Donne e Arte. Tu mi racconti il tuo vedere


Allo Stadtmuseum di Monaco di Baviera è possibile visitare fino a febbraio 2015 una mostra dedicata all’arte delle donne nel passaggio dal secolo XIX al XX.

Questo, l'approfondimento...

http://www.muenchner-stadtmuseum.de/sonderausstellungen/ab-nach-muenchen-kuenstlerinnen-um-1900.html

Monaco sotto il principe reggente Leopoldo è una città d’arte aperta e produttiva. La sua Accademia delle Belle Arti è così rinomata, che persino Picasso si informa per mandare il figlio. Oltre alla formazione, anche il commercio d’arte e l’editoria fioriscono. La risonanza data agli avvenimenti artistici, le personalità dei maestri di arti figurative sono allettanti per moltissimi talenti.

Sebbene l’ingresso all’Accademia delle Belle Arti sia ancora chiuso per le donne, il Movimento Femminile già così attivo nella capitale bavarese e l’iniziativa di molte artiste radunatesi nell’associazione Münchner Künstlerinnenverein fanno sì che venga inaugurata già nel 1884 la prima Accademia d’Arte delle Donne, la Damen-Akademie.

L’associazione femminile oltre ad avere finalità sociali si propone di dare alle artiste opportunità adeguate di coltivare il proprio talento e di ampliare le proprie competenze, usufruendo dell’insegnamento di maestri di chiara fama.

Tra i fondatori e ideatori di questa Scuola di Formazione, che negli anni tra il diciannovesimo e ventesimo secolo conta la partecipazione di artiste del calibro di Gabriele Münter e Käthe Kollwitz (quest’ultima diventerà poi professoressa e primo membro femminile della Accademia Prussiana delle Arti), spiccano i nomi della pittrice austriaca Bertha von Tarnöczy e di Clementine von Braunmühl.

Le personalità di donne artiste che frequentano l’Accademia di Monaco sono tante e di grande interesse è la mostra a loro dedicata allo Stadtmuseum. Questa raccoglie numerose opere pittoriche ma anche di grafica, scultura, design; complementi di arredo, ceramica, fotografia…

Non sarebbe questa la sede per scrivere una guida alla mostra stessa. Sono andata a visitarla e colpita dalla bellezza di alcune opere, ancorché dalla personalità magnetica delle loro autrici, ho sentito il bisogno di dare corpo ad alcune voci e sensazioni che mi hanno “popolato” di fronte alle stesse. L’ho fatto nel modo che più mi si confà, lasciando scaturire narrazioni dall’osservazione intensa dei soggetti artistici.

Darò voce a sei artiste e alle loro opere in questo scritto dal titolo Tu mi racconti il tuo vedere…”

 

Troverete i link alle biografie delle artiste nell’ultima pagina

 

 

TU MI RACCONTI IL TUO VEDERE…"

 

 

Mia sorella Fani, di Ivana Kobilca

1889. Olio su tela

 

Fani, non guardarmi così. Io non ruberò la tua innocente sensualità. Voglio solo testimoniarla. Perché la sento forte, e la sento mia. Il colore di questa sottoveste parla della tua anima, intenso quanto impalpabile: non riesco a dirlo che mischiando le resine, i pigmenti, partendo dal carnato per arrivare più lontano, fermandomi prima che si arrivi al sangue, al carnale. Restituisco il pallore della pelle, lo illumino con lo scuro dei tuoi occhi, con la profondità serena dello sguardo. Sulle tue labbra si posa l’ombra della stanza. Quell’ombra increspa appena il tuo sorriso, che parla di pace interiore e di acume dell’intelletto. Fani, io so usare le mani, capisco con lo sguardo e col gesto; tu hai la bellezza delle menti forti e delicate. La stessa bellezza che esprimi nel corpo.

Ti ho ritratta con le mani nude, in un momento prezioso, vero. Mi hanno biasimato per questo. La società moralista degli uomini può trovare oscenità nella tue braccia coricate sul grembo innocente, nei tuoi capelli lunghi disfatti lungo il fianco, nell’incrocio delle gambe. No, Fani. Niente toglie purezza, niente può essere più rispettoso di questo mio ritrarti. Non ti curare di cosa penseranno, seduta in fronte a me mi hai affidato il messaggio del tuo essere. Lo voglio solo onorare, lo voglio rivelare perché è la somma delle bellezze che conosco, che mi ispirano. Tu emergi dal piano della tela e sembri animata di respiro. Sei la mia piccola musa, Fani.

 

 

duello all'osteria

Duello allOsteria, di Käthe Kollwitz

1888. Gessetto marrone, pennello seppia e spugna

 

Chissà come è stato che il mio maestro, insegnandomi le tecniche della pittura, ha abituato il mio sguardo a vedere. Non so se le mani siano state più abili dopo le lezioni all’aria aperta e quelle nello studio gelato, d’inverno. Mi sono molto applicata per scaltrirle, per diventare una pittrice. Ma no, non credo di esserlo diventata veramente. Io ho imparato a vedere e rappresentare la vita. A capirla. Ho imparato quindi, prima di tutto, a vivere. Mio padre voleva fare di me una pittrice di tavole storiche, io sono diventata una donna che voleva cambiarla la storia, da protagonista. E quando divenni il primo “Professor" donna dell’Accademia di Prussia, in certo senso, fui appagata. Ho voluto però che i più fortunati come me sapessero delle vite altrui, delle sofferenze di chi la storia solo la subisce, e non può ambire a scriverla.

Così fu nel grigiore delle vite tanto diverse dalla mia che spesso sentii più forte la voce di un’ispirazione, di un invito a dire. Lasciai il colore per i neri della china e del carboncino, per l’indefinito del gessetto, osai sfumare tutto, togliere definizione alle linee. Cancellai con la spugna i lineamenti, opacizzai le luci. Lasciai sguardi dietro a un sipario di capelli, soffocai le urla con una mano davanti alla bocca. Volli che un duello potesse sembrare un abbraccio, un abbraccio fosse simile a una lotta. Volli che la vita fosse quello che era. Una grande ambiguità.

 

 

Ragazza allacqua, di Emmi Walther

1910. Olio su tela

 

Come si può rappresentare la morbidezza con la decisione delle linee? È un insegnamento di questo tempo, un tempo in cui mi riconosco. Lo chiamiamo Jugendstil: è giovane, nuovo, osa abbandonare le forme arrotondate, osa divenire esplicito e allo stesso tempo perdere di definizione. Uso colori illuminati e saturi, drappeggio l’eleganza della forma: ho imparato a dare a quella il sentimento che sento dentro, il sentimento delle cose della vita. E’ stata la mia scuola, questo posto nella bassa Baviera: qui ho imparato a dipingere, già in su con gli anni, e ho imparato ad ascoltarmi dentro, prima di rappresentare. Così diceva il maestro: la pittura è l’espressione di pensieri e sensazioni. Ho appreso la modernità, l’ho fatta mia.

Un giorno ho visto una giovane china sull’acqua di uno stagno. Avvolta in un telo, leggiadra e assorta, tutta riflessa negli azzurri e nei crema che la luce le dispiegava intorno. Esile, stupita: semplicemente bella. Ho fermato l’istante in cui si rispecchiava in quell’acqua e rivedeva la sua immagine. E’ diventata il mio quadro più famoso.

Ancora oggi, che ho posato i pennelli e preferisco ricamare le tele con fili di seta e oro, quando la rivedo sono grata del messaggio di bellezza che sprigionava e che ha saputo guidare la mia mano nel ritrarla.

 

 

Sturm, di Katharine Schäffner

1908. Autotipia dal ciclo Una nuova lingua?

 

Mi hanno definito astratta. Forse addirittura potrei annoverarmi tra i fondatori dell’astrattismo in Europa. Ma sono una donna e come tale, nessuno mi ricorda tra i pionieri della nuova forma espressiva.

Astratta. Cerco di capire se in questa categoria, l’astratto, ho voluto operare. Ma poi penso a come concreto era il mio impulso a rendere visibile lo stato d’animo che mi muoveva, ad ascriverlo alla natura intorno, a personificarlo nell’albero stirato, ondulato come una chioma. A quanta persona, quante braccia c’erano in quei rami. A quanti volti, quante anime portava il vento in una sera colma di ombre e poesia. Astratta, cerco di capire l’astrazione nel mio segno, e vedo solo il polso che si muove deciso, consapevole, e genera le linee. Guardo la proporzione del mio lavoro, l’uso dello spazio, la coerenza dei tratti. E’ così difficile creare qualcosa di diverso da quello che l’urgenza interiore ti propone. Cosa c’è di meno astratto del dovere di esprimere?

 

 

Il danzatore Sacharoff, di Marianne von Verefkin

1909. Tempera su cartone

 

Amo le cose che non sono, o che sono solo in me. Che sono scure, blu, che osano. Che sono brutte e poi di nuovo belle, esagerate. Così fu la vita. Così deve restare.

Belletto, sul viso. Un fiore grande e grottesco a forma di farfalla, illuminato nel buio da un cono lontano di luce, che si spinge fin qua e fa la mia mano bianca come quella di un gesso. Qui sono io, il calco di una grande statua, la riproduzione di una forma. Io: me stessa o il ballerino? Il grande guitto, che plasma lo spazio con le sue movenze… Mi fondo a lui e divento energia, perdo peso, mi trasformo. La grande statua si sgretola, mi giro a guardarmi. Cosa è successo? Sono fuori dal dipinto. Resta lui in me, io sono fluida, dispersa. Amo le cose che erano in me, e che non sono più.

 

 

 

Wildenroth, di Elfriede Reichert

1907. Sviluppo su gelatina fotografica

 

Questa corona di impalpabili chiome, svettanti verso il cielo, rammenta la curvatura del globo, restituisce l’idea di stare in piedi su una sfera, in bilico tra aria e terra.

Questi snelli fusti accompagnano il passo, tra fragili fiori di campo, nel verde delle pasture. Sono stazioni incontrate viaggiando sul treno della vita. Non c’è fretta di raggiungere un orizzonte. Fermandolo in un’immagine, avrà smesso di allontanarsi.

 

 

Informazioni sulle artiste

 

su Ivana Kobilca:

http://en.wikipedia.org/wiki/Ivana_Kobilcasu Käthe Kollwitz:

http://it.wikipedia.org/wiki/Käthe_Kollwitz

 

 

su Emmi Walther:

http://www.artfinding.com/Biography/Walther-Emmi/99039.html?LANG=an

 

 

su Katharine Schäffner:

impossibile reperire un sito biografico in italiano o inglese. La Schäffner è considerata tra i primi artisti a fare uso della pittura astratta in Europa. Il lungimirante editore Callwey della Kunstwart Verlag di Monaco di Baviera da alle stampe nel 1908 un quaderno di sue grafiche dal titolo “Una nuova lingua?”. I titoli delle tavole richiamano sentimenti e sensazioni.

 

 

su Marianne von Werefkin:

http://it.wikipedia.org/wiki/Marianne_von_Werefkin

 

 

su Elfriede Reichert:

impossibile reperire un sito biografico in italiano o inglese.

La Reichert è stata forse la prima donna in assoluto ad aver studiato professionalmente fotografia agli inizi del 1900. Il padre, un ricco mercante di Breslau, la iscrive nel 1906 all’Istituto di Studi fotografici dell’Accademia di Belle Arti di Monaco, che solo l’anno prima ha aperto le porte a studenti di sesso femminile.

Anna Bertini -

Appassionata e dedita da sempre alla scrittura e alla musica, è nata in Toscana, a Livorno e si è trasferita nel 1987 a Monaco di Baviera dove ha acquisito il Diploma in Educazione dell'adulto e quello di Lingua Tedesca. Si è dedicata per svariati anni all’insegnamento della lingua italiana per stranieri. Ha studiato Drammaturgia presso la Facoltà di Theatherwissenschaft della Münchner Ludwig Maximilian Universität.

Ha frequentato il primo anno del Master in Tecniche della Narrazione e i corsi di Editing, Critica Musicale, e Scrittura per il Teatro presso la Scuola Holden di Torino (’94-’96). Dal 1996 al 2011 si è occupata di management culturale, fondando le due agenzie Bertini Art Networking e Joinopera. Ha curato le carriere di musicisti e l’organizzazione di eventi e spettacoli, collaborando con molte prestigiose istituzioni e personalità internazionali.

Ha trascorso diversi mesi in Africa per l’adozione della figlia Nathalie, in seguito alla quale ha abbandonando la carriera manageriale. Questi cambiamenti le hanno i consentito di dedicarsi più intensamente alla scrittura, che è diventata così ( insieme alla cooperazione con scuole e istituzioni culturali per seminari e laboratori di espressività e didattica della musica ) più centrale nella sua attività.

Pubblica bimestralmente sulla rivista letteraria La Stanza di Virginia, e bisettimanalmente sul magazine dell’Associazione Onlus Facciunsalto Editori. Sue liriche e racconti sono comparsi in svariate antologie ed ebooks, tra le quali citiamo il IV e VI numero de I Quaderni di Èrato, l’antologia Voci contro la Guerra di Onirica Edizioni, e quella Teorema del Corpo, Donne scrivono l’eros, FusibiliaLibri, 2015.

Ha pubblicato nel 2015 per FusibiliaLibri la silloge “Profusioni”, ( nota editoriale di Adriana Gloria Marigo ). Ha scritto un romanzo e una raccolta di racconti, entrambi in via di pubblicazione.

E’ membro di EWWA European Writing Women Association, e di DVPJ, Deutscher Verband der Pressejournalisten.

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