Sciolti

Amleto ai tempi di Internet

di Francesca Pacini

hamlet

C'è una vera novità nel campo editoriale. Un progetto rivoluzionario che nasce dalla creatività e dall'esperienza di Simone Barillari, noto editor e traduttore, molto apprezzato da editori e lettori. Stavolta però la sua sfida si spinge oltre: The Global Hamlet è il primo esperimento di traduzione collettiva che usa il web come luogo di interazione. Una sorta di Wikipedia letteraria, un'idea mai realizzata finora. E i risvolti sono molteplici, come ci racconta Corinna Bottiglieri, pofessoressa di lingua e letteratura latina medievale alla Sapienza di Roma, coordinatrice del progetto a livello internazionale.


Ci racconti cos'è e come nasce The Global Hamlet?

The Global Hamlet è la visionaria chiamata alle armi di tutti i lettori del mondo intorno ad un unico campo di battaglia: il libro-universo da decifrare, dove l’interpretazione del testo, di cui la traduzione è una delle più profonde e caleidoscopiche espressioni, diventa per la prima volta sperimentazione di una scrittura collettiva messa in opera attraverso gli strumenti tecnologici di questo nostro presente.

La storia di Amleto, scelta in quanto uno dei testi decisivi e fondanti della nostra storia e della nostra mente, esistente già prima della scrittura shakespeariana, viene proposta oggi alla comunità il più possibile estesa, quella che il web e soprattutto social network come facebook e twitter raggiungono e coagulano: The Global Hamlet vuole trasformare questa sconosciuta, affollatissima ed eterogenea comunità in un autore, l’autore unico. Se la strumentazione operativa per i lettori chiamati a diventare traduttori ed esegeti è quella dei social network (una speciale applicazione di Facebook, nel nostro caso), il filtro che consentirà alla molteplicità delle proposte interpretative di diventare un solo, nuovo libro mai prima d’ora conosciuto è la supervisione e selezione da parte di un team di traduttori di grande prestigio: in Italia avremo il grande anglo-americanista Riccardo Duranti.

Ho condiviso sin dai primissimi momenti della sua nascita l’idea entusiasmante e visionaria di Simone Barillari, che si è andata via via sviluppando attraverso tutte le risonanze che i confronti e le discussioni con amici, specialisti, esperti di questo o quel settore, sparsi in tutti gli angoli del web, hanno acceso nella costruzione del progetto.

Le valenze e le implicazioni di questa sperimentazione sono a mio parere infinite, e ognuno di noi - nel nostro staff anch’esso di eterogenea formazione - vi aggiunge qualcosa delle proprie competenze, della propria esperienza e delle proprie istanze ideali.

Per dirne solo una tra le tante, credo che l’uso dei social network potrebbe rivelarsi, soprattutto per i giovanissimi, un formidabile veicolo di avvicinamento alla scoperta e appropriazione di un mondo, quello della letteratura, che diventa sempre più lontano e meno interessante.

Tutte le implicazioni, in ogni caso, hanno a che fare con quella che secondo me è la sfida centrale: la quantità, in altri termini la massima estensione, della rete, della folla vs. la qualità, in altri termini la massima profondità, dell’esercizio d’interpretazione del lettore che diventa scrittore.

 

Borges diceva che il libro in realtà appartiene al lettore. In questo caso, al traduttore, anzi, al gruppo di traduttori... Il rapporto tra scrittore, lettore  e traduttore?

Ogni lettura implica un’interpretazione del testo e il testo interpretato è già qualcos’altro rispetto a quello congedato dallo scrittore, come Umberto Eco ha ben raccontato. Dell’interpretazione la traduzione è una delle forme più alte e più ardue, quella, per riprendere Walter Benjamin, che rende possibile la rivelazione della finalità ultima del testo. Con Amleto si va a proporre all’interpretazione collettiva un testo che non è mai stato soltanto quello dello scrittore - e anche del testo shakespeariano sopravvivono versioni differenti -, ma piuttosto quello delle innumerevoli stratificazioni interpretative, non solo della critica letteraria, ma di tutte le ri-creazioni e rivisitazioni drammaturgiche, artistiche, cinematografiche del principe di Danimarca che hanno lasciato una traccia profonda nella nostra memoria culturale. La sua traduzione sarà di conseguenza il riflesso dalle mille sfaccettature di questa memoria, non solo in Italia ma in tutti i Paesi che parteciperanno al primo esperimento internazionale di scrittura collettiva.

 

Web, editoria, partecipazione attiva e corale. Cosa ti auguri per i prossimi anni?

Rispetto agli sviluppi che dovremo ancora vedere la mia curiosità è enorme, ma ho più dubbi e domande che profezie sul futuro.

Sono appassionata utente del web, ma al tempo stesso vengo dalla filologia tradizionale, quella basata sul confronto tra le varianti dei manoscritti e fiduciosa della possibilità di fotografare un testo letterario in un suo momento di vita, non necessariamente quello congedato dall’autore ma spesso - almeno nel Medioevo, che conosco meglio - quello filtrato dall’interpretazione del lettore. Manoscritti che hanno più di mille anni di età e sono ancora lì, con annotazioni di più mani che affollano gli spazi tra le righe e ai margini dei figli e correzioni maldestre o sopraffine, specchio di diverse e mutevoli coscienze linguistiche e letterarie. Potranno il digitale e la rete - soggetti a rapidissime evoluzioni - davvero sostituire la carta stampata? Quale edizione critica è possibile ai tempi di facebook?

Del web mi sorprendono, mi affascinano e spaventano al tempo stesso alcuni tratti apparentemente contraddittori, forse vere e proprie coppie di opposti: l’effimero, l’incontrollabile mutabilità dei contenuti pubblicati, modificabili all’infinito attraverso correzioni, integrazioni e commenti, da un lato e la granitica memoria della sconfinata biblioteca-bacheca del mondo dall’altro, dove materiali disparati possono sopravvivere senza un solido ancoraggio a un tempo e ad una storia. Altra contraddizione: da un lato il web è tecnicamente la più vasta operazione di democrazia di sempre (presupposto: una minima alfabetizzazione), dall’altro la gestione dei contenuti della rete è in larga parte affidata a logiche di mercato (vedi Google), che non si basano su criteri qualitativi. Risultato: tutti possono scrivere e partecipare al web, quanti possono essere conosciuti e letti? E chi potrà essere conosciuto e letto sarà davvero quello che lo merita più degli altri?

Il progetto The Global Hamlet vuole essere anche una risposta a queste domande e io mi auguro davvero che possa aprire la strada ad una diversa possibilità di utilizzazione del web e dei social network, quella della qualità attraverso la quantità, la più grande estensione e la più grande profondità.

 

L'editoria ai tempi di internet. Che succede?

Succede che si fanno ancora libri digitali che sono mere trasposizioni dei libri cartacei, mentre da sempre il cambiamento del mezzo non può che cambiare il messaggio. Il libro è di carta, o non è. La fissità e la finitezza del libro così come l'Occidente lo conosce esige la carta, mentre lo schermo genera un testo illimitato, instabile, ibrido. Con la fine della carta finisce anche la casa editrice, che diventerà, per la frequenza e la funzione del pubblicare, qualcosa di intermedio tra un giornale elettronico e un libreria online.

 

Come sarà accolto the Global Hamlet nella sua patria?

Inizialmente, temo, con la piccata diffidenza con cui sarebbe accolta una moderna edizione della Divina Commedia promossa in Italia da un inglese. Ma nel tempo confidiamo di raccogliere intorno a The Global Hamlet patrocini e personaggi inglesi non meno prestigiosi di quelli che ha già in altri paesi, fino a far dimenticare di chi sia e da dove venga questo progetto: è destino di The Global Hamlet, del resto, essere un’opera che non deve appartenere a nessuno, per poter essere di tutti.

 

Alice delle Meraviglie

di Francesca Pacini

 

Da Fazi c'è un editor al femminile. Una donna che coniuga sorriso e letteratura, e che ama poco certe spocchie intellettuali che viziano gli ambienti culturali. Perché leggerezza non vuol dire superficialità. Lei ce lo dimostra, ogni giorno.

 

La prima volta che ho incontrato Alice di Stefano sono rimasta piacevolmente sorpresa.  Ha un sorriso che contagia, lo sguardo infantile e disarmante di una fatina dei boschi, gli occhi buoni che ti puntano dentro. I suoi modi sono aperti, gentili, ti mettono immediatamente a tuo agio. Mi fa pensare alle nuvole, o a quelle deliziose casette di legno sugli alberi. Ma se qualcuno si aspetta di trovarsi davanti una sprovveduta, si sbaglia di grosso. Alice è una donna intelligente, determinata. E colta. Ma non le piace farlo pesare. Preferisce giocare, divertirsi lavorando. Chissà, forse anche a lei piace la frase di calvino "la leggerezza è una gravità senza peso". La prossima volta glielo chiederò. Intanto, qui ci racconta  la sua avventura editoriale da Fazi.

 

Alice, quando hai iniziato a lavorare nel mondo dei libri? Un colpo di fulmine oppure un amore maturato progressivamente?

Un colpo di fulmine, direi. Prima lavoravo all’università dove, dopo laurea, dottorato e assegno di ricerca, insegnavo letteratura dedicando una particolare attenzione ai nuovi autori e alla narrativa italiana degli ultimi decenni. Il mondo dell’editoria, avvicinato quasi per caso ma presto conosciuto dall’interno, mi ha subito conquistata per l’estrema dinamicità che lo contraddistingue: il continuo confronto col mercato, al di là delle riflessioni puramente intellettuali, costringe a stare sempre all’erta, spesso provocando un sentimento di sfida positivo in grado di aumentare la creatività. È proprio il confronto con i lettori, che emerge chiaro dal riscontro nelle vendite, a dare quel pizzico di sale in più al lavoro rispetto, ad esempio, all’affascinante ma anche più statico mondo dell’accademia.



Il rapporto con la lettura e la scrittura cambia, quando diventa un mestiere. Cosa significa essere un editor? Puoi spiegarlo a chi è affascinato da questa figura professionale?

La difficoltà (ma anche la novità) più grande per me è stata quella di capire l’importanza della necessità di un libro, dell’esigenza cioè di pubblicarlo o meno, a prescindere dal suo contenuto. Il momento, le mode, le tendenze in atto infatti possono grandemente determinare la scelta di un’opera così come la misura del suo successo.

In questi anni, spesso mi è capitato di leggere avidamente i libri in classifica nel tentativo di coglierne i motivi del consenso: ovviamente, non sono mai riuscita a trarne regole certe né il vantaggio che immaginavo a riprova del fatto che l’editoria è un mondo del tutto imprevedibile e dove oggi c’è un bestseller e l’idea di un certo tipo di narrativa, si può star certi che sei mesi dopo il vento soffierà da un’altra parte... L’editoria (a differenza della letteratura) vive nel presente ed è sempre al passo con i tempi.

L’editor è un buon editor secondo me se riesce a fare del bene al libro che ha scelto di curare, sia in termini di risultato estetico (scelte stilistiche, ritmo, lingua, coerenza nelle sequenze narrative, equilibrio delle parti) sia in termini di risultato sul mercato (sempre in proporzione, ovviamente, al tipo di testo trattato).



La tua giornata tipo? E la tua giornata ideale?

Ogni giorno, in ufficio, per prima cosa leggo la posta; poi, do un’occhiata alla rassegna stampa e, se non ci sono riunioni di programmazione o di pianificazione per il lancio di qualche romanzo in particolare, seguo l’andamento dei libri già usciti o mi informo su quelli ancora da pubblicare; dopo aver risposto a un numero sufficiente di mail (tante e varie, con i problemi più disparati e l’immancabile proposta di testi inediti), mi dedico al copertinario per la presentazione delle novità alla rete di promozione - e di conseguenza ai librai -, parlo (se possibile) con gli autori o i loro agenti. A quel punto, e solo se rimane tempo, cerco di leggere qualcosa (sempre che per quel giorno non siano previsti incontri o letture con il pubblico). La verità quindi è che l’editor (almeno io) per leggere con calma e concentrazione ha solo i week end (o i viaggi in treno: fantastici!). Anche per questo, credo, la mia giornata ideale è a casa, in completo silenzio, al computer, magari passando al setaccio un libro, riga per riga, per un tipo di editing puntuale a stretto contatto con l’autore (tramite mail o telefono).

(La mia giornata ideale ideale è all’aria aperta con una lunga passeggiata nel parco o al mare, d’estate, aspettando il tramonto coi piedi nella sabbia).



Come è nata e si è sviluppata la nuova collana le Meraviglie?

Le Meraviglie – contenitore di varia, guide turistiche e fiction - nasce nel tentativo di gestire uno spazio proprio all’interno della casa editrice, un luogo ideale cioè in cui poter assecondare con maggior libertà le mie inclinazioni in fatto di libri e la predilezione, in particolare, per la narrativa dal taglio umoristico. In più, con Le Meraviglie, ho la possibilità di sondare settori finora inediti o almeno poco frequentati alla Fazi come ad esempio quello legato ai viaggi (tentativo già in parte avviato con la collana di guide “per cervelli in fuga” dedicata a chi ha deciso di trasferirsi a vivere all’estero, per un periodo o per sempre).

 


C'è un libro, pubblicato da Fazi, al quale sei particolarmente legata? Ce lo racconti?

Naturalmente quello di mia madre, Cesarina Vighy. Temo però che la storia sia anche troppo nota avendo lei, con L’ultima estate, un romanzo scritto già settantaduenne e gravemente malata di SLA, vinto il Premio Campiello opera prima (per l’edizione del 2009), il Premio Cesare De Lollis (ex aequo con Ugo Riccarelli) arrivando (nello stesso tempo) nella cinquina finale del Premio Strega.

Una vicenda umana, oltre che editoriale, che tuttora mi stupisce per la sua esemplarità e il suo valore.



Un libro "classico",  invece,  che da ragazzina ti ha cambiato dentro, e perchè.

Tanti, davvero. Anna Karenina, Il rosso e il nero, Lolita e poi I Buddembrook, Guerra e pace, Cime tempestose, Orgoglio e preguidizio ma anche Jane Eyre, La fiera delle vanità, Madame Bovary, Bel ami, Il Gattopardo, e, più avanti Gli indifferenti, La coscienza di Zeno, Cent’anni di solitudine, La Storia, ecc. ecc.

Ognuno di loro, ogni volta, faceva risuonare in me sensazioni e sentimenti fino ad allora considerati intimi. In ciascuno, ritrovavo qualcosa di me, cosa che mi faceva sentire parte di una collettività (seppure di un certo tipo), e quindi viva. È stata la scoperta del mondo, la coscienza di non essere più sola.

 


Perché in Italia non riusciamo ad avere lettori forti come in Francia, ad esempio? Cosa ci manca?
Magari non ci manca niente! Qui c’è più sole e la gente, forse, preferisce fare due passi all’aria aperta  piuttosto che leggere un libro: luoghi comuni, certo, ma anche comuni verità. Io, inoltre, non sono di quelli che sostengono la lettura a tutti i costi. In fondo, dovrebbe essere una scelta: una volta ricevuto un buon imput (dalla scuola ma più spesso dalla famiglia d’origine), ci si dovrebbe innamorare dell’esperienza in sé fino a provare un vero e proprio piacere nell’atto di leggere. Quando a Natale, da piccola, mia mamma mi regalava un libro, già scartando il pacchetto (da cui si riusciva a intuire il contenuto), come tutte le ragazzine urlavo, delusa: “Nooooo! È un libro!?!”.



L'editoria oggi: come affronta Fazi le nuove sfide?

Con grinta, direi. L’editore in persona, già un anno fa, si è lanciato in un progetto tutto nuovo, con un blog e una collana di ebook venduti a un euro l’uno (alcuni pubblicati anche in cartaceo). Con questa linea, dedicata per lo più alla discussione economico-politica e al dibattito sull’Europa, abbiamo potuto verificare sul campo la reale portata ed efficacia del “fenomeno ebook”, oltre che studiarlo a tavolino, anche se la produzione digitale non sarà l’unica novità della Fazi né del mercato in generale, avviato secondo me ad una contrazione fisiologica dopo anni di produzione ipertrofica.

Editoria indipendente: quando la forza sta nel progetto

di Francesca Pacini

alessandro orlandi

 

La Lepre è una casa editrice romana che negli ultimi anni si è distinta per la qualità delle sue scelte. Chi fa libri senza far parte dei grandi gruppi che monopolizzano il mercato sa bene come la sopravvivenza sia legata alla forza del messaggio che si trasmette attraverso i libri. Perché malagrado le difficoltà, quello dell'editore è ancora un mestiere che fa sognare molti...

 

Alessandro, quando nasce La Lepre e perché?

La Lepre nasce nell’ottobre 2007 come una s.r.l. per volontà mia e di mia sorella Sabina. Più tardi sono entrati nella società i nostri figli e Silvia Cantarini, che si occupa dei diritti cinematografici. Il sogno iniziale era quello di pubblicare tutti libri di altissima qualità letteraria, libri che proponessero una nuova visione del mondo e  che fornissero chiavi inedite di lettura del futuro. Giudicare se siamo o no riusciti a realizzare questo intento è compito dei lettori.

 

Il libro a cui sei più affezionato?

Senza dubbio “La pazzia di Dio” di Luigi De Pascalis. Un romanzo di formazione che traccia un affresco del periodo storico che va dal 1890 al 1924. La prima guerra mondiale, l'epidemia di spagnola, l'avvento del fascismo, l’affermarsi della civiltà industriale e la massiccia migrazione dalle campagne alle città determinarono una lenta perdita di quella memoria collettiva le cui radici affondano nei millenni. Ai miei occhi il libro di De Pascalis ha il merito di raccontare in modo indiretto, con leggerezza e poesia come il mondo che ci circonda abbia  finito col perdere la sua profondità, la sua “anima”, per dirla con Benjamin, la sua “aura”.

Cosa manca secondo, oggi, all'editoria romana?

Manca la percezione del fatto che i piccoli editori possono ormai sopravvivere solo a patto di unire le forze: le grandi concentrazioni editoriali dettano legge sia in materia di prezzi (la legge Levi sugli sconti è insufficiente), che per la loro forza contrattuale nei confronti delle librerie. L’unico modo di sopravvivere è quello di federarsi, dividere le spese  e creare sia una catena di promozione e distribuzione, che una catena di librerie e magazzini, come quella di cui dispongono Mondadori o Feltrinelli. In Francia è stato tentato con successo qualcosa di simile, ma in Italia prevalgono ancora diffidenza e individualismo.


Cosa significa fare editoria di progetto? Come nasce l'idea di una collana e come si decide di posizionarla nel mercato?

L’idea di una nuova collana  nasce dal proposito di riempire una nicchia ancora vuota nel mercato editoriale. Ad esempio “Fantastico Italiano”, collana della lepre nata nel 2012, intende rivolgersi ai lettori amanti del genere “fantasy” proponendo un “fantastico italiano” di alta qualità letteraria, mentre questo genere viene generalmente considerato letteratura-spazzatura, usa e getta. Per posizionarla nel mercato è fondamentale la promozione, occorre quindi avere ben chiaro qual è il profilo-tipo  dei potenziali  lettori, capire come raggiungerli.

Il lettore: questo grande assente?

I dati sulla lettura in Italia, è inutile nasconderlo, sono molto preoccupanti. In particolare al sud è altissima la percentuale di chi non legge nemmeno un libro all’anno. Un raffronto con le analoghe statistiche relative ad altri paesi europei altamente industrializzati come la Germania, l’Inghilterra o la Francia ci vede in una situazione di grave arretratezza. Solo una azione comune tra il mondo dell’editoria e il governo del paese, che si ponesse come obiettivo l’invito alla lettura, potrebbe modificare questo stato di cose.

Come vedi il futuro del libro? Ci si interroga molto, in questi tempi di crisi?

Per ora gli e-book coprono ancora una fetta non rilevante del mercato italiano, a differenza di quanto è avvenuto nel mondo anglosassone. Ma è prevedibile che in futuro le cose cambieranno.Produrre un e-book è molto facile e i costi sono ridotti In teoria chiunque è in grado di mettere on line un proprio libro senza intermediari . Non è difficile vedere che il  ruolo dell’editore diventerà sempre più quello di un garante della qualità letteraria (intesa anche come editing, correzione bozze, impaginazione). Il marchio di una casa editrice dovrebbe costituire una garanzia sia su ciò che viene pubblicato e contenere una indicazione su una rigorosa linea editoriale. Inoltre qualsiasi editore italiano può ormai mettere on line un libro in qualsiasi lingua e quel libro sarà acquistabile in ogni paese estero. Se le piccole case editrici decideranno di creare una piattaforma in comune per la vendita virtuale  potranno allora rivolgersi al mercato interno e a quello  estero come “piccola e media editoria italiana”. In caso contrario è solo questione di tempo: questo settore è destinato a soccombere, assorbito dalle grandi catene editoriali.

 

La stanza di Daniela

di Francesca Pacini

Daniela Di Sora

 

Nella redazione romana della casa editrice Voland un gruppo di donne, guidate dalla fondatrice, Daniela Di Sora, si impegna a pubblicare libri che coniugano impegno e profondità. Ed è proprio con lei, "l'editora", che discutiamo di creatività e di visione femminile della letteratura. Intorno a questo argomento, difficile non citare anche Virginia Woolf...

 

Conosco Daniela da più di dieci anni, ormai. Da sempre apprezzo i suoi libri, caratterizzati da un preciso intento culturale che ne fa una delle più apprezzate case editrici romane. Con lei stavolta parliamo di donne e letteratura, un argomento che ci appassiona...

 

Essere donna nel mondo editoriale. Una sfida, in un paese ancora piuttosto maschilista rispetto ad altre reatà occidentali...

È un vero paradosso, ma in Italia le donne tengono in piedi il mondo dell'editoria, nel senso che sono quelle che leggono di più, quelle che si occupano di più dei lavori dedicati al libro (gli uffici stampa, le redazioni, gli uffici diritti sono pieni di donne in gamba, efficienti e precise, dedite al loro lavoro con passione e intelligenza), ma i posti importanti, i vertici, come spesso succede, sono quasi sempre occupati dagli uomini. Viviamo in un paese in cui la donna è considerata spesso solo in base alla sua avvenenza, un paese in cui l'ex presidente del consiglio mantiene un suo parco personale di, se non vado errata, 42 fanciulle, un paese in cui ci si permette di fare apprezzamenti sull'avvenenza o meno delle deputate. Un paese in cui, in tempi di crisi, a perdere il lavoro sono per prime le donne. L'imprenditoria femminile è ancora guardata con sospetto, sembra sempre che invece di creare un'azienda tu ti sia voluta dotare di un giocattolo per passare il tempo... E invece tante case editrici indipendenti sono state create da donne, penso a Emila Lodogiani, a Ginevra Bompiani, a Emanuela Zandonai, a Rosellina Archinto...

 

Virginia Woolf diceva che una donna ha bisogno di "una stanza tutta per sé". Tu, come ti trovi nella tua "stanza"? Come l'hai arredata, metaforicamente?

La mia stanza è sempre piena di libri, molto disordinata, piena di varie tecnologie che "annuso". E' piena anche di ricette di cucina che ritaglio ma che quasi mai riesco a mettere in pratica, anche se sono, pare, una buona cuoca (le feste Voland prevedono quasi sempre qualcosa di cucinato da me), ma la mancanza di tempo mi divora.

Nella mia stanza reale c'è un'intera parete con tutta la collezione della BUR, in realtà appartiene al mio compagno (suo zio l'ha inventata, la BUR) ma io idealmente la sento mia, è il mito della mia giovinezza quella collana, così ho sempre amato e pensato i libri: essenziali, ottima cura, ottime traduzioni, autori imprescindibili, di tutti i paesi.

 

La tua casa editrice è composta esclusivamente da donne. Come nasce questa scelta? Che differenza c'è a tuo avviso con le redazioni "miste" o quelle a prevalenza maschile?

In realtà non è una scelta. Non voglio sembrare una "maschilista" al contrario. Tanto più che recentemente è entrato a far parte della redazione un ragazzo, giovanissimo ed entusiasta. Trovo però che in genere le donne siano più dotate della pazienza e della caparbietà necessarie per occuparsi di un libro, e devo confessare di non amare la sfrenata competitività che a volte si scatena in campo maschile.

In ogni caso, come dicevo, quello dell'editoria è un mondo prevalentemente femminile e i curricula che ricevo sono in prevalenza di donne.

 

Le donne sono sempre state fedelissime della lettura. Secondo te, perché?

Credo che l'evasione, il sogno, siano componenti essenziali della natura femminile. E cosa ti trasporta in una dimensione diversa di un libro? Cosa ti permette di sognare più di un libro? Cosa altro ti offre la possibilità di mille vite, di mille avventure, di mille sensazioni?

 

Scrittori e scrittrici, uomini e donne. Come la scrittura, secondo te, rispecchia due modi diversi di "percepire" il mondo? La narrativa "al femminile", di cui si parla sempre, è un luogo comune, banale, o una verità?

Devo dire che non amo troppo e non condivido questa distinzione, pur nella certezza che c'è un modo diverso di percepire il mondo, più morbido, più intuitivo, più percettivo per una donna. Forse più lucido e concreto per un uomo. Ma è la scrittura che tutto unifica, la scrittura non è né maschile né femminile, la scrittura è o non è. Se percepisco una pagina come scritta in modo "femminile" o "maschile" mi innervosisco.

 

Quando pensiamo ai grandi ritratti di donne dipinti da scrittori del calibro di Dostoevskij non possiamo non pensare a come il vero scrittore sia comunque universale, capace di valicare qualunque "identità di genere" nel creare i suoi personaggi...

Basta pensare ad Anna Karenina di Tolstoj, uno di più grandi e meravigliosi ritratti dell'animo femminile, a mio giudizio. D'altronde il romanzo breve Chlostomer, sempre di Tolstoj, racconta la vita umana dal punto di vista di un cavallo, e non l'ha scritto un cavallo...

 

La tua scrittrice preferita, e perché?

Le mie scrittrici preferite sono due: Marina Cvetaeva e Anna Achmatova. Due poetesse russe di grandezza infinita. La Cvetaeva peraltro si innervosiva tantissimo quanto la chiamavano poetessa, lei voleva essere definita "poeta" e basta.

Mi piacerebbe chiudere con Virginia Woolf, alla quale si ispira il titolo di questa rivista. Penso al suo "Se Shakespeare fosse stato una donna...". Prosegui tu.

Magari avremmo avuto un Otello dal punto di vista di Desdemona, persino un po' stufa di tutti quei sospetti e di tutte quelle insinuazioni. Forse anche  un finale meno truculento. Ora che ci penso soprttutto Caterina sarebbe rimasta felicemente bisbetica e nubile, e al diavolo il matrimonio.

Ma poi magari Shekespeare era proprio una donna, chissà...

Uno sguardo sull'Islam

di Islam Fawzi

Uno sguardo sull’Islam

La religione del Corano è spesso frutto di malintesi dovuti agli estremisti e alle intepretazioni deformi di gruppi di fanatici.Invece è bene sapere che…


Di solito l’Islam viene mal giudicato in Italia, in Europa e, in generale, in Occidente. Gli occidentali guardano spesso i lati negativi che in realtà non appartengono all’Islam ma solo ad alcuni musulmani che praticano questa religione in modo sbagliato.

C’è chi dice che il Corano è il nemico dell’Occidente. Tra le persone più famose che hanno odiato l’Islam c’è Oriana Fallaci, che dichiarò: «Se mi puntassero una pistola e mi dicessero di scegliere chi è peggio tra i musulmani e i messicani avrei un attimo di esitazione; poi sceglierei i musulmani perché mi hanno rotto le palle».

Però fortunatamente, ci fu un altro gigante del giornalismo, Tiziano Terzani, che rispose alla Fallaci: « Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata... Davvero mai come ora, pur vivendo sullo stesso pianeta, ho l'impressione di stare in un mondo assolutamente diverso dal tuo.
Per difendersi, Oriana, non c'e' bisogno di offendere (penso ai tuoi sputi ed ai tuoi calci). Per proteggersi non c'è bisogno d'ammazzare. Ed anche in questo possono esserci delle giuste eccezioni. ...

La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo... Guarda un filo d'erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia. Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace.».

Sono le due diverse opinioni di due italiani nati in Toscana. Non vorrei commentare i loro pareri, ma vorrei che ci pensaste da soli, ragionando. Leggete tutti e due e cercate di capire senza nessun pregiudizio. Pensate a tutti i musulmani e non solo a quelli che chiamate terroristi. L’Islam non è mai stato nemico di pace né di altre religioni; è nemico dell’ingiustizia.

L'Islam è principalmente una religione di pace. Il suo nome, “Islãm”, deriva da ”silm” che possiede due significati: uno è “sottomissione volontaria al volere di Dio” ed il secondo è “pace.” Entrambi i significati sono interconnessi.
L’Islam è una religione piena di valori umani che servono alla vita migliore; è una religione che apprezza la donna, al contrario di quello pensano gli occidentali, non accetta la prostituzione e mette delle norme che regolano la vita di uomini semplici: è un sistema di vita.

È chiaro che dal punto di vista coranico le donne sono diverse dagli uomini, ma ogni genere ha i proprio diritti e i propri doveri a seconda delle sue caratteristiche. Il Corano non accenna mai che la donna è la porta del diavolo e non accenna che l’uomo è l’immagine di Dio; gli uomini e le donne sono creature di Dio. Il ruolo della donna sulla terra non è limitato soltanto al parto; è tenuta a fare tanti altri lavori buoni come qualsiasi altro uomo. Abbiamo anche la figura della vergine Maria che è un modello per le donne nell’Islam, oltre all’esempio della donna di Faraone.

Perché si convertono all’Islam tante persone fra cui ministri, uomini d’affari, donne? Forse perché trovano nell’Islam quello che non hanno trovato altrove. Malgrado ciò l’Islam non porta odio a nessuno; si difende quando lo reputa necessario: se qualcuno ti attacca, ti devi difendere, altrimenti morirai.
Consiglio tutti gli amici italiani di leggere e cercare di capire il Corano e interpretarlo alla maniera giusta. Che non è quella estremista.

Abbiamo un esempio notevole della tolleranza del Messaggero di Allah: Maometto aveva un vicino di casa ebraico che gli metteva spine e immondizia davanti alla porta di casa, ogni mattina. Una giorno Maometto non trovò queste solite cose. Che fece?  Chiese del vicino e venne a sapere che stava male. Quindi lo andò a trovare. Una visita di cortesia che meravigliò l’uomo a tal punto che divenne musulmano. Un altro esempio molto famoso è quello della vittoria di  Maometto contro gli infedeli della Mecca, che lo volevano uccidere. Il profeta islamico fu inviato per la misericordia di tutto il mondo; dopo la vittoria domandò loro: “Cosa pensate che farò con voi?” Loro risposero: “Sei un generoso figlio di un generoso”. Il  messaggero di Allah rispose: “Andate che siete liberi”.

Pensiamoci un po’: l’Islam non dice mai di uccidere una persona ingiustamente. Non possiamo giudicare male nessuno. Siamo tutti sulla stessa barca.

 

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