Sciolti

Barbari contro

di Patrizia Bilardello

Barbari contro

ovvero Marsala, dove Cristiani e Islamici pregano insieme

 

barbariIn questi giorni di estate mediterranea, scandita da calde brezze marine, ti viene voglia di chiudere la mente, di far calare un sipario, per non sentire l’inutile cicaleccio a cui ti sottopongono i vari Tg e talk-show.

Ascoltare le varie voci della politica, urlata, derisoria, offensiva, blanda, incapace, ignorante, mai incisiva e diretta, se non per urlare false indignazioni, è veramente deprimente.

Sono questi i momenti in cui la mente si sofferma su fatti che passano come fuochi d’artificio. Uno dopo l’altro, illuminano il buio per pochi secondi, ci fanno esclamare di meraviglia, ma, alla fine, cadono definitivamente nell’oblio.

Sono molti i fatti che sarebbe necessario approfondire, ma, alcuni di questi hanno attirato particolarmente la mia attenzione: la visita del Papa a Lampedusa; l’uccisione di 42 bambini in una scuola laica in Nigeria da parte di un gruppo fondamentalista islamico; il battesimo, in una chiesa della nostra città, di due bambini.

Le parole dure e dirette di Papa Francesco, sono entrate direttamente nel cuore del problema. Ma non erano dirette solo a noi italiani, che, a parte poche frange estreme, siamo sempre pronti ad aiutare i più bisognosi, come fa continuamente la gente di Lampedusa e, in passato, i cittadini pugliesi. Le parole di rimprovero forte del Papa erano dirette ad un’Europa, che nel corso degli anni ha sempre trattato il fenomeno migratorio come un approccio di sicurezza pubblica, lasciando sola l’Italia e preoccupandosi solo di blindare le frontiere in modo che gli immigrati non si potessero sparpagliare nel Vecchio Continente. È un atteggiamento anti-storico, che si rifiuta ostinatamente di considerare l’immigrazione per ciò che realmente è: una componente di un processo più ampio di libertà di movimento e contaminazione, che si sta affermando per le merci, per i capitali ed anche per le persone.

Una persona migra verso altri lidi perché conta di assicurarsi un’opportunità di vita migliore: lo stanno facendo i nostri giovani oggi, schiacciati dall’immobilismo nazionale e dalla mancanza di prospettive lavorative, e lo stanno facendo anche le classi dirigenti che de-localizzano e spostano personale europeo, anche altamente qualificato, laddove vi sono maggiori opportunità di valorizzazione.

Qualcuno si sognerebbe mai di fermare questa migrazione?

Il fenomeno migratorio è un processo che riguarda la lotta alla povertà, certo, ma anche la visione di un mondo dove ciascuno avrà il diritto di vivere ed operare dove meglio crede e dove ritiene di avere maggiori opportunità personali e professionali. L’elemento fondamentale è una politica europea che dia norme e regoli il diritto ai cittadini di vivere nel mondo, superando nazionalità, appartenenze religiose e culturali. Questo è il monito e, nello stesso tempo, l’invito di Papa Francesco.

Tutti abbiamo applaudito alle parole del Papa, ma, spesso le persone quando sentono parlare di Islam, pensano che non possa mai esserci integrazione. Non è così. Il problema dell’Islam è legato spesso ad una interpretazione multiculturale dei precetti religiosi islamici o comunque anche ad una interpretazione di origine politica. Infatti, anche nei secoli passati e non solo in oriente, la religione è stata utilizzata come strumento di controllo delle masse. Oggi le cose stanno cambiando, i giovani, musulmani e non, si stanno rivoltando contro quei poteri tirannici che nulla garantivano, governi sui quali non pendeva alcun obbligo ma solo diritti. Ovviamente un bel passo avanti devono farlo anche i paesi occidentali nel varare leggi che favoriscano l’integrazione sociale anche con leggi di integrazione religiosa

L’integrazione è necessaria per garantire lo sviluppo della personalità umana, e la religione può essere uno dei tanti fattori di integrazione sociale e culturale: questo ruolo di integrazione che le religioni possiedono ritorna periodicamente al centro dell’attenzione in situazioni di profondi e radicali cambiamenti. Questo ruolo si può manifestare in diversi modi: all’interno di una cultura la religione può celebrare e rinnovare, ad esempio, la coesione sociale attraverso i riti, oppure può costituire il luogo dell’integrazione di divinità e culti più o meno estranei; o, ancora, avere un ruolo nell’incontro fra civiltà diverse e conoscere fenomeni di «mescolanza.

Questo, in silenzio, si è realizzato, in una parrocchia di Marsala, pochi giorni fa.

Mentre in Nigeria, venivano bruciati vivi 42 scolari di una scuola media, colpevoli di studiare in una scuola laica, dove non si insegnava il Corano, nella parrocchia “Maria Ausiliatrice” di Marsala, venivano battezzati due bambini, figli di una coppia “mista”, cattolica e islamica. Islamici e cristiani hanno pregato insieme per questi piccoli, insieme hanno recitato il Padre Nostro, insieme hanno festeggiato, uniti dall’amore per i loro cari. E non erano presenti solo i genitori, ma anche i loro parenti.

Chiaramente un fatto simile ha destato la mia curiosità: perché i genitori, uno di fede islamica e l’altro di fede cristiana, senza alcuna prevaricazione, hanno deciso di battezzare i loro figli?

La risposta è semplice e grande nello stesso tempo: siamo figli dello stesso Dio che chiamiamo con nomi differenti.

In effetti, le tre religioni monoteiste, hanno in comune la storia della rivelazione di Dio ad Abramo e la Città Santa di Gerusalemme.

Fu l’Arcangelo Gabriele a consegnare a Maometto il Corano in nome di Allah, e per noi Cristiani, l’Arcangelo Gabriele è il Messaggero di Dio.

Non a caso Papa Francesco ha espresso il desiderio di convocare un grande incontro delle sole tre religioni monoteiste.

Battezzare i loro bambini assume, inoltre, un significato più profondo: pur continuando i genitori a professare ognuno la propria fede, con il battesimo dei loro figli, hanno voluto esprimere la loro profonda integrazione con la cultura del nostro paese e questo perché sono perfettamente integrati nel tessuto sociale della nostra città.

La nostra Sicilia è sempre stata un crocevia di razze, un incrocio di civiltà, che hanno arricchito il nostro tessuto sociale e le nostre città, dal cibo all’architettura.

Alcuni chiamano gli immigrati “barbari”. Evidentemente non sanno che la parola “barbaro”, deriva dal greco βάρβαρος, che letteralmente significa “balbuziente”, termine con cui gli antichi greci indicavano gli stranieri, cioè coloro che non sapevano parlare correttamente la loro lingua.

Solo successivamente, con il termine barbaro, si è voluto indicare, non solo lo straniero, ma uno straniero “incivile”, se non pericoloso.

Ma, ascoltando le oscenità che vengono proferite con abbondanza da persone che hanno incarichi perfino istituzionali, ci rendiamo conto che i veri barbari li abbiamo già da anni… sia sognanti che parlanti.

 

Storia di un’alchimia tra spiriti affini

di Immacolata Iavazzo

Storia di un’alchimia tra spiriti affini

L’amore platonico tra Nadezda von Meck e Pyotr Tchaikovsky

 

Da una vita di stenti a mecenate dei grandi artisti in un Russia in grande fermento culturale.

Forte. Determinata. Rigida. Ma con un punto debole: la passione per la musica.

 

È strano come talvolta per caso si venga a conoscenza di storie molto belle. È questo il caso della storia che vi sto per raccontare: la vita di Nadezda von Meck.

Una ricca mecenate russa che prese sotto la sua protezione alcuni tra i più importanti musicisti della sua epoca: Nikolai Rubinstein, Claude Debussy, ma soprattutto il compositore Pyotr Tchaikovsky.

Racconteremo della sua particolare relazione mantenuta con quest’ultimo per anni.

La von Meck fu un’abile donna d’affari, divenne ricchissima ma non sempre la sua vita fu felice.

Conobbe la povertà e gli stenti, madre di undici figli, sposò l’ingegnere Karl von Meck all’età di sedici anni.

Il lavoro del marito era mal pagato e lei più volte lo aveva spronato a migliorarsi, a diventare grande.

L’occasione arrivò quando Nadezda con profonda lungimiranza lo incitò a spostarsi con tutta la famiglia in Russia dove c’era bisogno di costruire tutta la linea ferroviaria.

Karl decise di seguire i consigli di sua moglie e nel giro di pochi anni, da che riceveva una paga bassissima divenne pluri-milionario. Morì improvvisamente nel 1873, lasciò a Nadezda tutte le sue proprietà, tra cui due linee ferroviarie.

Sette degli undici figli erano ancora in casa con lei, ma la von Meck non si perse d’animo, vendette una ferrovia mentre continuò il lavoro dell’altra aiutata da suo figlio Vladimir, arricchendo ancora di più il suo patrimonio. Divenne una delle donne più ricche di tutta la Russia.

Nadezda aveva un carattere forte, imperioso, quasi dispotico. Alla morte del marito si ritirò a vita privata, evitando ogni occasione pubblica, non partecipò neanche al matrimonio dei figli e raramente accoglieva in casa sua persone, non vedeva neanche i suoi stessi parenti.

Decideva e disponeva della vita dei suoi figli, stabiliva lei ogni cosa e questo creò anche delle difficoltà con loro.

Con sua figlia Giulia strinse un fortissimo legame.

Lei stessa, in alcune epistole, riconosce di avere un carattere molto difficile, privo di smancerie, molto più simile a quello di un uomo, dichiara anche che i suoi figli sono stati cresciuti senza tenerezza.

Questa donna così austera, forte, tenace, manifesterà da sempre un amore per la musica. Lei stessa abile pianista prenderà sotto la sua protezione molti artisti del tempo ma è con Tchaikovsky che il rapporto sarà davvero profondo, intenso, particolare.

È dicembre 1876 quando un giovane violinista comunica alla dama che la situazione economica del grande musicista e compositore è davvero precaria, la donna allora chiede se il maestro può trascrivere per violino e per pianoforte delle sue composizioni offrendogli un elevato compenso.

Inizia così tra loro un proficuo scambio di epistole e una profonda collaborazione che porterà Tchaikovsky a lavorare e a creare più serenamente.

La loro amicizia durerà ben tredici anni, interrompendosi bruscamente senza apparenti motivazioni valide.

Nadezda porrà però una condizione a questa amicizia e cioè che i due non si dovranno mai incontrare di persona. Non sentiranno mai il suono della loro voce dunque e solo per caso in qualche isolata occasione i loro sguardi si incroceranno per strada ed entrambi scapperanno per non incontrarsi.

Così scrive Nadezda al musicista una volta che i due si sono incontrati per caso:

“Sono veramente felice del nostro incontro e non posso descriverle il calore che sentii affluirmi al cuore quando ebbi compreso che era lei...Non desidero rapporti personali fra noi, provo però un piacere enorme a sapermi silenziosa e passiva vicino a lei, a esser con lei sotto un medesimo tetto, come quella volta a teatro a Firenze, o incontrarla come poc'anzi...”

Tchaikovsky, dalla nota ma mai dichiarata sessualità omosessuale, sposerà nel luglio del 1877 Antonina Ivanovna Milijukova, che però prenderà in ‘odio’ al punto di essere per lui quasi un essere ripugnante, tenterà addirittura il suicidio pur di non averla vicino.

La von Meck che aveva da subito manifestato gelosia per questo matrimonio si tranquillizzò quando naufragò.

Dopo la separazione di fatto da Antonina il maestro scriverà a Nadezda dicendole:

“D’ora innanzi ogni nota che uscirà dalla mia penna sarà dedicata a Voi!”

Ogni qual volta Nadezda ascoltò un’opera del grande Maestro (quasi sempre in anteprima), ne rimase estasiata e gli comunicò le sue sensazioni. Così scriveva dopo aver ascoltato la ‘Francesca da Rimini’:

“La sua Marcia è talmente splendida che mi ha fatto sprofondare in una specie di follia, in uno stato in cui si dimentica tutto quanto la vita ha di amaro e di deprimente. Non è possibile descrivere quali sensazioni caotiche suscitino nel mio cuore e nella mia mente le note di quel lavoro. I miei nervi tremano, vorrei piangere, vorrei morire, anelo a un'altra vita; non a quella cui credono gli uomini, ma a un'altra, superiore ed inafferrabile. Il sangue pulsa nelle tempie, il cuore batte, davanti agli occhi cala un velo nero e soltanto l'orecchio ascolta rapito le magiche note di quella musica...

Oh Dio! Com'è grande l'uomo che può donare a un altro una simile beatitudine... Com'è bella la sua Francesca da Rimini!

Esiste un altro, capace di rendere meglio l'orrore dell'inferno e l'incanto dell'amore?”

I due riuscirono anche a combinare un matrimonio tra un figlio della von Meck e una nipote di Tchaikovsky.

Dopo la separazione da Antonina il Maestro ritrovò la serenità e si dedicò solo alla sua musica.

Nadezda, che era una donna che non manifestava apertamente i suoi sentimenti, mantenne sempre un atteggiamento dolcissimo nei confronti del musicista. Lo chiamava ‘mio tesoro, mio diletto ’. I due avevano in comune molte cose, molti aspetti caratteriali. Le loro lettere furono sempre appassionate.

L’amicizia epistolare, l’amore platonico, si interruppe bruscamente. Non è chiara la causa della fine di questo rapporto. La storia dei due viene raccontata anche nel film di Ken Russell ‘L’altra faccia dell’amore’.

Quante sono le storie che si basano sull’incontro dello spirito, delle anime?

Nadezda von Meck e Pyotr Tchaikovsky furono più che amanti, più di amici, più di due innamorati. La loro complicità, il loro sorreggersi a vicenda durò nel tempo e vinse sulle passioni e sugli incontri fugaci. L’affinità delle loro anime fu talmente forte da vincere i gusti sessuali del musicista.

Sicuramente non è la forma di amore canonico, quella che ci si aspetterebbe, è stato qualcosa di più. Qualcosa di eterno che ha permesso a Nadezda di sognare e a Tchaikovsky di dedicarsi alla sua musica in maniera serena.

Un’alchimia tra spiriti affini che ha comunque vinto il tempo.

Intervista: I giorni di Gezi Park

di Francesca Pacini

DogaDoğa Kocagöz vive e lavora a Istanbul. Si divide fra le traduzioni dall’inglese e il lavoro all’Artist’s Kahvesi, un locale di Taksim. Anche lui ha preso parte alla protesta, che lo ha cambiato per sempre. Qui ci racconta la sua esperienza….

Sappiamo come è iniziata la resistenza di  Gezi Park. Puoi dirci altro?

La resistenza è iniziata per proteggere gli alberi del parco, sì, ma presto è diventata una protesta contro il governo. E ora si è trasformata in un vero e proprio movimento antigovernativo.

Solidarietà: gli attivisti sono molto diversi uno dall’altro ma hanno trovato una maniera comune per stare insieme. Ma chi è un çapulcu?

Questa parola è stata usata da Erdoğan per indicare i dissidenti. Quelli che hanno preso parte al movimento di Gezi e che non supportano il suo partito, l’AKP.

Musulmani e non musulmani. Molte persone credono che tutto questo sia contro la religione musulmana, e non contro la repressione di Erdoğan. Dove sta la verità?

Erdoğan e l’AKP provano a far credere che si tratta di un movimento antireligioso ma noi abbiamo celebrato il kandil tutti insieme, a Gezi Park, e la gente ha anche organizzato insieme  l’iftar, la cena rituale. Forse è vero che la maggior parte dei manifestanti non sono religiosi, molti sono atei. Ma a Gezi non è il problema principale. Il problema è il governo "fascista".

 

Il vostro modo di ribellarvi è stato segnato da umorismo e creatività. E anche un certo romanticismo. Penso alle varie azioni, dallo “standing man” alle scale colorate….

Usiamo tutto quello che possiamo usare, come i pinguini e le scale colorate. Crediamo che la città in cui viviamo ci appartenga. Intendo dire, è pubblica. Il governo dovrebbe stare in parlamento per noi. Senza noi non sono nessuno.



Questa brutale repressione ha impressionato il mondo intero. Ma in questo momento ci sono così tanti conflitti nel mondo che rischiamo di perdere alcune preziose informazioni sugli sviluppi. Che succede ora?

Ci sono alcuni account twitter che sono affidabili. Possono essere seguiti per diffondere le notizie nel resto del mondo. La parte negativa della faccenda è che nei social media ognuno può crearsi il suo proprio media e diffondere foto e video: non tutto ciò che vediamo e leggiamo è vero. Impossibile controllare. Ma i media classici sono qualcosa su cui non possiamo fare affidamento. Dipende da chi controlla chi. Per esempio i media turchi sono controllati dal governo. Non possono essere sicuramente considerati affidabili.


La tua vita prima e dopo Gezi. Come ti ha cambiato questa esperienza?

L’esperienza di Gezi mi ha definitivamente cambiato. Ora so che l’AKP ha paura della gente. E ho capito cosa significa il terrore delle minoranze nei confronti del governo. Ho sempre sentito parlare i questo terrore, ma non facevo parte di queste minoranze. Ora, ho visto quel terrore con i miei occhi.

 

Cosa succederà ora? Cosa significa democrazia, in Turchia, da Atatürk in poi?

Non so che accadrà. Ma non c’è democrazia in Turchia. Ho sempre detto che tutti quelli che hanno preso parte a Gezi park sono consapevoli del fatto che non c’è democrazia. La gente ha capito veramente come da anni il governo si comporta con le minoranze. Ora la gente capisce la situazione dei curdi.

 

Come può cambiare il paese questa ribellione che a tratti ha rischiato di sconfinare in una “rivoluzione”?

Non so se possiamo chiamarla rivoluzione. Ora però sappiamo che tutto quello che vedevamo in tv era una bugia. Le persone che mettono in discussione l’autorità stanno aumentando. E questo è un bene.

 

 

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Una storia per caso

di Immacolata Iavazzo

nadezhdaStoria di un’alchimia tra spiriti affini.

L’amore platonico tra Nadezda von Meck e Pyotr Tchaikovsky.

 

Da una vita di stenti a mecenate dei grandi artisti in un Russia in grande fermento culturale.

Forte. Determinata. Rigida. Ma con un punto debole: la passione per la musica.

 

 

È strano come talvolta per caso si venga a conoscenza di storie molto belle. È questo il caso della storia che vi sto per raccontare: la vita di Nadezda von Meck.

Una ricca mecenate russa che prese sotto la sua protezione alcuni tra i più importanti musicisti della sua epoca: Nikolai Rubinstein, Claude Debussy, ma soprattutto il compositore Pyotr Tchaikovsky.

Racconteremo della sua particolare relazione mantenuta con quest’ultimo per anni.

La von Meck fu un’abile donna d’affari, divenne ricchissima ma non sempre la sua vita fu felice.

Conobbe la povertà e gli stenti, madre di undici figli, sposò l’ingegnere Karl von Meck all’età di sedici anni.

Il lavoro del marito era mal pagato e lei più volte lo aveva spronato a migliorarsi, a diventare grande.

L’occasione arrivò quando Nadezda con profonda lungimiranza lo incitò a spostarsi con tutta la famiglia in Russia dove c’era bisogno di costruire tutta la linea ferroviaria.

Karl decise di seguire i consigli di sua moglie e nel giro di pochi anni, da che riceveva una paga bassissima divenne pluri-milionario. Morì improvvisamente nel 1873, lasciò a Nadezda tutte le sue proprietà, tra cui due linee ferroviarie.

Sette degli undici figli erano ancora in casa con lei, ma la von Meck non si perse d’animo, vendette una ferrovia mentre continuò il lavoro dell’altra aiutata da suo figlio Vladimir, arricchendo ancora di più il suo patrimonio. Divenne una delle donne più ricche di tutta la Russia.

Nadezda aveva un carattere forte, imperioso, quasi dispotico. Alla morte del marito si ritirò a vita privata, evitando ogni occasione pubblica, non partecipò neanche al matrimonio dei figli e raramente accoglieva in casa sua persone, non vedeva neanche i suoi stessi parenti.

Decideva e disponeva della vita dei suoi figli, stabiliva lei ogni cosa e questo creò anche delle difficoltà con loro.

Con sua figlia Giulia strinse un fortissimo legame.

Lei stessa, in alcune epistole, riconosce di avere un carattere molto difficile, privo di smancerie, molto più simile a quello di un uomo, dichiara anche che i suoi figli sono stati cresciuti senza tenerezza.

Questa donna così austera, forte, tenace, manifesterà da sempre un amore per la musica. Lei stessa abile pianista prenderà sotto la sua protezione molti artisti del tempo ma è con Tchaikovsky che il rapporto sarà davvero profondo, intenso, particolare.

È dicembre 1876 quando un giovane violinista comunica alla dama che la situazione economica del grande musicista e compositore è davvero precaria, la donna allora chiede se il maestro può trascrivere per violino e per pianoforte delle sue composizioni offrendogli un elevato compenso.

Inizia così tra loro un proficuo scambio di epistole e una profonda collaborazione che porterà Tchaikovsky a lavorare e a creare più serenamente.

La loro amicizia durerà ben tredici anni, interrompendosi bruscamente senza apparenti motivazioni valide.

Nadezda porrà però una condizione a questa amicizia e cioè che i due non si dovranno mai incontrare di persona. Non sentiranno mai il suono della loro voce dunque e solo per caso in qualche isolata occasione i loro sguardi si incroceranno per strada ed entrambi scapperanno per non incontrarsi.

Così scrive Nadezda al musicista una volta che i due si sono incontrati per caso:

“Sono veramente felice del nostro incontro e non posso descriverle il calore che sentii affluirmi al cuore quando ebbi compreso che era lei...Non desidero rapporti personali fra noi, provo però un piacere enorme a sapermi silenziosa e passiva vicino a lei, a esser con lei sotto un medesimo tetto, come quella volta a teatro a Firenze, o incontrarla come poc'anzi...”

Tchaikovsky, dalla nota ma mai dichiarata sessualità omosessuale, sposerà nel luglio del 1877 Antonina Ivanovna Milijukova, che però prenderà in ‘odio’ al punto di essere per lui quasi un essere ripugnante, tenterà addirittura il suicidio pur di non averla vicino.

La von Meck che aveva da subito manifestato gelosia per questo matrimonio si tranquillizzò quando naufragò.

Dopo la separazione di fatto da Antonina il maestro scriverà a Nadezda dicendole:

“D’ora innanzi ogni nota che uscirà dalla mia penna sarà dedicata a Voi!”

Ogni qual volta Nadezda ascoltò un’opera del grande Maestro (quasi sempre in anteprima), ne rimase estasiata e gli comunicò le sue sensazioni. Così scriveva dopo aver ascoltato la ‘Francesca da Rimini’:

“La sua Marcia è talmente splendida che mi ha fatto sprofondare in una specie di follia, in uno stato in cui si dimentica tutto quanto la vita ha di amaro e di deprimente. Non è possibile descrivere quali sensazioni caotiche suscitino nel mio cuore e nella mia mente le note di quel lavoro. I miei nervi tremano, vorrei piangere, vorrei morire, anelo a un'altra vita; non a quella cui credono gli uomini, ma a un'altra, superiore ed inafferrabile. Il sangue pulsa nelle tempie, il cuore batte, davanti agli occhi cala un velo nero e soltanto l'orecchio ascolta rapito le magiche note di quella musica...

Oh Dio! Com'è grande l'uomo che può donare a un altro una simile beatitudine... Com'è bella la sua Francesca da Rimini!

Esiste un altro, capace di rendere meglio l'orrore dell'inferno e l'incanto dell'amore?”

I due riuscirono anche a combinare un matrimonio tra un figlio della von Meck e una nipote di Tchaikovsky.

Dopo la separazione da Antonina il Maestro ritrovò la serenità e si dedicò solo alla sua musica.

Nadezda, che era una donna che non manifestava apertamente i suoi sentimenti, mantenne sempre un atteggiamento dolcissimo nei confronti del musicista. Lo chiamava ‘mio tesoro, mio diletto ’. I due avevano in comune molte cose, molti aspetti caratteriali. Le loro lettere furono sempre appassionate.

L’amicizia epistolare, l’amore platonico, si interruppe bruscamente. Non è chiara la causa della fine di questo rapporto. La storia dei due viene raccontata anche nel film di Ken Russell ‘L’altra faccia dell’amore’.

Quante sono le storie che si basano sull’incontro dello spirito, delle anime?

Nadezda von Meck e Pyotr Tchaikovsky furono più che amanti, più di amici, più di due innamorati. La loro complicità, il loro sorreggersi a vicenda durò nel tempo e vinse sulle passioni e sugli incontri fugaci. L’affinità delle loro anime fu talmente forte da vincere i gusti sessuali del musicista.

Sicuramente non è la forma di amore canonica, quella che ci si aspetterebbe, è stato qualcosa di più. Qualcosa di eterno che ha permesso a Nadezda di sognare e a Tchaikovsky di dedicarsi alla sua musica in maniera serena.

Un’alchimia tra spiriti affini che ha comunque vinto il tempo.

 

Imma Iavazzo

Donne, società competitiva e violenza

di Patrizia Bilardello

 

donneIn un periodo in cui si parla molto di femminicidio, è importante rivedere percorsi, contenuti. E farsi alcune domande...

Capita spesso di osservare con sguardi nuovi, libri che conosciamo benissimo. A me succede spesso quando un evento esterno mi provoca una nuova emozione.

Questa esperienza l’ho rivissuta pochi giorni fa.

Io conservo gelosamente una vecchia agenda del 1946, dove mia madre, sin da ragazzina, annotava, sia manualmente che con ritagli di giornali dell’epoca, tutte le ricette che la interessavano. Un’agenda molto usata e di cui conosco ogni pagina.

I primi fogli, prima che cominci il calendario, sono dedicati, com’era l’uso dell’epoca, a vari consigli di economia domestica, di pronto intervento medico, di galateo.

Pagine mai lette, solo sfogliate alla svelta.

L’altro giorno, proprio mentre sfogliavo quei fogli ingialliti, lo sguardo è stato attratto da alcuni consigli sull’uso delle parole e dei toni di voce quando si è in un ambiente pubblico. Sembrava di leggere un libro dell’800, invece si riferisce a solo pochi decenni fa. Quanti valori spazzati via, dimenticati. Anche il concetto di ambiente pubblico è cambiato. E il web è un nuovo ambiente pubblico, virtuale, ma pubblico.

Da tempo, purtroppo, assistiamo ad una maleducazione dilagante, e quello che più sgomenta è la violenza verbale che l’accompagna.

Gli insulti si sprecano, le parole, usate come proiettili, vengono lanciate nel web con la stessa leggerezza di palloncini innocui. Ogni giorno assistiamo attoniti ad episodi di violenza che lasciano senza parole.

Perché si concretizzano così tanti atti di irruenza?

Gli psicologi studiano l’aggressività per cercare di capirne le origini. Alcuni studiosi affermano che essa è solo un tipo di comportamento influenzato dalle norme e dalle regole di ogni cultura. Il modello di vita dominante nella nostra società è di tipo competitivo, per cui, nella gran parte dei casi, la maggior parte degli esseri umani vede nel prossimo un concorrente, un rivale, un nemico da cui difendersi, da combattere, da sopraffare. Da tale modello di vita deriva inesorabilmente il mondo in cui viviamo, fatto di ingiustizia, di incomprensione, di sfruttamento, di guerre, di massacri. Gli esseri umani vengono al mondo con tendenze all'aggressività ma anche con tendenze alla cooperazione e all'altruismo. E’altrettanto chiaro che il tipo di educazione che viene impartita nella nostra società ha in generale l'effetto di potenziare le tendenze all'aggressività e di indebolire o addirittura atrofizzare quelle alla cooperazione e all'altruismo. Spesso si confonde la violenza con l’aggressività, ma in realtà sono parole che indicano comportamenti ben distinti tra di loro. L’aggressività è innata perché indispensabile alla sopravvivenza (aggressività difensiva), all’evoluzione (aggressività adattativa), alla maturazione del singolo (aggressività esplorativa). L’aggressività può essere considerata come una risposta dell’“Io” di fronte a qualsiasi minaccia esterna. Una certa dose di aggressività permette anche di affermare la propria identità.

La violenza, invece, rimanda al concetto di potere. Benché sia distruttiva nel suo effetto, il suo obiettivo ultimo non è provocare all’altro una sofferenza, ma sottometterlo, dominarlo, paralizzarlo, piegarlo. La violenza cerca di appropriarsi della volontà, del pensiero, dell’intimità di chi la subisce.

Secondo la teoria dell’apprendimento sociale, il comportamento viene appreso attraverso l’osservazione, l’imitazione, le ricompense e le punizioni che riceviamo, mettendo in luce la parte appresa del comportamento aggressivo. In tal senso, i mass-media, in particolare la televisione, sono una fonte di modelli per i bambini. Se, ad esempio, un bambino vede l’eroe di un cartone o di un telefilm che picchia e uccide una banda di persone che lo minacciano, poi potrà valutare di usare quel copione come guida per il proprio comportamento nelle situazioni in cui gli pare appropriato. Rimanendo sempre nell’ambito della famiglia, in genere i bambini fisicamente aggressivi hanno avuto genitori fisicamente punitivi che hanno impartito loro la disciplina mediante un modello aggressivo. L’aggressività può anche essere stimolata dall’ambiente (caldo, rumore, sovraffollamento e inquinamento), o dall’ingestione di bevande alcoliche. Sotto l’influsso dell’alcol, emergono con più forza le tendenze primarie di una persona (in vino veritas), per cui chi è portato a mostrare affetto, diventerà più espansivo e, chi tende alla violenza diventerà aggressivo. Altra causa scatenante è la frustrazione, cioè qualsiasi cosa che impedisca di raggiungere uno scopo, evoca uno stato di istigazione ad agire in maniera aggressiva. Non è detto che l’energia aggressiva esploda direttamente contro ciò che l’ha originata. Secondo il meccanismo della dislocazione, si impara a inibire le ritorsioni dirette, soprattutto quando altri potrebbero disapprovarci o punirci, e a trasferire l’ostilità dislocandola su bersagli più sicuri.

Molti si chiedono se le innumerevoli forme che assume la violenza umana (criminalità, ingiustizia sociale, intolleranza, razzismo, guerra, ecc.) siano inevitabili, siano mali senza rimedio a cui bisogna rassegnarsi.
L'opinione prevalente presso l'uomo della strada (e anche presso alcuni specialisti non aggiornati) è che l'aggressività umana sia istintiva, biologicamente determinata, naturale e perciò ineliminabile.
E' stato appunto per cercare di cancellare ogni traccia di questa vecchia concezione e di neutralizzare le conseguenze pratiche che ne derivano che un gruppo di studiosi di vari paesi (psicologi, psichiatri, etologi, biologi, antropologi e sociologi) si è riunito all'Università di Siviglia nel 1986 in occasione dell'"Anno internazionale della pace" promosso dall'ONU ed ha elaborato un documento scientifico.

In sintesi nella "Dichiarazione di Siviglia" si sostiene che la violenza non è una caratteristica biologica ineliminabile degli esseri umani ma è fondamentalmente determinata da fattori socioculturali. Infatti, le società matriarcali non hanno questi comportamenti violenti, né guerre di supremazia. Questo è un argomento tanto vasto e importante che merita di essere trattato in un altro momento.

A parte il fatto che, sia alla maleducazione che alla violenza non ci si abitua, quello che più intristisce è vedere come “il gentil sesso” si sia trasformato, negli anni, in “bad girl”, conformando i propri comportamenti a quelli maschili. Anche noi donne imitiamo spesso gli uomini in questa via senza senso. A prescindere da tutte le motivazioni sociologiche, psicologiche, culturali e perfino scientifiche sulla violenza, sia fisica che verbale, il punto focale che colpisce è che una donna possa incitare alla violenza verso un’altra donna.

Come la consigliera leghista, poi espulsa, che chiedeva, in un luogo “virtuale”, ma pubblico, se non ci fosse un africano disposto a violentare una ministra del nostro governo, colpevole di essere “nera”. Da notare che l’incitamento era fatto ad un africano e non a un “bianco”: non bisogna “contaminare” le razze!

Cosa può portare una donna adulta a desiderare per un’altra donna quello che da anni, la società civile cerca di arginare? A che serve parlare di feminicidio, di maschilismo, di etica culturale del comportamento, se poi ci si trova a dover educare non solo gli uomini, ma anche le donne?

Io non userò il termine “feminicidio” qui. Vado oltre il problema della violenza sulle donne, parlo di ogni essere umano, donna,uomo, bambino o animale, usato, abusato, corrotto, umiliato, ucciso.

La violenza sessuale è stata sempre usata dai regimi come umiliazione profonda, mossa dall’odio razziale, religioso o altre motivazioni simili. Ma ogni motivazione ha alla base il piacere perverso di usare il proprio potere, di avere in proprio potere un corpo, una vita. La violenza sessuale come controllo sociale, per timore di perdere la supremazia. Il timore di perdere il controllo sulle donne e doversi confrontare con loro, scatena le reazioni della società maschilista. Non a caso nei paesi del Nord Europa c’è un’alta incidenza di violenza nei confronti delle donne che, spesso, hanno responsabilità superiori agli uomini.

Ma, ho notato, che alla base dell’odio manifestato verso altri, c’è anche l’invidia.

Pensare che quella donna, che io considero inferiore, è colta, sapere che ha una carica istituzionale, magari superiore alla mia, scatena le mie frustrazioni, che io trasformo in odio. Questo, in modo semplicistico, è la molla che fa scattare il pensiero razzista. Accanto ai motivi personali, c’è poi, tutta una serie di motivazioni che alla base hanno la mancanza culturale di accettazione e dialogo con i propri simili. Solo abituando i giovani, sia in famiglia che a scuola, al dialogo e alla conoscenza, si può cercare di arginare questa dilagante piaga, che permea ormai tutti gli aspetti della nostra vita, a cominciare da tv, giornali e libri. Sia in tv che in libreria, spopolano i generi dove, immancabilmente, ci sono assassini seriali che compiono ogni genere di delitti efferati e dove le vittime sono donne, spesso con il compiacimento morboso dei particolari più raccapriccianti.

Il discorso qui diventa vasto, ma, mi chiedo cosa possiamo fare noi per limitare questa informazione violenta che circola liberamente su tv e libri, che sicuramente eccita menti  border-line.

Penso che sia arrivato il momento di porre attenzione e segnalare le serie tv- spazzatura, invitare le case editrici a scartare libri, anche di scrittori famosi, dove sono descritte scene di sopraffazione e di violenza contro esseri umani e animali, iniziare una campagna di conoscenza e di dialogo, dove il diverso non è il nemico da combattere.

Trasformiamoci in gocce di tolleranza e dialogo…anche noi riusciremo a modellare le rocce.

 

Patrizia Bilardello

 

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