Sciolti
Fra Cielo e Terra
di Chiara Calabrò
Molti considerano il Medioevo solo come l’epoca oscura. Non è vero. Ci sono stati anche esempi abbaglianti per la forza e la profondità delle riflessioni, e per il coraggio con cui affrontavano il rapporto con Dio e con la realtà Come nel caso di Ildegarda di Bingen. Non era solo una mistica, era anche un medico e un filosofo.
Il Medioevo è considerato dalla maggior parte delle persone come un periodo storico che non offre nulla di interessante. Esso è solamente un’età di mezzo, che separa l’epoca classica da quella moderna. L’uomo della strada concepisce più di mille anni di storia come lugubri, arretrati e bui, come un cielo senza stelle; eppure, se si lasciano abituare gli occhi all’oscurità, si può notare che quel cielo senza stelle è in realtà pieno di tanti punti luminosi. Uno fra questi brilla in modo particolare e rimanda a una monaca vissuta in Germania tra il 1098 e il 1179, Ildegarda di Bingen.
Ildegarda di Bingen è una di quelle donne che suscita sorpresa e curiosità nell’uomo moderno, poiché, oltre a essere una badessa di un monastero femminile, era una mistica, una filosofa e un medico.
Il ruolo di mediatrice tra la divinità e gli uomini permetteva a Ildegarda di assumere in campo sia sociale sia culturale una posizione di rilievo a cui ben poche donne potevano aspirare nel XII secolo. Un esempio può essere rappresentato dall’intervento che ella fece durante la lotta tra papato e impero: con il compito di trasmettere il volere divino, la profetessa intimò all’imperatore Federico di porre fine al conflitto e di accettare l’autorità di papa Alessandro III, altrimenti, in caso contrario, Dio lo avrebbe punito. O ancora, Ildegarda seguì gli ordini divini quando fondò il monastero di Rupertsberg, diventando indipendente da quello di Disibodenberg, causando ai monaci benedettini una perdita di entrate derivanti dalla parte femminile del monastero.
La religione non solo si mescolava alla politica, ma anche alla cultura. Le visioni in cui Dio si manifestava, infatti, rivelavano a Ildegarda conoscenze che solo i più esperti teologi e filosofi conoscevano ed erano in grado di comprendere. Ne conseguiva che le sue tre opere mistiche, Conosci le vie, Libro delle opere divine e il Libro dei meriti della vita, furono accettate dalla comunità intellettuale quali diretta espressione del Verbo divino. Questi testi affrontavano alcuni tra i temi più dibattuti del XII secolo, rivelando, oltre all’ispirazione divina, anche una profonda conoscenza della filosofia precedente e coeva: l’argomento cosmologico, ad esempio, richiamava Agostino, Isidoro, i filosofi di Chartres, Abelardo e le interpretazioni che essi davano al Genesi.
Accanto a una descrizione simbolica dell’universo ne era presente una naturalista, contenuta nella Fisica e in Cause e cure dell’infermità. Nelle due opere l’ispirazione divina veniva meno, ma il linguaggio rimaneva immaginifico e Ildegarda trasmetteva tutte le sue considerazioni in merito alla natura, agli animali e all’uomo. Degna di nota è la concezione secondo cui la vita dell’uomo era influenzata da tutti gli elementi universali, dai quattro elementi (fuoco, aria, acqua e terra), agli animali, dai venti, alle pietre, e Ildegarda così ammonisce il proprio lettore: “uomo, guarda l’uomo! Egli in sé ha il cielo, la terra e tutte le creature, è uno solo e tutte le cose sono racchiuse in lui”. L’essere umano per esistere ha bisogno della natura e questo era un concetto che le era stato trasmesso da Dio e che perciò ricorreva di frequente anche nelle opere mistiche: “Dio ha composto il mondo per mezzo degli elementi, lo ha stabilizzato con i venti, lo ha illuminato cingendolo di stelle, lo ha riempito con tutte le altre creature. E vi ha messo l’uomo, circondato e difeso ovunque dalla grande forza di tutte quante, affinché gli fossero d’aiuto in ogni cosa e avessero parte nel suo operare, in modo che potesse compiere le sue opere con esse, perché l’uomo senza le creature non può vivere, né sussistere”. Piuttosto che esaltare la superiorità dell’uomo sulle altre creature, tali affermazioni vibranti di energia insistevano sull’uguaglianza di valore che era presente tra le due componenti dell’universo, l’uomo e la natura.
Dopo aver brevemente affrontato le opere di cui Ildegarda è autrice, occorre attirare l’attenzione del lettore su una tematica che spesso nel Medioevo era descritta da un punto di vista maschile, ossia quella relativa alla donna. Riservando alla figura femminile alcune tra le pagine più sensibili e intense della storia del pensiero occidentale, Ildegarda si conferma indispensabile per la cultura altomedievale e non solo, rivalutando, inoltre, il ruolo di moglie e di madre che dagli intellettuali era sottovalutato.
Al tempo della profetessa, la donna era considerata un essere inferiore, sia intellettualmente, sia moralmente e sia fisicamente. L’ordine gerarchico la vedeva in una posizione subalterna rispetto all’uomo e Ildegarda non metteva in discussione ciò, poiché era un ordine stabilito da Dio. Tuttavia, si concentrava su altri aspetti della donna e lo faceva attraverso un’interpretazione simbolica e fisica della figura femminile, in opere quali Conosci le vie, Libro delle opere divine e Cause e cure dell’infermità.
Molti teologi medievali avevano insistito sulla maggiore propensione a peccare della donna prendendo come modello Eva, colei che causò la cacciata dall’Eden. Di conseguenza essi si erano concentrati sulla sua debolezza morale, dipingendo le sue discendenti come esseri utili solo alla procreazione, peccaminose e per questo da sottomettere. Ildegarda non discuteva la natura inferiore del genere femminile, tuttavia alleggeriva notevolmente la colpa di Eva, in quanto la prima donna non intuì l’inganno che il serpente stava operando, e infatti così scrive: “l’inganno del serpente era occulto, e si manifestò quando il serpente interrogò Eva per prima su quello che esso non conosceva e la ingannò, poiché lei non ebbe colpa. Ciò che così ebbe inizio nel primo peccato originale proviene dunque dall’inganno del diavolo”. Il primo peccato, quindi, fu commesso per inconsapevolezza e non con convinzione. Inoltre, sebbene la figura della prima peccatrice non si potesse ignorare, la profetessa esaltava la sacralità di un’altra figura, ossia quella materna, che passava attraverso la Vergine Maria: Dio ha stabilito che la Salvazione del genere umano passasse per una donna, un essere inferiore. Che cosa esiste di più santo di una vergine scelta per portare in grembo il figlio di Dio?
Le considerazioni di Ildegarda proseguivano affrontando l’origine fisica della donna. Secondo gli esegeti, la donna era più debole dell’uomo poiché derivava dalla costola di Adamo, e non dalla dura terra con cui il primo uomo fu creato. La profetessa, invece, sottolineava come la donna vestisse “l’uomo con l’opera della sua scienza”, essendo costituita di carne: il sapere che aveva mutuato dall’uomo le permetteva di educare i figli. In questo modo era presente una rivalutazione del ruolo di madre, compito tra i più difficili, e un ulteriore collegamento con Maria.
L’attenzione nei confronti della figura femminile si verificava anche nelle opere più naturaliste del corpus ildegardiano; infatti, erano presenti descrizioni relative al piacere femminile, al rapporto con l’uomo, alla gravidanza, alle malattie che possono insorgere durante questo periodo, al parto e alle sue complicazioni che solo una donna a contatto con altre donne poteva illustrare in modo compiuto e, allo stesso tempo, intenso. Per comprendere meglio la delicatezza con cui la profetessa descriveva il mondo femminile basta leggere brani come questo, dedicato al piacere della donna: “il piacere della donna è simile al sole, che teneramente, lievemente e costantemente pervade del suo calore la terra, affinché dia frutto, perché se vi si riversasse sempre con asprezza, danneggerebbe i frutti più che giovarvi. Così, il piacere nella donna è tenero e lieve, ma con un assiduo calore, per poter concepire e generare la prole, poiché, se restasse costantemente nel fervore del piacere, non sarebbe adatta al concepimento e al parto. Quando, infatti, nella donna insorge il piacere, è più lieve che nell’uomo, dal momento che il fuoco non arde in lei come nell’uomo”.
Ancora, Ildegarda è una delle poche intellettuali che considerava importante la presenza dell’amore fra i due coniugi al momento del concepimento: “quando un uomo sparge il suo seme forte nel giusto amore che nutre per la donna, e le si avvicina, nel momento in cui pure lei nutre il giusto amore per lui, concepirà un figlio maschio (…) assennato e virtuoso, essendo stato concepito con un seme forte e nel reciproco e giusto amore dell’uomo e della donna. (…) Se il seme della donna è debole, ma egli nutre amore per la donna e lei nutre lo stesso amore per l’uomo, verrà procreata una femmina virtuosa”. L’autrice proseguiva con la propria opera esponendo anche il caso contrario, ovvero quello in cui mancava l’amore tra marito e moglie: “se il seme dell’uomo è forte, e tuttavia non c’è amore nell’uomo per la donna, né nella donna per l’uomo, verrà procreato un maschio, perché nonostante tutto il seme era forte; ma egli avrà un’indole amara, a causa dell’amarezza dei suoi genitori; e se il seme dell’uomo è debole e nessuno dei due prova amore per l’altro nell’ora del concepimento, nascerà una femmina di amara complessione”.
Come si può notare, la portata delle parole di Ildegarda è notevole per la comunità degli intellettuali medievali e non solo; infatti, la bellezza delle metafore usate e la sensibilità con cui il mondo femminile è affrontato possono aiutare il lettore odierno a rivalutare il Medioevo come un’epoca in cui potevano coesistere diversi punti di vista in merito alla donna.
Occorre precisare che è inesatto definire Ildegarda come una femminista ante-litteram, perché, come già accennato, ella non discuteva la gerarchia sociale entro cui la donna era relegata, rientrando nell’ordine universale stabilito da Dio. Inoltre, benché nelle affermazioni della profetessa si ritrovi una rivalutazione del ruolo di madre e di moglie, manca tuttavia una dichiarazione di superiorità femminile rispetto all’uomo. Semmai la peculiarità ildegardiana risiede nel fatto che ella considerava il matrimonio come un vincolo sacro in cui i due generi erano reciprocamente complementari; infatti, “il maschio e la femmina sono in rapporto così stretto l’uno con l’altra che l’opera dell’uno è compiuta per mezzo dell’altro: perché il maschio senza la femmina non si chiamerebbe maschio, né la femmina senza il maschio avrebbe il nome di femmina”. Ildegarda proseguiva affermando che “la femmina è l’opera del maschio e il maschio è il volto della consolazione della femmina. Il maschio rappresenta la divinità, la femmina l’umanità del figlio di Dio”. L’esistenza di entrambi, quindi, è strettamente correlata, esistenza che rimanda nel primo caso al Creatore, nel secondo al Figlio fattosi uomo. Per questi riferimenti, ne consegue che i corpi dell’uomo e della donna sono speculari; infatti, così come l’uomo “era stato fatto nell’energia della forza di Dio”, la donna conteneva in sé, “invisibile, tutto il genere umano, che sarebbe stato prodotto nell’energia della forza di Dio”.
Come si può notare da tale breve descrizione, la figura di Ildegarda di Bingen emerge in un mondo, quello del XII secolo, prettamente maschile, e getta una luce in un Medioevo erroneamente considerato buio. Una donna, Ildegarda, che è riuscita a guadagnarsi una posizione di rilievo di cui si è servita per divulgare non solo la Parola di Dio, ma anche le proprie considerazioni su altre donne come lei, offrendo un punto di vista diverso da quello misogino tramandato dagli uomini. Infine, Ildegarda è stata una donna che, essendo il tramite del Signore, ha sempre guardato con distacco la notorietà di cui era investita, definendosi sempre “una povera piccola donna ignorante”.
Se Shakespeare fosse stato una donna?
di Silvia Gaviglio
Se Shakespeare fosse stato una donna? Se provassimo, in poche righe, a immaginare cosa sarebbe accaduto se il grande drammaturgo inglese avesse indossato la gonna, uscirebbe forse un ritratto ironico come questo…
Se Shakespeare fosse stato una donna certamente “Amleto” sarebbe stato donna e gli intrighi di Elsinore sarebbero cambiati non poco. Non uno spettro visibile da sentinelle e ufficiali ma tracce, se e supposizioni. Lo spettro sarebbe stato solo un’immagine, sua soltanto. Perché le donne ai tempi di William – le nobildonne – certo non avevano molto da fare e se William fosse stato una donna Miss Amleto avrebbe intravisto in qualche immagine, in qualche stanza o in quello stesso armadio qualcosa con il quale si sarebbe certamente torturata di pensieri: il tradimento, vero o presunto. (Povera Desdemona, cosa può fare un’immagine ormai insediatasi nelle stanze). Una donna quanto meno lo avrebbe trovato più affascinante da scrivere.
Che dire poi della pazzia di Ofelia? Chissà cos’avrebbe scritto se oltre ad essere donna si fosse anche incontrata in altre epoche con chi le avesse spiegato quel senso di colpa dopo l’uccisione del padre e la soddisfazione del suo desiderio sessuale (nelle stanze sconosciute). No. Una donna non l’avrebbe concesso scrivendo. Nessun desiderio soddisfatto. Ma morte sì. Questa realtà le avrebbe fatto cambiare certamente l’Amleto. Quindi Amleto non sarebbe più Amleto? Ofelia forse. Perbacco! Ma siamo nel 1600!
Shakespeare però è esistito, una fortuna nascere uomo.
Il rammarico è per quella Miss Amleto o Miss Shakespeare. Perché loro sull’inchiostro non hanno lasciato nulla. Questo aumenta il sapore delle immagini, non vi è dubbio; ma in quali profumi annegheremmo ora se le varie Miss Shakespeare non fossero state annientate nei secoli? Quanti significanti e quanti significati?
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