primarie.
Immacolata Iavazzo.
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